Quando andiamo al supermercato e incrociamo lo sguardo del vigilante, silenzioso guardiano della sicurezza interna, pensiamo che fa un lavoro faticoso e rischioso per soli 1.200 euro mensili. Quando all’ingresso di un centro congressi ci accoglie una persona in divisa, ma senza armi, dobbiamo pensare che probabilmente passerà otto ore della sua giornata lavorando per uno stipendio che a malapena raggiunge i 1.000 euro mensili. E questi stipendi, inaccettabili in un paese moderno ed evoluto come si autocelebra l’Italia, non vengono aggiornati dal 2016, e non si sa bene come e quando saranno rivalutati grazie al rinnovo del contratto nazionale.
Le addette e gli addetti della vigilanza, armata o non armata, sono lavoratori e lavoratrici che possiamo definire invisibili. Persone che svolgono una mansione difficile, che prevede obblighi normativi importanti (pensate ai lavoratori armati). Lavoratori e lavoratrici che devono assicurare standard di sicurezza elevati, ma che non vedono riconosciuti in termini economici questo impegno, né i rischi che corrono quotidianamente.
La Filcams Cgil sta conducendo una battaglia durissima per poter offrire loro un rinnovo di contratto adeguato. E unitariamente sta mettendo in campo una serie di iniziative di sciopero e di visibilità che sono proseguite anche nel periodo delle festività natalizie. Diversi i presidi territoriali di fronte alle prefetture, che seguono molte altre iniziative di sciopero culminate lo scorso anno nella grande manifestazione di Roma, in cui migliaia di lavoratrici e lavoratori del settore attraversarono il centro della città fino a via dei Fori Imperiali, dove si svolse il comizio conclusivo.
Come è chiaro la questione in discussione riguarda il salario: in questo contratto abbiamo due comparti, quello della vigilanza privata e quello dei servizi di sicurezza non armati (i servizi fiduciari). Le controparti datoriali, nella lunghissima ed estenuante vertenza, stanno giocando una partita drammatica che tende a strumentalizzare le differenze tra i due comparti, non portando a compimento il percorso di adeguamento salariale per le lavoratrici dei servizi di sicurezza non armati, ma al tempo stesso non riconoscono la rivalutazione delle retribuzioni dei servizi armati agli indici inflattivi. Si tratterebbe di un miglioramento insufficiente per chi oggi ha una retribuzione bassa, e inadeguato per chi ha una retribuzione superiore.
In aggiunta vengono messe in discussione una serie di indennità che per queste lavoratrici e lavoratori rappresentano un’ancora di salvezza di fronte a retribuzioni spesso insufficienti.
Nella vertenza, oltre alle difficoltà di ottenere una proposta salariale adeguata, sta giocando una partita drammatica anche la questione tempo. Come potrà essere compensato un periodo di mancato rinnovo lungo oramai sette anni? In questo lasso di tempo il potere di acquisto dei salari si è ridotto drammaticamente, e la fiammata inflattiva di questi mesi ha ulteriormente peggiorato la situazione. Anche questa variabile impegnativa non ha visto finora riposte adeguate da controparti che giocano a presentarsi divise per dilatare i tempi della trattativa. Le retribuzioni dei servizi di sicurezza non armati sono state giudicate, da alcuni tribunali, non in linea con il dettato costituzionale della retribuzione dignitosa.
Nel corso degli incontri che rappresentanti sindacali hanno avuto con i prefetti di diverse città, è stato evidenziato che questa situazione non è sostenibile, che le persone scappano da questi servizi, indispensabili alla gestione della sicurezza in tanti luoghi aperti al pubblico, e che la politica delle aziende del settore e delle associazioni datoriali sta portando a una situazione esplosiva, fino ad oggi condotta nell’alveo della conflittualità sindacale dal grande legame che una parte consistente delle maestranze ha con le organizzazioni sindacali.
Secondo Emanuele Ferretti, responsabile del settore per la Filcams Cgil, “la responsabilità per il mancato rinnovo da parte delle associazioni datoriali è ancor più grave se si pensa all’incremento di fatturato registrato negli ultimi anni dalle imprese del settore grazie all’aumento dei servizi di sicurezza, soprattutto nel periodo della pandemia in cui le lavoratrici e i lavoratori hanno sempre lavorato anche se con un salario insufficiente, dimostrando maggiore responsabilità dei loro datori di lavoro. A beneficiare di questi bassi salari non ci sono solo le imprese ma anche i committenti, che aggiudicano appalti dall’alto contenuto professionale a bassi costi, e buona parte di queste committenze sono pubbliche”.
Questa è una vertenza esemplare, in cui la fermezza dei sindacati, unita alla presenza costante di lavoratrici e lavoratori alle iniziative sindacali, non ha finora presentato cedimenti. Ma testimonia anche tutta la debolezza strutturale del mondo dei servizi, dei lavori in appalto, dell’indifferenza politica e imprenditoriale di fronte al mondo del lavoro dei servizi, spesso poco visibile ma determinante nella nostra vita quotidiana.