Fermare la logica di guerra - di Giacinto Botti

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La guerra non si ferma. Non si stanno costruendo le condizioni per la Pace ma quelle per uno scontro globale tra potenze economiche e tra potenze nucleari.

In Italia siamo di fronte all’informazione di regime, alla caccia alle streghe. Dopo le foto segnaletiche sul Corriere della Sera degli “amici” di Putin e della Russia, siamo a un nuovo elenco di “traditori della Patria”: gli intellettuali, i giornalisti, gli storici, i programmi televisivi. Manca solo, per vigliaccheria, Papa Francesco. In quell’elenco potremmo esserci pure noi per aver organizzato i convegni di Bari e Milano contro la guerra, insieme a noti ospiti dissidenti; potrebbe esserci il nostro segretario generale per ciò che afferma nelle piazze, e con lui tutta la Cgil. Tutte e tutti coloro che non mettono l’elmetto e rifuggono dal linguaggio di guerra, non si piegano alla propaganda di regime, al pensiero unico su una guerra che si doveva e si poteva evitare ed è in continua, drammatica escalation.

Siamo al maccartismo più pericoloso e stupido, a una vile e meschina ipocrisia, a un attacco organizzato al di fuori della Costituzione, con la complicità di molti di quei politici che si professano liberali o progressisti. Un attacco alla libertà di stampa, di pensiero, di espressione, di critica e di riflessione che dovrebbe allarmare ogni democratico e lo stesso Presidente della Repubblica.

Dobbiamo rilanciare la nostra mobilitazione per la Pace, contro la guerra e l’invio delle armi, contro la folle corsa al riarmo in Italia e in Europa. La Nato, dopo il vertice di Madrid, si conferma un’alleanza bellicista e non solo difensiva.

La Cgil su questa corsa bellicista deve continuare far sentire la sua voce, le sue critiche, le sue preoccupazioni. Le scelte assunte dal vertice Nato sono sempre più a servizio degli interessi economici e geopolitici degli Usa, e non certamente dell’Europa e di un’Italia sempre più co-belligerante e subalterna. Una Nato globale che, con l’entrata di Svezia e Finlandia, fino a ieri neutrali, alimenta l’idea di uno scontro mondiale a tutto campo con Russia e Cina. Si è follemente deciso di avere più basi, più militari statunitensi, più forze e più armi nella Fortezza Europa. Si sta perdendo ogni barlume di ruolo negoziale tra i veri belligeranti.

In nome della presunta superiorità di civiltà e democrazia occidentali, la Nato si allea con dittatori, razzisti e amici di Putin. Si fa complice del dittatore Erdogan che massacra i curdi e ne nega il diritto all’autodeterminazione, mentre l’Italia stringe accordi militari con l’Ungheria dell’autocrate razzista Orban.

La guerra è uno spartiacque. Discriminante per tutti è l’idea di Pace e progresso, la coerenza e concretezza di parole come progressismo, riformismo, europeismo. Una concretezza non manifestata da parte dei leader di partito nell’incontro nazionale “Il lavoro interroga”. Risposte vuote e impegni sfuggenti sul merito e sulla rottura pluridecennale tra partiti e istituzioni e il mondo del lavoro.

La Cgil è un soggetto di rappresentanza generale e in questa grave crisi di emergenze globali vuole essere protagonista del cambiamento con la sua autonomia di pensiero e di azione.

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“Non siamo delusi, le condanne ci sono”. Anche se negli anni hanno dovuto ingoiare tanti rospi, i familiari delle vittime della strage di Viareggio hanno accettato con serenità le decisioni della corte, nel secondo processo d'appello sulla più grande tragedia mai avvenuta sulla rete ferroviaria della penisola. Una strage innescata dal deragliamento all'altezza della stazione di un treno merci da 14 cisterne cariche di gpl che andava a più di 100 km/h. Con l'immane esplosione che ne seguì, e che cancellò l'intera via Ponchielli.

