La legge 405 del 1975 sui consultori e la legge 194 del 1978 sull’aborto sono state il risultato della grande mobilitazione delle femministe negli anni ‘70 del secolo scorso. I consultori erano nati come luoghi in cui le donne potessero informarsi e discutere su tutti i problemi riguardanti la loro salute sessuale e riproduttiva, acquistando consapevolezza circa i loro diritti, compreso quello di interrompere la gravidanza nel modo più sicuro per la propria salute.
Purtroppo la legge 194 non ha avuto e non ha vita facile nel nostro Paese. Nonostante che, con la grande adesione ai referendum del 1981, i tentativi di abrogazione siano stati respinti in modo netto, ad oggi la legge è costantemente messa in discussione, rendendo difficile, o talora impossibile, l’accesso a un aborto sicuro: in intere aree geografiche mancano i medici, perché sono quasi tutti obiettori di coscienza; si frappongono ostacoli all’aggiornamento sulle tecniche e modalità organizzative più moderne e di provata efficacia, come l’aborto farmacologico anziché chirurgico, e la possibilità di effettuarlo nei consultori.
Se fino ad ora l’attacco alla 194 è stato in qualche modo “strisciante”, nell’ultimo anno gli attacchi sono diventati molto pesanti ed espliciti, in particolare nelle Regioni governate dalle destre (Piemonte, Marche, Umbria, Abruzzo, Veneto e Friuli). Già in autunno, a partire dalle Marche e dall’Umbria, le Regioni hanno posto veti all’attuazione del decreto ministeriale dell’agosto 2021 per l’effettuazione dell’aborto farmacologico nei consultori.
E’ partita anche una vera e propria campagna terroristica da parte degli anti-abortisti: in molte città sono comparsi manifesti dal titolo “Prenderesti mai del veleno? Stop alla pillola abortiva RU486: mette a rischio la salute e la vita della donna e uccide il figlio che hai in grembo”. Ovviamente sono affermazioni che non hanno alcun fondamento scientifico, in quanto la RU486 è utilizzata da oltre 30 anni nel mondo, e i dati dimostrano che è meno rischiosa dell’intervento chirurgico!
Molte organizzazioni di donne e di ginecologi si sono mobilitate, con manifestazioni e prese di posizione contro queste aggressioni. Le indicazioni emerse dalla pandemia di rafforzare i servizi sanitari territoriali ed evitare il più possibile i ricoveri ospedalieri non valgono per le donne che necessitano di un’interruzione di gravidanza: ovvero, valgono per rendere difficile l’accesso all’aborto in ospedale, ma non per migliorare i servizi di territorio, cioè i consultori.
In questa situazione è una chiara provocazione il bando della Regione Piemonte inteso ad aprire le porte dei consultori pubblici alle associazioni antiabortiste. Il tentativo c’era già stato nel 2010, quando era alla guida del Piemonte il centrodestra: fu introdotto un “Protocollo per il miglioramento del percorso assistenziale per la donna che richiede l’interruzione volontaria di gravidanza”, in cui si prevedeva il ‘convenzionamento’ con l’Asl delle organizzazioni di volontariato per l’erogazione di prestazioni a sostegno della donna e della famiglia. Fra i requisiti per accedere al bando vi era la presenza nello statuto della finalità “tutela della vita fin dal concepimento”. Vi fu allora la mobilitazione di numerose associazioni di donne che promossero un ricorso al Tar: fu annullata nel protocollo la parte riguardante il requisito della tutela della vita fin dal concepimento. Nel nuovo bando della giunta Cirio la dizione “tutela della vita fin dal concepimento” è ricomparsa, e il bando è stato emesso.
La risposta alla provocazione non si è fatta attendere: il 17 Aprile a Torino è stata organizzata una manifestazione da Non Una Di Meno, che da anni si mobilita sul tema della salute delle donne, e da “più di 194 voci”, rete che raccoglie una quarantina di associazioni per la difesa delle libertà civili e che si è costituita a Torino, lanciando il suo manifesto a marzo 2021, per l’autodeterminazione nella gestione della salute e della vita riproduttiva e in ogni ambito del vivere: lavoro, integrazione sociale, cultura, ambiente e tempo libero.
La manifestazione del 17 aprile ha visto una grande partecipazione: tante e tanti erano in piazza, anche da altre città del Piemonte, e contemporaneamente si manifestava anche in altre Regioni (Marche, Umbria). La difesa della legge 194, la difesa dei consultori, la libertà di scelta sono nei manifesti e negli slogan scanditi; no agli anti-abortisti nei consultori, no all’obiezione di coscienza. La difesa della legge 194 e la difesa, o meglio la ricostruzione su nuove basi, dei consultori, sono obiettivi inscindibili ed imprescindibili per poter affermare l’autodeterminazione; difendere questi diritti vuol dire difendere tutti i diritti civili.