Toscana, verso la multydubbi... - di Fausto Bosco

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Nella regione è imminente la costituzione di una multiutility, con una successiva quotazione in borsa del 49% del capitale.

In Toscana è oramai imminente la costituzione di una multiutility cui seguirà una successiva società da quotare in borsa, con una maggioranza pubblica del 51%. Ci dicono di voler tornare all’acqua pubblica e invece la portano in borsa: altro che pubblicizzazione, è una finanziarizzazione bella e buona, sapientemente camuffata dalla falsa affermazione di essere utile a sostenere gli investimenti.

Niente di più falso. Come ben ci spiega Remo Valsecchi (opinionista su Forum Beni Comuni e Altreconomia, ndr): “La gestione formalmente resta pubblica, ma sostanzialmente sarà privata perché dovrà soddisfare le esigenze della finanza che imporrà le sue regole, estromettendo gli enti locali soci da qualsiasi influenza sulla qualità dei servizi. Sono le regole del codice civile per le società. Non è un caso che siano proprio gli attuali amministratori a proporre e ad aver progettato il percorso per arrivare alla quotazione, con l’assistenza e la consulenza di chi non solo è teorizzatore della deregulation ma ne è anche espressione”.

È un processo che viene da lontano, quello della privatizzazione e liberalizzazione dei servizi pubblici. Appartiene al credo liberista, l’estromissione dello Stato da ogni iniziativa economica, la fede assoluta nelle regole del libero mercato e dell’equilibrio che si realizza da solo.

La politica nel corso degli ultimi decenni da protagonista è diventata subalterna, piegandosi totalmente alle lobbies economiche e finanziarie, annichilendosi fino a consegnarsi nelle mani di tecnici, cioè degli economisti che guardano solo ai profitti e non i problemi delle famiglie e delle imprese.

Ma torniamo alla questione della multiutility: che sta davvero succedendo? Potremmo sintetizzare dicendo che questa idea nasce da lontano, e le motivazioni che ne stanno alla base sarebbero pure giuste, se da questo articolato processo togliessimo tutto ciò che gira intorno al profitto e porta il termine di speculazione.

Un progetto nato sotto il segno del “renzianesimo”, portata avanti successivamente dal sindaco di Firenze, Dario Nardella, assieme ai primi cittadini di Prato ed Empoli, Matteo Biffoni e Brenda Barnini. Il tutto con l’avallo del presidente della Regione, Eugenio Giani che aveva inserito nel proprio programma elettorale proprio la creazione di una holding “pubblica” per la gestione dei servizi idrici, energetici ed ambientali.

Fin qui, tutto bene, si potrà dire. In realtà le cose non stanno proprio così, poiché fin dal principio si è trattato di una decisione presa da pochi “eletti” senza il coinvolgimento della totalità dei territori cui è composta la regione, e soprattutto senza nessuna discussione pubblica.

Adesso il disegno sta pian piano emergendo, poiché siamo davanti alla fase cruciale che vede i consigli comunali esprimersi per deliberare la fusione per incorporazione in una multiutility delle società che gestiscono servizio idrico e rifiuti urbani, distribuzione del gas e dell’energia.

In questo difficilissimo periodo storico, ciò che sta accadendo ai prezzi del gas e dell’energia elettrica fa capire in modo chiaro quanto la quotazione in Borsa esponga a rischi speculativi.

I sindaci saranno espropriati dalla possibilità di garantire servizi pubblici efficienti ed a costi ragionevoli, poiché il codice civile esclude gli azionisti dall’esercizio dei poteri di gestione ed amministrazione delle società. Quindi in pratica si sta chiedendo ai soggetti pubblici di delegare in toto la gestione dei servizi pubblici di prima necessità ad un organismo di cui faranno sì parte, ma rispetto al quale non hanno nessun tipo di influenza sulle scelte e sulla governance.

Neanche a dirlo, i più danneggiati da questa operazione di finanza creativa saranno i comuni medi e piccoli, che all’interno di questa holding finanziaria non avranno alcun potere, non potendo neppure accedere agli atti del consiglio di amministrazione.

La cosa sorprendente è che la maggior parte dei consiglieri comunali chiamati ad esprimersi sull’atto non han la più pallida idea di come stanno le cose, poiché è stato presentato loro un faldone di oltre mille pagine intriso di tecnicismi pochi giorni prima del voto, impossibile da analizzare se non con l’ausilio di qualche agente finanziario.