Quella notte del 29 giugno 2009 morirono 32 persone, e quasi un centinaio subirono ustioni anche gravissime, con pesanti danni permanenti. La prescrizione del reato di omicidio colposo plurimo è stata vissuta come una nuova ferita dai familiari della vittime. Ma le imputazioni residue di disastro ferroviario colposo, incendio e lesioni colpose hanno portato comunque a sancire le responsabilità dei vertici del Gruppo Fs, in primis l'ex numero uno Mauro Moretti, di Rfi e di Trenitalia, e della multinazionale del trasporto merci su ferro Gatx Rail Austria e Gatx Rail Germania, oltre che dell'Officina Jungenthal di Hannover. Perché una corretta manutenzione dei carri merci avrebbe evitato la strage. Così come l'avrebbe evitata l'assenza di ostacoli – il picchetto di segnalazione delle curve, sostituito con segnalatori ottici sulle sole linee ad alta velocità - ai fianchi della massicciata.

La dettagliatissima inchiesta della magistratura requirente, che ha evidenziato le carenze nella intera catena di sicurezza nel trasporto ferroviario di merci pericolose, dovrà ora affrontare un nuovo giudizio in Cassazione. Ma la sentenza d'appello bis che conferma le condanne ai vertici del gruppo Fs e delle multinazionali straniere potrebbe questa volta diventare definitiva. Anche se rimarrà incancellabile la decisione della Cassazione di non considerare il rischio lavorativo, cancellando di fatto il reato principale di omicidio colposo plurimo.

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Alberto Negri: “L’Occidente usa gli ucraini contro i russi, come ha fatto con i curdi contro il califfato” - di Frida Nacinovich

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Nel caos delle guerre, Alberto Negri è una sicurezza. A lungo firma del ‘Sole 24 Ore’, grande inviato e profondo conoscitore della geopolitica, oggi racconta sulle colonne de ‘il manifesto’ le evoluzioni in corso, o per meglio dire le involuzioni, sullo scacchiere politico internazionale.

Negri, come ne usciamo dal pantano della guerra russo-ucraina?
“L’ultima conferenza della Nato, ma anche tutte le altre che l’avevano preceduta, così come quelle che ci saranno nei prossimi due mesi, non lasciano prevedere spiragli di pace. Poi cosa significa pace? Al massimo, in questa situazione, vuol dire cessare il fuoco. Non si può parlare di pace. Non ci sono indicazioni concrete ad esempio su dove potrebbe essere fissata la linea per cessare il fuoco. Al momento si continua a combattere, si possono fare soltanto delle ipotesi. C’è chi sostiene che, per gli ucraini, i russi dovrebbero tornare sui confini precedenti al 24 febbraio. Ma non è affatto detto che Mosca sia d’accordo. Cioè che possa ritenersi soddisfatta accettando una linea entro i confini che c’erano prima che cominciasse quest’ultimo conflitto. E poi bisogna capire quanto le due parti, dal punto di vista militare, siano in grado di sopportare quanto a uomini e mezzi. Questo è l’aspetto fin qui più importante, per capire fino a che punto possono andare avanti a combattere”.

Inviare armamenti per arrivare ai negoziati di pace appare a molti un controsenso. Lei che ne pensa?
“Mandare armi? Certo che non favorisce processi di pace. Non stiamo mica giocando ai soldatini di piombo. E' chiaro che finché arrivano le armi si continua a combattere. Ma al di là di questo, ciò che conta è la capacità che hanno i russi di consolidare le conquiste che possono fare. Abbiamo visto che per esempio hanno dovuto mollare l’isola dei Serpenti agli ucraini. Quindi è chiaro che hanno difficoltà anche logistiche di consolidamento delle conquiste fatte. Non so fino a che punto possono arrivare, non so se vogliono fermarsi a Mykolaiv o andare verso Odessa. Ma certamente sforzi militari di questo genere implicano molte più truppe e molti più mezzi sul campo. Nello stesso tempo gli ucraini hanno capito che per loro è assolutamente una perdita continuare a combattere per villaggi e posizioni sul Dnepr, dove i russi tendono a fare terra bruciata. Anche gli ucraini hanno dei problemi di reclutamento di uomini, oltre che di mezzi militari che aspettano in particolare dagli Stati Uniti e dalla Nato”.

