Il 15 aprile si è tenuto il webinar “Bambini in carcere”, per illustrare e discutere la proposta di legge 2298, presentata nel dicembre 2020. Una proposta di legge (“Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e alla legge 21 aprile 2011, numero 62, in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori”) volta a tutelare l’interesse superiore del bambino, visto che la scelta operata dalla vigente normativa presenta profili di problematicità. E’ risultata timida, persino contraddittoria.
La legge 62/2011 aveva infatti provato a tenere insieme le esigenze della giustizia (la pena da scontare da parte dell’autrice di un reato) con la condizione di madre, e con il diritto del bambino a stare con la mamma. Era nata con l’intenzione di far uscire i bambini dal carcere, promuovendo gli istituti a custodia attenuata per le madri, gli Icam, e spingendo verso l’adozione di misure alternative, come gli arresti domiciliari. Aveva inoltre previsto la realizzazione di case famiglia.
Oggi però, nonostante i principi che l’hanno ispirata, possiamo affermare che quegli intenti non si sono realizzati, sia per i limiti insiti nella legge stessa, che non ha portato i bambini fuori dal carcere, sia perché ha aumentato il tempo in cui i bambini ci possono restare, visto che in Icam si può restare fino a 6 anni. Icam che, di fatto, sono istituzioni totali: i bambini passano da un carcere vero a uno “più bello”, ma che tale resta.
Nel dicembre scorso è stato anche approvato l’emendamento alla legge di bilancio che stanzia 1,5 milioni di euro per ogni anno del triennio 2021-23, soldi destinati al finanziamento delle case famiglia protette. Infatti un limite importante della legge è la previsione che le case famiglia siano attivate senza oneri per lo Stato.
I numeri non sono rilevanti: secondo i dati del ministero erano presenti, al 31 marzo 2021, 26 madri con 28 figli. Ma anche fosse presente in carcere un solo bambino, è una evenienza che non può e non deve essere data: dobbiamo impedire che i bambini siano privati della libertà (fisica, ma non solo) e fare in modo, allo stesso tempo, che non siano privati dell’affetto genitoriale, perché libertà e affetti sono indispensabili per un corretto e compiuto sviluppo affettivo, emotivo, sociale.
Proprio nell’ottica di reinserimento e rieducazione, che è il fine della pena, alle donne deve essere garantita la possibilità di essere madri nel miglior modo possibile, creando le condizioni perché la genitorialità possa trovare una compiuta e, per quanto possibile, serena declinazione.
Siamo di fronte a due diritti: quello alla maternità, tutelato dalla Costituzione, e quello di ogni bambino ad avere un’infanzia dignitosa e libera. Le possibilità per attivare le case famiglia ci sono: ricorrere, per esempio, alle molte strutture pubbliche dismesse esistenti su tutto il territorio nazionale, o, come a Roma, ai beni confiscati; e prevedere la possibilità che le attività siano finanziate dall’amministrazione centrale, anche ricorrendo alla Cassa Ammende, che già ha espresso la sua disponibilità al riguardo.
L’eliminazione dei vincoli economici permetterebbe anche, e non è certo un dato secondario, la stabilità e la contrattualizzazione degli operatori. Oggi infatti le due case famiglia esistenti (una a Roma e una a Milano) si basano sul fondamentale apporto del volontariato, ma è indispensabile garantire agli operatori stabilità, formazione, tutele e diritti, come lo è avere strutturalmente in organico le professionalità che servono per un lavoro così importante e delicato. Vanno garantite figure specifiche, pensiamo per esempio alla presenza di donne straniere, alla necessità di avere mediatori culturali, alla necessità, proprio per la particolarità della situazione in cui si colloca l’intervento, la delicata gestione del rapporto madre-bambino, di personale educativo formato.
Gli enti locali, le amministrazioni pubbliche, devono farsi carico della loro gestione, nei modi e con gli strumenti che le norme rendono disponibili, predisponendo anche progetti individualizzati, cosa che sarebbe resa più semplice se venissero finalmente definiti i Livelli essenziali delle prestazioni (Lep). Importante, per questo, è aver previsto che i comuni nei cui territori si trovino le case famiglia debbano adottare tutti gli interventi necessari, anche ai fini del reinserimento una volta espiata la pena.
Le esigenze genitoriali ed educative (entro i limiti che la proposta di legge comunque precisa) devono prevalere su quelle cautelari, esattamente come, per esempio, le esigenze di salute. E i diritti del bambino devono prevalere sulle esigenze di “punizione” del genitore. Anche gli stati generali dell’esecuzione penale avevano sottolineato l’esigenza di portare i bambini fuori dal carcere, ma i decreti 123 e 124 non affrontano il problema. E’ invece necessario e urgente farlo.