Lettera aperta a Peppino Impastato - di Stefano Gugliotta

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L’esempio di Peppino a 43 anni dal suo assassinio per mano mafiosa. 

Caro Peppino, sono trascorsi quarantatré anni da quando sei stato ucciso. Su di te sono stati scritti libri, è stato girato un film che ti ha fatto conoscere al grande pubblico che non sapeva, perché la stampa di regime non raccontava di te, di un ragazzo in uno sperduto angolo di Sicilia che ogni giorno alzava la testa per gridare lo sdegno contro la mafia e il malaffare, il cui assassinio fu a suo tempo classificato come un terrorista morto mentre metteva una bomba sui binari, non a caso lo stesso giorno in cui fu ritrovato il cadavere di Aldo Moro in via Caetani.

Il tuo messaggio - “La mafia è una montagna di merda” - lo hai pagato con la vita. Oggi, spiace dirlo, rischia di diventare uno slogan in una società che è tanto cambiata da allora. Non c’è più il Tano Seduto, che decretò la tua morte per lesa maestà. Oggi chiunque lo può scrivere sui social, cantare, gridare con la massima disinvoltura; non perché la mafia sia scomparsa, ma perché ha assunto connotati tanto diversi, ed è così radicata nella società, che è impossibile identificarla e quindi combatterla.

Credo fermamente che, per ricordarti e per ricordare la tua missione rivoluzionaria, ci sia bisogno di riappropriarsi del tuo messaggio, che è molto più profondo del semplice slogan che oggi si usa, quasi come un ritornello da utilizzare in occasione dell’anniversario del tuo assassinio.

La mafia è l’antitesi della libertà! Essere donne e uomini liberi non è però facile, oggi come allora. Essere liberi e degni della tua memoria impone un’assunzione di responsabilità che molte volte la società tende a eludere, proprio per evitare di avere problemi, certo non paragonabili a quelli che tu hai patito.

Philip Zimbardo, celebre psicologo autore dell’esperimento della prigione di Stanford, dove ventiquattro studenti si trasformarono in perfetti prigionieri e aguzzini, scrisse: “L’eroe non è un mestiere o un titolo. Chiunque può esserlo ma inizia spesso da piccole azioni per il bene degli altri, altruistiche, fino a fermare gli altri quando commettono le prime azioni dannose”. Oggi chiunque può essere “Peppino” e perpetuare il tuo messaggio o, di contro, rinnegarlo. La mafia, o meglio l’atteggiamento mafioso che è ben più attuale, non è solo chiedere il pizzo a un commerciante per taglieggiarlo, o magari la speculazione dell’alta finanza che attanaglia e impoverisce la società, rendendola meno libera.

Si rinnega il tuo messaggio quando si assiste a una palese ingiustizia e si tace, magari per un piccolo rendiconto personale; lo si rinnega quando colui che grazie alle “giuste” coperture, occupando un posto di potere, si permette di prevaricare e umiliare chi osa denunciare le malversazioni; rinnega te ed il tuo messaggio chi viola consapevolmente la legge, magari autoassolvendosi perché non procura direttamente un danno ad un’altra persona ma, cosa ancor più grave, all’intera società; non è da meno colui che di fronte all’ingiustizia di fatto la avalla, con la sua complice indifferenza a difesa dell’ordine costituito. L’ossimoro è naturale: chi rinnega il tuo messaggio di libertà è mafioso, magari non nella forma ma certamente nella sostanza, e non è degno di autoassolversi una volta all’anno, proclamando che “la mafia è una montagna di merda”.

Per rinnovare e perpetuare la tua figura, non di eroe ma di libero cittadino che ha voluto spezzare le catene dell’indifferenza e dell’ingiustizia, la battaglia deve essere contro “la montagna di merda”, la cui base è composta dal clientelismo che trasforma il diritto in concessione, la collaborazione in servilismo, il potere in arroganza, la discriminazione in ogni sua forma come argine alle differenze, la limitazione del dibattito come strumento di sopravvivenza dell’ignavo.

La nostra società potrà dirsi veramente libera e democratica quando si affermerà il principio della lealtà sociale, del rispetto delle regole, e dell’essere propositivo per rivendicare la libertà di tutti e di ognuno.

C’è ancora bisogno di te, Peppino. I giovani che ogni anno si ritrovano nella marcia Terrasini-Cinisi sono una speranza che ogni anno si rinnova, su di loro si pone la speranza di svuotare di merda la montagna su cui ancora oggi vive e si nutre la cultura mafiosa.

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