Soprattutto, nessuno ha fatto presente ai Comuni coinvolti il fatto che dovranno partecipare a una ricapitalizzazione, cioè mettere a disposizione denaro fresco, per circa un miliardo e duecento milioni.

Tutta l’operazione di ingegneria finanziaria ruota intorno ad Alia, la società dei servizi ambientali di Firenze, che procederà ad incorporare altre società di quell’area territoriale con le relative società partecipate grazie ad un intricato scambio di azioni. Senza addentrarsi nei passaggi tecnici, che sono un vero rompicapo, basti dire comunque che alla fine le partecipazioni dei vari Comuni finiranno dentro una società per azioni che conserverà il 51% delle quote, e metterà il restante 49% sul mercato.

Siamo di fronte, quindi, a una vera e propria società di capitali. L’affare coinvolge, oltre ai Comuni, anche Consiag, Publiservizi, parte di Publiacqua, Intesa Spa, Estra.

Ma come è stato calcolato il valore della società? Sempre Remo Valsecchi ci aiuta a capire meglio: “Il fatto stesso che il concambio, cioè il valore delle azioni dei Comuni, oggi soci, dopo la fusione per incorporazione della multiutility sia stato determinato sulla base di business plan, cioè di mere ipotesi future, e che l’esperto, nominato dal tribunale per accertarne la congruità, affermi di acquisire acriticamente, cioè senza alcun approfondimento, i valori definiti dalle singole società, non verificati e nemmeno sottoposti a due diligence, cioè a un accertamento formale e documentale effettuato da un soggetto terzo, è motivo di dubbi e perplessità.

L’esperto ha evidenziato anche numerose criticità, ma nessuno di quelli che sostengono l’operazione sembra preoccuparsene. Non c’è tempo, bisogna correre per evitare che alle prossime elezioni amministrative i nominati, cioè amministratori e organi di controllo, non siano più “vicini” delle attuali maggioranze.

Pare abbastanza chiaro che il meccanismo è viziato da forzature, e che alla base del progetto ci siano essenzialmente ipotesi più che certezze. È la logica, perversa, dei futures che sta alla base della finanza creativa. Ma chi ha da guadagnare, innanzitutto, dalla creazione della multiutility? Prima di tutto il Comune di Firenze. Per capirlo andiamo ad approfondire gli effetti del progetto di costituzione della multiutility utilizzando i valori del patrimonio netto, vale a dire il valore contabile delle singole società. In pratica, nella prima valutazione delle quote si è scelto di quantificarle con il metodo dell’equity value, notevolmente superiore ai valori che saranno acquisiti ai fini del bilancio della multiutility post fusione.

Cosa significa questo? Comporterà, per i Comuni, variazioni ai propri bilanci con un maggiore o minore valore delle partecipazioni in base ai complessi calcoli cui facevamo prima riferimento. In estrema sintesi, Firenze, grazie a complessi e cervellotici meccanismi, ottiene un maggior valore a bilancio di quasi 45 milioni di euro, mentre tutti gli altri Comuni avranno una perdita di valore più o meno alta. Insomma, come storia ci insegna, a guadagnare sono i pesci grossi ed a perire quelli piccoli.

Alla luce di tutto ciò, una domanda sorge spontanea: esiste una strada alternativa alla quotazione in borsa e a tutti i rischi ad essa correlati? Certo che sì, e non occorre neanche andare al di fuori dell’Italia per trovare un esempio di gestione oculata e competitiva. In un recente articolo, Stefano Tamburini (già direttore del Tirreno, ndr) ci racconta di una bellissima realtà del nord Italia: “In una vasta area del Veneto hanno deciso di percorrere una strada diversa, quella di cercare finanziamenti attraverso l’emissione di obbligazioni denominate ‘Hydrobond’ per poi investire in progetti realmente funzionali a un miglior servizio. Il progetto nasce da ‘Viveracqua’, un consorzio di aziende pubbliche delle province di Padova, Vicenza, Venezia, Rovigo, Verona, Treviso e Belluno. Il piano degli interventi prevede, fra l’altro, la realizzazione di 560 chilometri di condotte di acquedotto e fognatura e incremento della capacità di depurazione per 500 mila abitanti. Un modo per finanziarsi (623,5 milioni in otto anni) senza far entrare i privati nelle società che gestiscono il servizio. Funziona, e anche bene”.

Insomma le alternative ci sono, ciò che manca è la volontà di aprire in dibattito democratico su un tema che riguarda direttamente il i cittadini toscani, le loro vite e il loro futuro.

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