Mentre ci si affanna a difendere i diritti umani in Ucraina, si continuano a mandare al macello i curdi. Al riguardo l’ultimo vertice Nato di Madrid è stato chiaro.
“Dopo tutte le vane parole che abbiamo fatto fino ad ora, questo mi sembra l’unico argomento concreto di cui parlare. Cioè il fatto che si è giocato sulla pelle dei curdi l’ingresso della Svezia e della Finlandia nell’alleanza atlantica, una cosa assolutamente vergognosa. Soprattutto per l’Occidente e gli Stati Uniti, che hanno usato i curdi come fossero la loro fanteria contro il califfato. Così come stanno usando gli ucraini come fanteria contro la Russia. È la stessa cosa, magari un giorno o l’altro molleranno pure loro. Ma che Svezia e Finlandia siano arrivate a questo accordo è sconcertante. Perché non c’è solo l’estradizione del Pkk e dell’Ypg, cioè di quelli che combattevano a Kobane. C’è anche il fatto di togliere l’embargo di armi alla Turchia da parte di Finlandia e Svezia. Quindi, in poche parole, si arma nuovamente la Turchia per fare altre guerre contro i curdi. Guerre che sono già iniziate, visto che da aprile è in corso un’offensiva turca in quell’area, sia in Siria che in Iraq. Ancora più sconcertante è infine il fatto che, fra quelli che imputano a Putin di essere un aggressore e di aver violato il diritto internazionale, cosa che del resto ha fatto, nessuno si preoccupi di rimproverare alla Turchia non soltanto il massacro dei curdi ma anche l’occupazione di territori di altri paesi, sia in Siria che in Iraq”.

L’Europa sembra essere rimasta quella tratteggiata dal Mahatma Gandhi con una sola, fulminante, battuta: “Una buona idea”.
“L’Europa non ha alcun ruolo. Scusa, di che diamine di ruolo stiamo parlando?”

All’inizio del conflitto russo-ucraino si è parlato della necessità di un esercito europeo. E' già finito tutto in cavalleria?
“Ma va… Dai, queste sono cose che scrivono i giornali, quegli articoli che fanno piangere le mamme e ridere gli amici. Quando mai si è visto un esercito europeo in un’Unione europea dove non c’è una politica estera comune? Adesso facciamo l’esercito europeo? Mi sembra un po’ contraddittorio. Prima occorre una politica estera comune, poi una politica comune di difesa, e dopo forse arriverà l’esercito europeo. Prendiamo ancora il caso della Turchia e dei curdi. Quando nel 2019 gli americani si sono ritirati e hanno lasciato ad Erdogan mano libera per il massacro dei curdi siriani, gli europei avevano lasciato balenare l’idea di mettere sanzioni alla Turchia. Chi le ha mai viste queste sanzioni? Nessuno. Perché già la Turchia ricattava l’Unione europea sui profughi siriani, su quei tre milioni e mezzo di profughi che Erdogan si tiene in casa. Ecco perché non esiste un esercito europeo, e non c’è una presa di posizione europea. Lo abbiamo visto benissimo anche nelle vicende che hanno riguardato la Turchia e il Mediterraneo. Le famose zone economiche di esclusione. Oggi la Turchia pretende una zona economica di esclusione di mille chilometri, che parte dalle sue coste e che arriva fino a quelle della Libia. E l’Europa che fa? Niente. Mentre ci stiamo occupando dell’Ucraina, dell’est europeo e via discorrendo, lasciamo che il Mediterraneo sia di fatto in preda all’anarchia, e alla volontà di potere di vari Stati che si affacciano su questo mare. Per di più in una situazione di alta instabilità, come si sta vedendo anche in questi giorni in Libia, che non è certo una novità”.

