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Il 25 settembre voteremo con una legge antidemocratica che i partiti non hanno saputo e voluto cambiare. Il taglio populista dei parlamentari, al quale ci eravamo opposti, ridurrà ulteriormente la rappresentanza e penalizzerà la coalizione liberal-democratico-
Non ci rassegniamo a questo scenario nero: andremo a votare forti della nostra storia e dei valori della sinistra, sapendo che l’astensione è la protesta di un solo giorno. I nostri riferimenti, come vuole la Costituzione, sono l’antifascismo, il ripudio della guerra, il lavoro, i diritti sociali e civili, la giustizia sociale, la salvaguardia dell’ambiente. La nostra agenda è quella della Cgil, non certo quella bellicista e liberista di Draghi.
Il paese reale è assente dalla campagna elettorale. Eppure siamo dentro un’economia, una democrazia, un’informazione di guerra, in una profonda crisi di sistema, sanitaria, ambientale, sociale e democratica.
Inflazione e recessione devastanti, speculazione sull’energia e sul gas che porterà al razionamento e alla crisi occupazionale, industriale e commerciale, conseguenze del conflitto in Ucraina e delle controproducenti politiche sanzionatorie. Occorre intervenire subito per fermare la guerra. Basta bellicismo, riarmo e invio di armi. Prima di tutto la Pace.
Peseranno nel voto i lunghi anni in cui i vari governi, compreso quello di Draghi, hanno perseguito politiche classiste e liberiste, con al centro il mercato e l’impresa, sostenuti da partiti consociativi e trasformisti, lasciando il mondo del lavoro e le fasce più povere senza voce e rappresentanza politica. Un pezzo di popolo, molta della nostra rappresentanza, non percepisce più la differenza tra destra e sinistra nelle risposte ai propri bisogni e condizioni di vita. Questo, non fantomatiche ingerenze russe, influenzerà il voto e alimenta disillusione e astensionismo delle classi sociali più deboli.
Dopo il voto del 25 settembre non lasceremo certo il vuoto, continueremo a mobilitarci, a lottare per la nostra agenda sociale, per dare rappresentanza e voce al mondo del lavoro, a chi paga il prezzo più alto delle conseguenze della follia della guerra e delle fallimentari politiche liberiste e classiste. La Cgil è e rimane in campo.
Sul link Change.org (https://chng.it/DbrdHDvtw4) sta avendo un lusinghiero successo l’appello “Non votare i parlamentari responsabili dell’aumento delle spese militari”, firmato in origine da un piccolo gruppo di giuristi, intellettuali e uomini di fede (Alessandro Santoro, Andrea Bigalli, Beniamino Deidda, Bernardo Gianni, Sandra Gesualdi, Tomaso Montanari) e controfirmato da tanti e tante altre.
“La guerra è sparita dalla campagna elettorale – è scritto nell'appello - ma non è sparita dai pensieri del 'piccolo ma deciso gruppo di coloro che, attivi in ogni Stato e indifferenti di fronte a considerazioni e limitazioni sociali, vedono nella guerra, cioè nella fabbricazione e vendita di armi, soltanto un'occasione per promuovere i loro interessi personali e ampliare la loro autorità personale', come scriveva Albert Einstein a Sigmund Freud nel 1932. E la pace è un bene troppo grande per lasciarla all’arbitrio di questi signori della guerra”.
L’unica guerra giusta è quella che non si fa, continua l'appello, denunciando con forza il voto parlamentare che, negli ultimi mesi della legislatura, ha deciso l’aumento delle spese militari fino al 2% del Pil. “Questo questo vuol dire preparare la guerra, non la pace. Vuol dire sovvertire il progetto della Costituzione, gettare al vento il sacrificio di chi è morto nella Resistenza.”.
Infine i firmatari ritengono che sia stato un grave errore alimentare la guerra in Ucraina attraverso l’invio di armi, anche se salvano la buona fede di alcuni parlamentari. E, citando Papa Francesco nell'enciclica “Fratelli tutti”, ricordano: “Francesco dice che non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile 'guerra giusta'”.
Lo spettacolo offerto dalla campagna elettorale in corso in Italia non merita chissà quali commenti. Solo alcune considerazioni. Un tempo si diceva che esiste un “partito unico” delle oligarchie finanziarie dominanti nel mondo. La destra, va da sé, è in questo campo. Ma anche quelle formazioni politiche di centrosinistra, neoliberiste e pro la cosiddetta “globalizzazione”, altro nome della sanzione imperialistica della fine dell’Urss, del socialismo reale e della correlata fine della socialdemocrazia storica europea. Globalizzazione come altro nome dell’imperialismo contemporaneo. A tutto ciò si sono immediatamente accompagnate la fine dei movimenti di liberazione nazionale, e la crisi dei progetti nazionali e popolari delle periferie del mondo.
