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Centodiecimila morti per Covid, un numero tra i più alti al mondo. Il 50% sono persone con oltre 80 anni. Mediamente continuano a morirne 400 al giorno. Non numeri ma persone. Molte si sarebbero potute salvare con una tempestiva vaccinazione di massa che, cinicamente e colpevolmente, non è stata fatta.
Finora ha concluso il ciclo della vaccinazione meno della metà degli over 80. Nella sconsiderata corsa al vaccino l’individualismo, il corporativismo stanno uccidendo persino la pietà e la compassione verso la morte, verso tanta sofferenza e tante perdite umane. Morire di Covid è un calvario: da soli, senza nessuna persona cara al proprio fianco, sfiniti dalla fame d’aria che i polmoni non sono in grado di soddisfare; solo le macchine possono cercare di farti sopravvivere. Una sofferenza per i tuoi affetti più cari, per i quali sei un bene prezioso, per chi ami e ti ama e non può starti vicino. Un’esperienza che segna per sempre chi riesce a sopravvivere.
Eppure basterebbe poco: incrociare i dati dell’anagrafe con quelli di Inps, Ats, medici di famiglia per sapere quante, chi sono e dove vivono le persone fragili e gli over 80, per organizzarsi e garantire loro la vaccinazione prima che ad altri, per convocarli in luoghi vicini o recarsi a casa di chi non è in condizione di muoversi. Non si è fatta questa semplice scelta di umanità ma si è privilegiato altro. Troppi regionalismi, errori, scandali, dati falsificati; troppo malaffare e interessi particolari, troppe furbizie delle corporazioni. Una vergogna nazionale.
Il manifesto della Cgil per la giornata mondiale del 7 aprile sottolinea che la salute è un diritto umano, ed è tempo che sia un diritto per tutti. Ciò presuppone il superamento di un sistema economico e politico che sfrutta e impoverisce il pianeta e alimenta diseguaglianze e discriminazioni.
Il diritto alle cure e ai vaccini dev’essere garantito a livello mondiale, togliendo alle multinazionali la proprietà dei brevetti. In Italia questo diritto è stato finora negato a buona parte delle persone fragili e over 80. Una generazione preziosa che ha lottato per consegnarci un Paese libero e democratico, diritti fondamentali e benessere. E che sta pagando un prezzo altissimo per scelte irresponsabili come destinare vaccini già scarsi alle corporazioni, alle lobby, a settori non indispensabili per la vita e la salute delle persone.
Una parte della popolazione che è stata lasciata sola nel fondo scala, in secondo piano perché improduttiva, senza peso sociale, senza una rappresentanza capace di difenderne i diritti, di restituirle dignità portandola fuori da una sofferenza e una solitudine indegne di un paese civile, per far vivere a queste persone ancora degli anni buoni, regalandoci la gioia della loro saggia presenza. Sono loro che muoiono, e che riempiono le terapie intensive, i pronto soccorso, i letti degli ospedali.
In molti non hanno risorse per curarsi o fare prevenzione, e in questo ultimo anno si è ridotta la speranza di vita. Saltano le cure e la prevenzione di altre malattie, e crescono le difficoltà e il sovraccarico del personale medico e paramedico. I dati dell’Istituto superiore di sanità sono eloquenti. In Italia, fino al 31 marzo, i contagiati erano circa 3,6 milioni; i morti, in continuo aumento, con un tasso di letalità altissimo: 3,08, superato solo da Messico, Perù e Sud Africa. Per fasce di età la letalità è: zero sino ai 40 anni, dai 70 ai 79 oltre il 9%, dagli 80 ai 90 oltre il 20% e più del 27% per gli over 90.
Mentre la strage continua c’è chi vorrebbe aprire tutte le attività e il Paese intero, a discapito della vita e del futuro. Le attività produttive sono aperte e la circolazione è intensa, senza controlli né regole; il virus viaggia su mezzi di trasporto affollati e nei luoghi di lavoro, arriva nelle case, a persone per le quali può essere letale. Una scandalosa deriva economica e mercantile, una sconfitta etica e culturale per chi dal tunnel vorrebbe uscire migliore, cambiando radicalmente la società e il suo modello di sviluppo.
Al “governo dei migliori”, spostato a destra, va detto che cambiare passo non basta. Bisogna cambiare il sistema economico, sociale e produttivo, distorto e discriminante, fondato sul mercato. Senza salute, sicurezza, cura e prevenzione non c’è ripresa economica. E il primo investimento dovrebbe essere fermare la pandemia e salvare vite umane e il futuro del paese.
La Cgil è un’organizzazione generale, non si piega ai disvalori, al qualunquismo, alle prevaricazioni corporative e alle nefandezze sulle vaccinazioni. Non si presta a favorire spinte corporative dei vari settori, ma ha come priorità il diritto alla vita e alla salute delle persone. Di tutte.