Faccia finta di avere una sfera di cristallo: quando taceranno le armi in Ucraina?<

“Non possiamo pensare a una svolta a breve termine quando stiamo fornendo armi a una parte, mentre l’altra non ha la minima intenzione di sedersi a un tavolo. Mi sembra che entrambe in questo momento abbiano escluso un negoziato. Non escluderei però che ci siano delle trattative sottobanco. Questo sì. E queste trattative possono essere segnalate da alcune dichiarazioni che arrivano, di tanto in tanto, dalle due parti. Soprattutto da parte di Zelensky e di Kiev per la questione della Crimea. Mi sembra abbastanza improbabile che ad esempio gli ucraini puntino alla riconquista dei territori persi nel 2014. E questo fa capire abbastanza bene che, se si sta trattando dietro le quinte, è evidente che si discute di un cessate il fuoco sui confini precedenti il 24 febbraio, non certo a quelli del 2014. L’annessione della Crimea è data ormai per scontata”.

Scusi Negri, non le sembra che l’opinione pubblica italiana non capisca e non si adegui a questa guerra nel cuore dell’Europa?
“Molti non capiscono questa guerra ma tutti capiscono gli effetti di questa guerra, soprattutto in Europa e nei suoi paesi principali che sono la Germania, la Francia e l’Italia. L’esempio delle sanzioni è molto evidente. Queste sanzioni stanno in qualche modo penalizzando molto più i paesi europei di quanto penalizzino la Russia. Basta vedere come annaspano in sede europea per cercare di trovare un accordo sul prezzo del gas, e come l’Unione europea non sia riuscita ad avere una linea comune sugli approvvigionamenti di gas. Un giorno gli storici dovranno spiegare come mai, nei primi mesi di questo conflitto, l’Italia, la Germania e gli altri paesi europei abbiano dovuto versare miliardi di dollari e di euro alla Russia per mantenere gli approvvigionamenti di gas. Questo è un altro aspetto particolarmente interessante. Fa parte dell’apparato di propaganda occidentale voler ignorare che la Russia non è affatto isolata come viene descritta. La riunione dei Brics è stata evidente sotto questo punto di vista: India, Cina, Brasile, Sudafrica e tutti gli altri continuano tranquillamente a fare affari con la Russia: non solo comprano petrolio e gas, ma Cina e India hanno aumentato gli approvvigionamenti dalla Russia. Inoltre, se noi diamo uno sguardo al Medio Oriente, vediamo che molti paesi non si sono allineati con le decisioni europee. Faccio gli esempi più eclatanti: perché Israele non ha applicato sanzioni alla Russia? E non c’è solo Israele. Anche l’Arabia Saudita, l’Egitto, la Nigeria stessa, per non parlare naturalmente della Siria. Tutti paesi che non solo non sono allineati con l’Occidente, ma mantengono intensi rapporti economici e commerciali, persino militari, con Mosca. Ecco perché si parla di propaganda. Si parla di propaganda nel momento in cui non si guardano i fatti così come stanno”.

StoptheWarNow: la seconda Carovana di pace in Ucraina - di Emanuele Giordana

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E' finita mercoledì 29 giugno con la partenza da Odessa la seconda Carovana di pace organizzata da StoptheWarNow che, dopo l’esperienza a Leopoli in aprile, aveva raggiunto lunedì 27 giugno la città sul Mar Nero e martedì si era spostata a Mykolaiv, 130 chilometri più a nord, considerata una sorta di porta verso Odessa nel caso l’esercito russo contemplasse di occupare anche la fascia marittima dell’Ucraina. Questo di un possibile nuovo assalto è un clima che si percepiva in entrambe le città, anche se l’apparente tranquillità di Odessa strideva con la evidente militarizzazione di Mykolaiv, i cui sobborghi sono a soli 7 chilometri dal fronte.