Dopo il 1989 e il 1991, dominanti e intellettuali al servizio ci assicuravano che la storia era finita. Si dispiegava la ributtante retorica sull’avvio di un’epoca storica di pace, di giustizia, di progresso. Al contrario, abbiamo avuto guerre, vertiginoso aumento delle diseguaglianze, interne e su scala mondiale, uno scenario da incubo sul futuro per molte persone, nel Nord Globale e soprattutto nel Sud Globale. A causa dell’aggravamento delle condizioni materiali di esistenza, con la progressiva cancellazione del welfare e con la potente dinamica di svalorizzazione e di umiliazione del lavoro. Uno scenario da incubo a causa della crisi ecologico-climatica. Lo stato del mondo e lo stato del pianeta correlati. Oggi così intrecciati e così bisognosi di soluzioni urgenti.
Questo breve riepilogo per dire che il teatrino di questa campagna elettorale è veramente misero. Con l’eccezione dei partiti alternativi e antisistema, si fa a gara a chi è più atlantista, a chi presenta il tasso più alto di russofobia, di dileggio di Putin e del suo sistema di potere, di osservanza del dominio Nato e Usa, ecc. A chi invoca il riarmo dell’Italia (oltre alle armi all’Ucraina), a chi invoca l’inasprimento delle sanzioni alla Russia, a chi blatera su democrazia, libertà, diritti umani, “valori occidentali”. La guerra serve sempre a creare diversione di massa, a dirottare le coscienze, a fare propaganda spicciola, ad arruolare e a irreggimentare. “I barbari servono sempre” (allusione all’immortale poesia di Kavafis). Per consentire di non parlare dei veri problemi e dei veri mali, atavici e recenti, della nostra Italia. “Putin ha determinato la caduta del governo Draghi”. “Putin minaccia l’Italia e interferisce sul voto”.
En passant, sembra la descrizione perfetta della vera ingerenza e del vero interventismo Usa dal dopoguerra in avanti, in Italia (e nel mondo). La guerra di Putin è all’origine della crisi energetica, dell’aumento delle bollette, ecc. Ci manca il riferimento alle proverbiali cavallette e i mali nostri sono presto spiegati. Destra, centro e cosiddetta “sinistra” fanno a gara in questa campagna elettorale. Il partito unico atlantista e guerrafondaio. Rimangono le dovute differenze sui diritti civili, sul nazionalismo, sul razzismo, sulla faccia fascista contro migranti e profughi. I tanti mali e i tanti problemi dell’Italia sono così elusi in questo apparente aspro scontro.
È quella che segue una litania. Ma serve a rifarci i fondamentali.
Il lavoro, gli incidenti e le morti sul lavoro, i salari e le pensioni da fame, la povertà, la precarietà, la recente prolungata siccità (e i necessari investimenti e i lavori da fare per prevenire da qui in avanti), la condizione ambientale e i cambiamenti climatici, i lavori da compiersi per prevenire ricorrenti, sicure, puntuali alluvioni, dissesti, frane, la sanità (dopo le promesse sul potenziamento della sanità pubblica, sulla medicina territoriale, sulla prevenzione, sul medico di base), la scuola e l’università, sempre deficitarie, la condizione intollerabile delle carceri italiane, la condizione delle orribili periferie delle grandi città, la condizione delle famiglie e dei soggetti con disagio psichico e psichiatrico (con annesso progressivo smantellamento dei Centri Psicosociali), la condizione dei migranti, la mai risolta questione meridionale. Qui mi fermo. L’elenco è lungo.
I media italiani, con le dovute lodevoli eccezioni, sono impegnati in questa campagna di chiacchiere, di parole in libertà, di finti scontri, di disinformazione e di manipolazione. Gruppi dirigenti politici e mass media coinvolti nella “circolazione delle élite”, nella separatezza di queste élite rispetto al paese reale, soprattutto rispetto alle classi subalterne.
In questo quadro di disorientamento degli strati popolari e del vecchio “ceto medio riflessivo”, il voto a destra è assicurato. E l’antipolitica e l’astensionismo, alimentati anche da quelle élite, da chi la politica e la partecipazione al voto dovrebbe invece nobilitare, si rafforzano sempre più.
