Lo smart working e i principi costituzionali - di Annalisa Rosiello

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Si parla sempre più spesso di benessere lavorativo e di attrattività delle imprese che dimostrano rispetto dei lavoratori, che li formano adeguatamente e li rendono più autonomi nella prestazione. Il lavoro può rendere felici e dare benessere alla persona se è sicuro, dignitoso e frutto di una scelta libera, rispettoso dei diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione (artt. 2, 3, 4 e 41 secondo comma).

Lo smart working coinvolge senz’altro questi principi costituzionali; soprattutto la libertà per l’impresa e i lavoratori - ma anche per le parti sociali - di organizzare l’attività in maniera diversa rispetto a quanto fino a poco fa concepito. Quindi oggi – con le nuove tecnologie, la digitalizzazione, la riprogettazione di spazi di lavoro – gli articoli della nostra Costituzione e i principi fondamentali di libertà, dignità e salute - specificati ulteriormente dallo Statuto dei lavoratori – possono essere letti anche con nuove lenti.

Ad esempio, il concetto di libertà di scelta nel lavoro, secondo l’art. 4 della Costituzione: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società”. Cosa vuol dire, oggi? Ciascun individuo deve tendere ad essere libero di scegliere il lavoro che maggiormente si addice alle proprie potenzialità e ai propri talenti, ma lavorare “smart” implica anche essere liberi di scegliere il come, dove e in che tempi svolgere la prestazione.

Lo smart working rappresenta una vera e propria rivoluzione rispetto anche al concetto di “fare impresa” sancito dall’art. 41 comma primo della Costituzione - “L’iniziativa economica privata è libera” - e dagli articoli del codice civile (2082 e seguenti) dato che alcuni aspetti fondamentali dell’organizzazione del lavoro possono diventare una scelta anche del lavoratore e di negoziazione sindacale. Per il sindacato e per i lavoratori poter incidere sull’organizzazione non è cosa di poco conto. Ma questo non è solo a beneficio dell’individuo né semplicemente sottolinea nuove prerogative sindacali. È la stessa impresa a trarre vantaggi, appurato che più il lavoratore è soddisfatto del proprio lavoro perché stimato e reso più autonomo, più aumenta il suo rendimento.

Lo smart working è anche uno strumento di conciliazione (vedi legge 81/2017, art. 18). Quando la legge parla di “conciliazione di tempi di vita e di lavoro” si riferisce ai tempi di vita in generale, o meglio alle scelte di vita dei lavoratori che oggi privilegiano, almeno nella maggior parte dei casi, lavorare da qualsiasi luogo e aspirano a maggiore flessibilità per dedicarsi alla famiglia ma anche alle proprie passioni, ad attività ludiche, sportive, viaggi, ecc.

Lo smart working può essere anche un importante strumento per colmare diseguaglianze con riguardo ad alcune, specifiche, categorie di lavoratori. Alcune tra le principali attività sindacali a tutela dell’inclusione e per prevenire discriminazioni dirette o indirette passano dal monitoraggio della formazione, dalla fissazione di criteri di precedenza nell’accesso, e dal monitoraggio e prevenzione delle criticità (in primo luogo: tecno-stress e straining). Il presidio della formazione, specialmente verso le persone maggiormente a rischio di marginalizzazione, riguarda non solo le competenze digitali ma anche quelle relazionali, organizzative, comunicative del nuovo modo di lavorare. La negoziazione sui criteri di precedenza deve evitare che lo smart working venga percepito come un privilegio per alcuni; esso può rappresentare però una misura, azione positiva o “ragionevole accomodamento”, per casi di particolare fragilità personale, familiare e sociale.

Si tratta in particolare dei caregiver e dei genitori con figli fino a una certa età, che la normativa sia interna che europea rende destinatari di particolare attenzione anche rispetto a forme di lavoro più flessibili (vedi direttiva Ue 1158-2019; protocollo Orlando sullo smart working dicembre 2021).

Esistono tuttavia anche altre categorie, e in particolare le persone con disabilità (che tanto hanno tratto beneficio dallo smart working in fase pandemica), quelle in età non più giovane, quanti abitano molto lontano dalla sede di lavoro, i genitori di figli adottivi, le persone che presentano esigenze di cura anche personale. Una più generale definizione di criteri di priorità contenuta in un decreto del 2017 destinato al Pubblico impiego prevede l’accesso prioritario allo smart working nelle situazioni di particolare svantaggio personale, familiare e sociale o con riguardo ai lavoratori che svolgono attività di volontariato. Nel settore privato, ulteriori criteri di priorità possono essere inclusi anche nei contratti collettivi aziendali.

Il sindacato deve presidiare la tutela del rischio stress psicologico nelle forme e nei modi migliori, visto che molte ricerche evidenziano criticità nel coordinamento del lavoratore agile con la complessiva organizzazione del lavoro, difficoltà di condividere informazioni, bilanciamento delle pause, ecc.

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