Lo scorso 26 marzo, un venerdì, si è svolto il primo sciopero nazionale dei rider operanti nelle piattaforme digitali addetti al food delivery. La giornata di lotta è stata organizzata dalla rete nazionale “Rider per i Diritti”, costituita dalle diverse Union territoriali in più di trenta città, e dalle confederazioni sindacali, che nelle diverse realtà hanno dato supporto operativo per l’organizzazione dell’iniziativa. In particolare a Milano, dove c’è la più alta concentrazione di ciclofattorini di tutta Italia, l’iniziativa è stata coordinata dalla Camera del Lavoro insieme alle categorie del settore, dalla Uil Milano e Lombardia, insieme al sindacato metropolitano Deliverance.
L’iniziativa si è tenuta in piazza XXIV Maggio, a partire dalla tarda mattinata e ha visto la alta partecipazione di lavoratori e lavoratrici e di cittadini e cittadine, che hanno voluto dare il loro supporto alle rivendicazioni aderendo alla giornata “No Delivery Day”. La giornata si è sviluppata, prima con un presidio statico e l’intervento di alcuni lavoratori, anche di altri settori, che hanno voluto portare la propria solidarietà, riconoscendosi nelle lotte per rivendicare maggiori diritti e un sempre maggiore contrasto alla precarietà spinta che ha caratterizzato gli ultimi venti anni del lavoro in Italia.
Successivamente, i lavoratori hanno deciso di sfilare per le vie della città, con le loro biciclette, simbolo della loro attività. Il corteo è partito dalla piazza, per poi raggiungere i maggiori punti di incontro dei rider e raccogliendo sempre più adesioni, arrivando ad un numero complessivo di circa duecento partecipanti.
Gli slogan dello sciopero erano tutti incentrati nel contestare l’accordo sottoscritto il 15 settembre scorso da parte di Ugl e Assodelivery, associazione datoriale che include le principali piattaforme del settore tranne Just Eat. Quest’ultima, pochi mesi dopo la sottoscrizione dell’accordo, ha scelto di lasciare l’associazione, e ciò anche a seguito delle lotte che si sono susseguite a partire dal 30 ottobre 2020, data che possiamo considerare come l’inizio delle mobilitazioni nazionali dei rider contro l’accordo pirata Ugl/Assodelivery.
Queste lotte hanno spinto la piattaforma inglese ad intraprendere una trattativa con i sindacati maggiormente rappresentativi del settore, che ha portato, nei giorni scorsi, alla firma di un accordo volto a riconoscere la subordinazione a tutti i propri lavoratori, riconoscendo la figura del rider all’interno del Ccnl Merci e Logistica.
Nelle settimane precedenti la giornata di sciopero del 26, per la prima volta nel settore, le organizzazioni promotrici hanno deciso di creare una campagna comunicativa diretta anche ai consumatori, chiedendone la solidarietà, al fine di astenersi dall’utilizzo delle piattaforme in concomitanza dello sciopero stesso. Nonostante le iniziali smentite da parte delle piattaforme riguardo la buona riuscita della giornata, già una settimana prima del 26, le piattaforme si erano premurate di comunicare, ai ristoratori collegati, la possibilità che si verificassero disservizi o cali di ordini legati alla proclamazione dello sciopero.
L’aspettativa delle organizzazioni sindacali a seguito dell’iniziativa è che, nonostante il recente cambio di governo, il nuovo ministro del Lavoro prenda in carico la vertenza, convocando nuovamente un tavolo nazionale che riporti le parti a discutere e confrontarsi, in modo da arrivare ad una regolarizzazione complessiva del settore, anche in virtù del pronunciamento della procura di Milano che ha richiesto la repentina regolarizzazione di tutti i lavoratori del settore. La recente sottoscrizione dell’accordo “Anti caporalato” a livello nazionale costituisce sicuramente un passo avanti, ma per i rappresentati dei lavoratori senza il riconoscimento della subordinazione dei rapporti di lavoro non ci può essere un reale argine all’illegalità nel settore.
Francesco Melis, funzionario Nidil Cgil Milano, tra gli organizzatori dello sciopero, osserva: “E’ stata una giornata storica, la grossa partecipazione dei lavoratori in ogni città è la dimostrazione che la strada intrapresa è quella corretta. Un altro modello di business è possibile e ce lo dimostra l’accordo sottoscritto con Just Eat, smentendo un modello organizzativo che basa la propria stabilità e il proprio profitto sulle spalle dei lavoratori. Il lavoro portato avanti con i rider è fondamentale, non solo per il mondo del food delivery ma per tutto il lavoro digitale, i rider sono solo la punta dell’iceberg. Come sindacato crediamo che questa battaglia sia l’inizio per dare dignità a tutto il lavoro digitale”.
Il primo sciopero nazionale della filiera Amazon in Italia, il 22 marzo scorso, proclamato da Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti e Nidil, Felsa Cisl, Uiltempa, è stato una prima importante giornata di mobilitazione, a seguito dell’interruzione delle trattative con Amazon e l’associazione datoriale delle società di distribuzione in appalto.