Vuoto politico e vuoto culturale in alto e, purtroppo, inerzia sociale, politica e culturale in basso. Sempre con le dovute e lodevoli eccezioni. Le classi dominanti e il capitalismo hanno sempre reagito alle sfide poste dai movimenti democratici e dal movimento operaio, socialista e comunista, spesso concedendo, migliorandosi, ingentilendosi. Ma spesso reagendo anche con il fascismo e con strette reazionarie. La partecipazione democratica e la giustizia sociale costituiscono sempre i “marcatori” dello sviluppo civile.
Guerra, Europa, Russia, Usa e Nato. Lo scenario geopolitico e la crisi di egemonia su scala mondiale
Rinvio a un articolo recente nel quale ho trattato diffusamente di questi temi a partire dalla vicenda di Patrice Lumumba e dell’eterno colonialismo europeo (vedi in https://www.giorgioriolo.it/
La scelta pacifista è indiscussa. No alla guerra, sempre. Tuttavia occorre sempre comprendere le dinamiche reali, di come funziona il mondo. Quella in corso è una guerra che Usa e Nato, con i vassalli europei, a proprio danno questi ultimi, hanno costruito negli anni. Con l’espansione della Nato a Est, con l’accelerazione del colpo di stato del 2014 in Ucraina e con la immediata guerra civile contro le popolazioni russofone del Donbass. Dal 2014 a oggi.
La Russia di Putin ha risposto in modo brutale, pensandosi ancora una superpotenza, come ai tempi dell’Urss. Ma è proprio ciò che i guerrafondai volevano. Gli Usa sono a 10mila chilometri di distanza e sono campioni nelle guerre per procura. La guerra deve continuare e non avere una soluzione in una trattativa di pace. La benzina gettata sull’incendio è proprio con l’invio delle armi all’Ucraina. E l’Italia è protagonista in ciò. Anzi l’Italia si riarma con il 2% del Pil, così come voluto da Usa e Nato.
Zelenskj fu eletto nel 2019 a furor di popolo, con il 73% dei voti. Ma questo perché nella sua piattaforma elettorale si diceva apertamente che si sarebbe adoperato per una soluzione pacifica del conflitto nel Donbass e avrebbe proceduto nell’applicazione degli accordi di Minsk II. Una volta eletto presidente, neonazisti, ultranazionalisti e Usa lo hanno bloccato. Ogni suo accenno, nella prima fase di guerra, a sedersi a trattare con la Russia subito fermato da Usa, Regno Unito, Nato. La guerra deve continuare. La guerra serve. Isteria collettiva in Occidente.
La guerra si inscrive nella generale crisi di egemonia degli Usa, in relativo declino da tempo a causa di trasformazioni economiche profonde e l’emergere di contendenti, in primo luogo la Cina. E le continue guerre, dirette o per procura, in tutti questi anni sono la manifestazione della volontà di perpetuarsi come potenza egemone indiscussa e come gendarme e giustiziere mondiali. Occorreva scongiurare il temuto asse Berlino-Mosca ed Europa-Russia. E gli Usa e la Nato hanno ottenuto lo scopo.
Adesso è la volta del cosiddetto asse euroasiatico, con la Russia e la Cina come protagoniste. La “Nato Globale” sancita nel summit di Madrid del giugno scorso ha già indicato la Cina come “minaccia globale”. Si prepara la prossima crociata e la guerra di civiltà di questi paladini della democrazia, della libertà, dei sempiterni “valori occidentali”.
Che fare?
Noi siamo necessariamente opposizione qui in Italia, in Europa, in Occidente. Le oligarchie finanziarie italiane e straniere, le élite di cui sopra, non ci vedranno arruolati nelle loro crociate e nelle loro avventure, pur di eludere i problemi reali del pianeta.
Lo scenario futuro è preoccupante. Già in questi prossimi autunno e inverno avremo gravi problemi economici e gravi problemi sociali per lavoratrici e lavoratori a causa della crisi energetica e della crisi economica in generale.
Questi gruppi dirigenti non sono in grado e non vogliono affrontare seriamente la crisi ecologico-climatica. Vedremo un altro teatrino di promesse nella prossima Cop27 a Sharm el-Sheik nel prossimo mese di novembre. Il problema vero è il malsviluppo e il modello di consumo e di sperpero tipici occidentali. Democratici e repubblicani uniti negli Usa, “il livello di vita dell’americano medio non è in discussione, non è contrattabile”. Così in Europa.
