Il grande scrittore peruviano Mario Vargas Llosa, premio Nobel per la letteratura, dopo un’iniziale simpatia per la rivoluzione cubana si schierò, senza esitazioni, a destra. Ha sostenuto la destra anche questa volta, nel secondo turno delle elezioni del 6 giugno scorso, vinte dal candidato della sinistra Pedro Castillo. Un successo non ancora riconosciuto dall’autorità elettorale. Vargas Llosa ha appoggiato Keiko Fujimori - figlia di quell’Alberto Fujimori, presidente e dittatore dal 1990 fino al 2000, tutt’ora in carcere per gravissimi crimini commessi durante il suo mandato - definendo “irresponsabili” quanti hanno sostenuto Castillo che ha, fra le altre cose, promesso di lottare contro la corruzione.
A proposito di corruzione, il curriculum di Fujimori figlia non è certo dei migliori: nel 2018 è stata arrestata per finanziamento irregolare alla sua campagna elettorale. La Corte Costituzionale ha prima ridotto la sua custodia cautelare da 36 a 18 mesi, poi, il 25 novembre 2019, ha dichiarato fondato il ricorso contro la privazione di libertà in pendenza del processo, disponendone la scarcerazione. Il 29 gennaio 2020 la giustizia peruviana ha ordinato nuovamente il carcere preventivo per 15 mesi. Nel maggio 2020 il tribunale d’appello ha disposto la scarcerazione su cauzione. Non sono mancate polemiche sui suoi studi a New York e a Boston, che sarebbero stati pagati con fondi dei servizi segreti.
Ora è compito di Castillo, maestro elementare laureato in psicologia, progressista con una cultura marxista e attento alle esigenze delle classi popolari, dimostrare che si può voltare pagina in un Paese dove negli ultimi cinque anni si sono susseguiti altrettanti presidenti. Il risultato del voto è stato incerto fino alla fine. Dalle urne è uscito un Paese spaccato in due. Castillo, esponente di Perù Libre, si è affermato con il 50,14% dei voti, dinanzi a Fujimori esponente di Forza Popolare che ha il 49,86%, con soli 44mila voti di differenza. Sono stati inoltre eletti due vicepresidenti e 130 deputate e deputati.
E’ un esito che imporrebbe una collaborazione tra i due candidati, ma la cosa appare impossibile. Preoccupata per questa situazione, la chiesa ha chiamato i peruviani all’unione. Ma il cardinale Pedro Barreto Jimeno, arcivescovo di Huancayo e primo vicepresidente dell’Episcopato, ha aggiunto che “mettere in discussione e parlare di frode, di golpe, insomma di tante altre cose (come ha fatto Keiko Fujimori, ndr), è irresponsabile, e non possiamo accettarlo”. A queste preoccupazioni ha risposto il vincitore. “Da stanotte – ha detto Castillo - iniziano grandi responsabilità, non lasciamoci trasportare da illusioni e pretese, dobbiamo essere freddi perché oggi inizia la grande battaglia per porre fine alle grandi disuguaglianze che ha il Paese”.
Ritorna prepotentemente a galla la grande questione continentale della concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi: più della metà delle risorse nazionali (53%) è nelle mani del 10% della popolazione. E il salario medio è di 930 sol al mese (215 euro). Un problema che investe tutto il continente a causa principalmente delle ricette economiche liberiste, ma che la pandemia – oltre 180mila morti in Perù - non ha fatto altro che aumentare. Nel suo programma Castillo ha previsto una nuova costituzione, la riforma agraria e la nazionalizzazione delle risorse, in particolare minerarie, sottoposte ad uno spietato saccheggio delle multinazionali.
Castillo è un uomo di tradizioni umili: è figlio di contadini analfabeti ed è il terzo di nove figli. Ha fatto tanti lavori per pagarsi gli studi: il risicoltore, il gelataio, il cuoco. Si è poi iscritto all’Università Cesar Vallejo ed è appunto diventato insegnante in una delle regioni più povere del Paese, la Cajamarca. Castillo è stato anche leader sindacale nel 2017, durante la mobilitazione degli insegnanti che dal sud del Paese si è poi estesa fino alla capitale Lima. Le sue radici profondamente cattoliche lo hanno portato invece ad avere una forte contrarietà sul tema dei diritti civili: dunque no all’aborto, all’eutanasia, al riconoscimento delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, e all’uso della marijuana.
Come sempre avviene in America Latina, una vittoria della sinistra incentiva la fuga di capitali. Chi detiene le risorse più ingenti avrebbe spostato i conti bancari all’estero, mentre altri hanno diviso i beni ai figli per evitare di sottoporre i grossi patrimoni a possibili stangate fiscali. Il problema riguarda soprattutto chi vive nelle città. Nelle aeree rurali il clima è ben diverso. Espressioni come espropri, tassazione dei capitali, redistribuzione non fanno paura, per il semplice fatto che qui le persone hanno poco o nulla da perdere.
Per evitare un possibile scontro con i massimi organismi finanziari ed economici, Castillo ha nominato come suo consigliere economico Pedro Francke, già economista alla Banca Mondiale, fautore di una politica fiscale prudente. Vedremo se questo eviterà un braccio di ferro che Castillo potrebbe anche perdere, visto l’esiguo margine della sua vittoria.