Mykolaiv sembrerebbe a tutta prima una località tranquilla sul Nipro (Dnepr), il più grande fiume ucraino e il quarto in Europa. Ordinata, pulita, alberata e anticipata da sconfinati campi di frumento che ancora ondeggiano gli steli gialli al vento del Mar Nero. Ma se ci si avvicina al centro, appare una città militarizzata: sacchetti di sabbia, postazioni mimetiche, bunker infossati. Avvicinandosi alle strade che portano a nord nord-est, la città, conquistata in periferia dai Russia che poi hanno dovuto ritirarsi, è traforata da trincee, buche, rifugi, feritoie, e l’artiglieria russa martella a intermittenza.

Incontriamo Maxim Kovalenko, del consiglio comunale cittadino; ci spiega che Mykolaiv conta ormai oltre 30 vittime civili dall’inizio della guerra, e il bombardamento dell’impianto di desalinizzazione che ha lasciato la città senz’acqua potabile. Una città di 450mila abitanti ridotta adesso a 250mila, perché in tanti se ne sono andati. Prima c’erano molti filorussi. Adesso, dice il consigliere, nemmeno uno. Ma sembra, dice un collega qui da un po’ di tempo, che nemmeno Zelensky sia troppo popolare. E a giudicare dalle file in attesa di un cestino o per riempire le bottiglie, si capisce che il tema della guerra finisce per essere sempre quello: morte, dolore. Fame e miseria se va bene.

È in questo clima che la Carovana di StoptheWarNow, al suo secondo giorno in Ucraina, deposita la merce raccolta in Italia. Lo scarico viene interrotto dalle sirene e si scende nel bunker rifugio: forse 150 metri, attrezzati con cucine e letti. Il rifugio, ricavato sotto un centro di riabilitazione, offre l’occasione per altre parole: “Apprezziamo gli aiuti – dice ancora Maxim – ma ci tocca soprattutto che siate venuti fin qui sfidando le bombe”. Con molta diplomazia, a chi chiede di cosa ha bisogno la città, Maxim – che pure ha parole di elogio per il suo presidente – evita di dire “armi”, come accade il più delle volte. Evidentemente questo convoglio di pacifisti una funzione ce l’ha.

Nei pressi hanno scavato un pozzo. Chiedono di non fotografarlo perché non sia localizzato ma ci mostrano il desalinizzatore cui sta per aggiungersene un altro regalato da StoptheWarNow. La città consumava 150 metri cubi in tempi normali, ma ora è tanto se si arriva a desalinizzarne 20, perché l’acqua estratta dai pozzi è salmastra. E così l’acqua, che normalmente è la ricchezza della città per la presenza del fiume, adesso è la sua condanna. La gente in strada finge una normalità sospesa su quella che è la porta orientale verso Odessa e che i russi tengono in scacco con bombardamenti costanti: o pensando a una prossima mossa o, più semplicemente, per tenere sotto pressione il fianco marino dell’Ucraina e distrarre soldati dal fronte vero, quello del Donbass.

Il ritorno a Odessa consente una “photo oportunity” con striscione anche nella città fondata da Caterina la Grande sulle ceneri, pare, di un insediamento greco di nome “Odisseus”, che la zarina volle declinato al femminile. Il centro storico, che guarda il porto e il mare, è imponente. E se non c’è nulla delle vestigia ottomane, non c’è nemmeno troppa aria di Russia (in tutte le altre parti l’impronta sovietica è invece chiarissima), perché l’architettura richiama piuttosto elementi tipici di quella dell’Europa occidentale. Chi la disegnò e progettò per Caterina era del resto un nobile francese, che si serviva di architetti italiani.

È l’ultimo giorno della Carovana in Ucraina. Il bilancio racconta della consegna di circa 40 tonnellate di aiuti, ma anche la dimostrazione che una presenza fisica è utile e necessaria. Il prossimo appuntamento è a metà luglio con una terza Carovana, espressione di questa variegata coalizione informale di associazioni (cattoliche, laiche, sindacali) che ne conta ormai più di 170. L’idea è di costruire delle realtà stabili in almeno tre città (Kiev, Leopoli, Odessa). Percorso non facile ma una scommessa da tentare. In salita, come è in salita tentare di combattere la guerra senza fare uso delle armi.

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