La crisi geopolitica su scala mondiale esige che si lavori per un mondo multipolare antiegemonico. Con una ripresa del protagonismo del Sud Globale. Le sfide globali esigono che si lavori per un “soggetto sociale complessivo”.
Nel marzo scorso lavoratrici e lavoratori della Gkn e i giovani di Fridays For Future Italia congiuntamente hanno indetto due giornate di mobilitazione per il lavoro, per la pace, per il clima e per l’ambiente. Un bell’esempio dal forte carattere simbolico.
L’unità nei soggetti sociali quale stimolo per quell’agognata unità politica delle sinistre. Semplicemente autentiche, decenti.
Sono necessarie misure alternative, a partire dalla definanziarizzazione dell’energia e, in Italia, dalla rinazionalizzazione.
Il caro energia sta creando una crisi sociale ed economica durissima in gran parte causata dalle scelte sbagliate dell’Unione europea che ha compiuto vari errori. Provo a elencarne alcuni e a individuare qualche conseguenza.
Ha costruito negli anni una vera e propria dipendenza, fatte salve alcune eccezioni, dalle forniture russe.
Ha consentito una vera e propria finanziarizzazione dell’energia, in particolare scegliendo l’hub di Amsterdam come mercato di riferimento; un “mercato” piccolo e fortemente speculativo.
Ha permesso, riprendendo normative internazionali, l’ingresso negli hub energetici di soggetti che non avevano nulla a che vedere con la produzione e la vendita di energia.
Ha agganciato il prezzo di tutte le fonti energetiche a quello del gas.
Ha privilegiato gli acquisti giornalieri rispetto ai contratti di lungo periodo.
Ha individuato nel gas la pressoché unica fonte energetica “fossile” nel processo di transizione ecologica, favorendo così la speculazione sul suo prezzo.
La prima conseguenza di tutto ciò è data dal fatto che il prezzo dell’energia è oggi, in Europa, nove volte più alto di quello negli Stati Uniti. La seconda conseguenza è costituita dal rischio reale di una fuga delle imprese dai paesi dell’Unione in direzione di aree dove l’energia costa meno. Per molte produzioni, ormai, l’energia rappresenta il 70-80% dei costi; un dato insostenibile. La terza conseguenza è data dall’indebolimento dell’euro che aggrava l’inflazione e, data l’impennata dei costi dell’energia, non agevola neppure le esportazioni europee.
Di fronte ad un disastro di simili proporzioni, tuttavia, non vengono prese misure che sembrerebbero elementari. Ne indico quattro.
La prima consisterebbe, appunto, nello sganciare il prezzo dell’energia da quello del gas. Oggi esistono forme di produzione di energia, a cominciare dalle rinnovabili, che costano molto meno del gas ma, in base alle disposizioni europee, vengono vendute al prezzo del gas che, essendo oggetto di speculazione, sale ogni giorno. Per una disposizione europea dunque paghiamo tutta l’energia ad un prezzo altissimo anche se esistono forme di energia che hanno costi bassi. Un’assurdità per cui esiste una soluzione facile: sganciare i prezzi dell’energia da quelli del gas.
La seconda. Come ricordato, i prezzi del gas sono definiti alla borsa di Amsterdam che produce una colossale montagna di scommesse a fronte di un limitatissimo volume di scambi, per uno o due miliardi di euro al giorno a fronte di un volume di 2.000-3.000 miliardi della borsa petrolifera di Londra. Perché non si elimina questa distorsione? Perché non si definanziarizza l’energia, magari cominciando con lo scegliere un mercato di riferimento dei prezzi che tratti maggiori volumi? Non sarebbe difficile di fronte ad una crisi che sta facendo chiudere attività, sta spingendo in povertà e sta gonfiando solo i profitti finanziari.
