Il 2 febbraio scorso ricorreva il quinto anniversario del Memorandum d’intesa firmato da Italia e Libia per il “contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere”. Firmatari dell’intesa – che aveva vigenza triennale, successivamente confermata dal secondo governo Conte per altri tre anni – l’allora primo ministro italiano Paolo Gentiloni e il primo ministro del ‘Governo di riconciliazione nazionale’ libico Fayez al-Sarraj. Ispiratore e protagonista assoluto l’allora ministro degli Interni italiano, Marco Minniti.
Sono oltre 82mila le persone catturate in mare, portate in Libia e rinchiuse nell’inferno delle carceri libiche in cinque anni; ottomila hanno perso la vita lungo la rotta del Mediterraneo centrale,oltre 1.500 solo nel 2021: questo è il tragico bilancio di quel Memorandum, che affida il pattugliamento del mare Mediterraneo ai cosiddetti guardacoste libici, attraverso la fornitura da parte italiana di motovedette, di un centro di coordinamento marittimo, e di attività di formazione.
La denuncia sui tragici risultati di quell’accordo è stata rilanciata in questi giorni dalle organizzazioni non governative che si occupano di diritti umani, Amnesty International e Oxfam Italia in testa, e da un appello internazionale firmato da decine di organizzazioni italiane e straniere, con l’Asgi in prima fila.
Il Memorandum scadrà nel febbraio 2023, ma sarà rinnovato automaticamente per altri tre anni se governo e Parlamento italiani non lo annulleranno entro il 2 novembre di quest’anno.
La richiesta di sospendere l’accordo e di non rinnovarlo arriva da tempo da un vasto fronte associativo e sindacale. Anche la Cgil ha preso parola in occasione dell’anniversario della firma, denunciando che “quello che accade in Libia è uno scempio e una vergogna” e “dimostra che la scelta di fondo fatta dall’Italia e dall’Europa è una sola: non affrontare il fenomeno migratorio come tale, e cioè in modo strutturale e quindi da governare, ma sempre e solo come un’emergenza. Per diversi anni prima della pandemia sembrava che gli sbarchi e le ‘invasioni di orde di profughi’ che raggiungevano le nostre coste fossero il principale problema dell’Occidente. Poi c’è stato il Covid, che ha spostato l’attenzione. È chiaro che le migrazioni vengono usate come argomenti per le campagne elettorali, alla ricerca del consenso, non come tema su cui impegnare l’azione dei governi”.
Le testimonianze di quanto accade nei centri di detenzione libici sono agghiaccianti: violenze, stupri, torture, sparizioni, uccisioni. Secondo Oxfam Italia, su 32mila migranti riportati indietro dalla guardia costiera libica solo l’anno scorso, si ha notizia di 12mila persone che si trovano in 27 centri di detenzione ufficiali, mentre degli altri 20mila si sono perse le tracce.
Il nostro governo continua a finanziare la guardia costiera e altre autorità libiche palesemente conniventi con i trafficanti di esseri umani. Dalla firma dell’accordo, sempre secondo l’analisi di Oxfam, l’Italia ha speso 962 milioni di euro per bloccare i flussi migratori e finanziare le missioni navali italiane ed europee, finalizzate a respingere e non a soccorrere. Una buona parte di questi soldi, più di 271 milioni di euro, sono stati spesi a favore della Libia, contribuendo a determinare le condizioni per una sempre più lucrosa industria della detenzione, fatta di tratta di esseri umani, sequestri, abusi di ogni genere.
L’accordo Italia-Libia, così come altri, con la Turchia in primis, di fatto esternalizza le frontiere europee: cioè mette in atto una serie di azioni che spostano le procedure di controllo al di fuori degli Stati dell’Ue che le promuovono e trasferiscono la responsabilità della gestione dei flussi in capo a soggetti terzi, impedendo con ogni mezzo più o meno legale l’accesso al territorio e ai diritti che ciò comporta. E, come dimostrano le tragedie crescenti sulla cosiddetta rotta balcanica, e la crisi umanitaria tuttora in corso ai confini tra Polonia e Bielorussia, non vi è alcuna avvisaglia di un cambiamento di politiche da parte della Commissione europea e dei governi degli Stati membri. Senza reali distinzioni tra “progressisti” e “sovranisti”, tutti uniti nel blindare i confini della “fortezza Europa”.
I partiti socialdemocratici e di “centro-sinistra” – come in Italia il Pd – per paura dell’avanzata dei “sovranisti”, hanno applicato in anticipo le politiche dell’Ue, causando questa catastrofe umanitaria, la morte di miglia di donne, uomini e bambini, la violazione del diritto internazionale e persino degli stessi Trattati europei. Per non parlare dei principi e valori “fondativi” che, purtroppo, sono agitati solo quando servono a giustificare aggressioni a paesi terzi in nome di guerre “umanitarie” e “esportazione della democrazia”.
A questa “Europa reale”, incapace perfino di guardare in faccia la propria strutturale crisi demografica, rispondono quotidianamente – in maniera silenziosa, ma continua e concreta – la società civile, le ong del soccorso in mare, le associazioni della solidarietà e dell’accoglienza. Un’altra Europa, che ci lascia qualche speranza per il futuro.