La terza. Il prezzo dell’energia è impazzito per effetto della speculazione. Le bollette sono ormai insostenibili e le forze politiche chiedono aiuti, che sono difficilmente quantificabili data la probabile crescita ulteriore dei prezzi. Si tratta in ogni caso di spesa pubblica, sottratta ad altri impieghi, e destinata a pagare il caro energia determinato dagli speculatori e dalle società che fanno extraprofitti; una vera follia, come più volte ricordato. Ma rispetto a questo tema c’è un ulteriore problema. Da più parti si sostiene, giustamente, di tassare gli extraprofitti energetici con una percentuale ben superiore al 25%. Il problema nasce però dal fatto che questi extraprofitti non sono facili da calcolare viste le normative sui bilanci delle società energetiche e data la mole di strumenti contabili creati nel tempo per rendere meno chiara la loro lettura. Non a caso le società energetiche hanno già fatto ricorso contro la tassazione e soprattutto hanno versato pochissimo, meno del 20% del valore dell’imposta stessa. Non trascurerei il fatto che le normative hanno consentito l’ingresso nelle società energetiche, strategiche per un paese, dei grandi fondi speculativi, certo poco propensi a pagare imposte. Servirebbe dunque una maggiore presenza pubblica nell’energia, con ipotesi di rinazionalizzazione motivata con ragioni non dissimili da quelle che avevano portato alla nascita di Enel, concepita per battere monopoli che oggi sono finanziari. In ogni caso occorre una radicale riforma della contabilità delle società energetiche per renderle finalmente trasparenti.
La quarta. Si legge nel programma di alcune forze politiche l’idea di un tetto nazionale del prezzo del gas a 100 euro a megawattora. Mi permetto di dire, sommessamente, che non è realizzabile, a meno che lo Stato non paghi la differenza con il prezzo reale, che significherebbe un esborso colossale agli attuali prezzi. Il prezzo del gas è infatti definito, purtroppo, su quello più alto e a quel livello viene venduto da tutti i venditori sia russi sia algerini sia mozambicani o di qualsiasi altra parte del pianeta. Sostenere di pagare 100 euro quando il mercato ne vuole 250 è un’affermazione di principio simile a “Quota Novanta” di Mussolini perché nessuno venderà all’Italia gas a 100 euro, così come nessuno voleva 90 lire per una sterlina. Dunque, farlo pagare agli italiani 100 euro significa, come detto, che lo Stato italiano paga ai fornitori l’enorme differenza, ma tale differenza dovrà provenire dall’aumento del carico fiscale, da nuovo debito o, magari, in parte dai già ricordati extraprofitti. Il tetto massimo, tanto più nazionale, non è una soluzione per un paese che importa il 97% della propria energia. Sarebbe necessario, e possibile, invece frenare i meccanismi che generano gli alti prezzi del gas, a cominciare dai già accennati limiti alla finanziarizzazione: perché non introduciamo un regolamento, anche nazionale, che impedisce l’uso dei derivati finanziari in relazione a energia, beni agricoli, alimentari, commodities e materie prime? Perché non sosteniamo le battaglie in tal senso nelle sedi europee e in quelle internazionali?
Un’ultima considerazione. Gli scenari europei stanno rapidamente cambiando. In particolare sta modificandosi la posizione della Germania che sembra dover fare i conti con la crisi di due degli assi portanti delle sue strategie economiche. In primo luogo è travolta, più di gran parte dell’Europa, da una pesantissima inflazione che dipende in primis dal costo dell’energia importata. Si tratta di un dato molto anomalo per la Germania che, dal dopoguerra, ha sempre coltivato una moneta forte per scongiurare i pericoli della supersvalutazione patita dalla Repubblica di Weimar. In altre parole, per i tedeschi la valuta forte è stata l’obiettivo prioritario, anche in termini simbolici, per allontanare i fantasmi del passato. Oggi, il fantasma dell’inflazione è tornato. Il secondo asse portante entrato in crisi è la politica di buone relazioni energetiche con la Russia su cui i vari governi tedeschi hanno costruito le proprie dinamiche di sviluppo; l’energia russa a basso costo è stata una delle componenti decisive della spinta di cui ha goduto l’economia tedesca. Anche questo secondo asse è ora in crisi profonda e proprio la pressoché totale dipendenza dalla Russia, coltivata nel tempo, genera in Germania una crisi economica pesante. Peraltro, proprio l’idea di un gas a prezzi stracciati non ha mai fatto sollevare obiezioni, da parte della Bce “tedesca”, agli eccessi di finanziarizzazione che oggi sono la causa dell’inflazione e quindi delle difficoltà tedesche. Dunque, la Germania è in affanno e una simile condizione ha buona parte delle responsabilità nella debolezza dell’euro, ritenuta dai mercati una moneta “tedesca” appunto.
Questa nuova situazione cambia però anche il quadro europeo nel suo insieme, perché spinge la Germania a chiedere aiuto ai paesi che si affacciano sul Mediterraneo per ricevere “solidarietà” in termini energetici. Scholz propone di trasferire una parte dell’energia importata in direzione della Germania. Forse ci sono le condizioni per scrivere veramente nuove regole.
(31 agosto 2022)