Il risalto mediatico era scontato; meno la riuscita dello sciopero in termini di adesione e partecipazione. Il sindacato è riuscito ad organizzare presidi di lavoratori davanti ai principali siti di Amazon su tutto il territorio nazionale, sette solo in Lombardia; da Origgio (Va) e Milano, dove quattro anni fa è iniziata la sindacalizzazione dei corrieri in appalto, sino agli stabilimenti del sud, toccando tutte le regioni. Abbiamo riscontrato una adesione altissima, con punte del 100% in diverse station, e ricevuto solidarietà da un numero rilevante di lavoratori esterni, da associazioni, politica, istituzioni, movimenti e collettivi. Una solidarietà non solo a parole, ma con la partecipazione attiva in tutte le iniziative.
Dalle prime luci dell’alba, i presidi si sono popolati di un numero impressionante di lavoratori, molti dei quali con contratti in scadenza e alla loro prima esperienza di sciopero, con tutti i timori che li accompagnavano nel primo scontro diretto col gigante Amazon. Sono bastate poche ore per cancellare ogni paura. I lavoratori e le lavoratrici si sono fatti forza l’uno con l’altro e la massa critica che si è creata, miscelata con la voglia di rivalsa e l’esasperazione per le condizioni di lavoro, ha fatto il resto.
Siamo riusciti a dare vita a decine e decine di presidi determinati, colorati e arricchiti da flash mob e iniziative autorganizzate, che sono proseguiti sino al tardo pomeriggio, bloccando la circolazione dei furgoni e il servizio di smistamento dei pacchi Amazon, e lasciando ferme centinaia di migliaia di consegne in ogni regione e provincia.
La solidarietà alla lotta dei lavoratori italiani della filiera Amazon non si è fermata ai confini nazionali. Grazie al supporto dell’Etf (European Transport Federation) si sono moltiplicate le iniziative di sostegno in tutta Europa con video, comunicati e vere e proprie proclamazioni di sciopero. La rete solidale ha superato l’oceano ed è sbarcata in Alabama: Jannifer Bates, dello stabilimento Amazon di Bessemer, in un video ha augurato “ai fratelli e alle sorelle italiane buona fortuna per lo sciopero, una lotta che non può che avere carattere globale”, e ci ha informato sul referendum tra i lavoratori Amazon dell’Alabama per la costituzione del sindacato.
Il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ha annunciato l’intenzione di convocare le parti per favorire la ripresa del confronto. E’ accaduto qualcosa di diverso dalla gestione delle tante crisi aziendali. Il ministro infatti ha dichiarato la necessità di convocare le parti per “costruire un percorso di relazioni sindacali normali che porti a dei risultati, laddove, fino a qui non sono venuti oppure non sono stati ritenuti sufficienti”. Parole importanti, da cui traspare la consapevolezza della necessità di arrivare a miglioramenti normativi ed economici che superino e migliorino il Ccnl applicato e ripristino un modello di relazioni sindacali figlio di anni di lotte del movimento operaio italiano.
Quella di Amazon non è solo una battaglia per le condizioni di lavoro. Rappresenta la ferma opposizione dei lavoratori e del sindacato ad un modello fatto di precarietà, flessibilità spinta al limite dell’umana sostenibilità, e assenza di confronto con i sindacati. Uno Stato nello Stato dove mettere in atto la soppressione dei diritti sindacali e del confronto democratico.
Dal giorno dello sciopero, Amazon si è chiusa a riccio ed ha interrotto qualsiasi relazione sindacale, arrivando a disattendere e congelare accordi sindacali sottoscritti nei mesi passati da sindacato e imprese in appalto della distribuzione.
Il sindacato dei trasporti è ben consapevole dell’importanza di questa lotta, non solo per i lavoratori Amazon, ma per tutti i lavoratori della logistica e dell’e-commerce. Non intendiamo arretrare nemmeno di un passo. Allo sciopero di Amazon sono seguite le mobilitazioni dei lavoratori del trasporto pubblico e dei rider del 26 marzo e lo sciopero nazionale della logistica del 29 e 30 marzo per il rinnovo del Ccnl.
Sono segnali forti del fatto che le lavoratrici e i lavoratori dei trasporti - che per tutto il 2020 hanno consentito alle merci e alle persone di circolare nonostante la pandemia e i lockdown e hanno dimostrato la centralità dei settori del trasporto - definiti a giorni alterni angeli, eroi o untori, ora stanno legittimamente chiedendo il conto dei loro sforzi.
Se questi lavoratori sono indispensabili per lo sviluppo e la crescita del nostro Paese è giusto che questo venga riconosciuto non solo a parole ma con atti concreti, mediante il riconoscimento di diritti e tutele, di un’equa retribuzione e con il rinnovo immediato dei contratti nazionali scaduti.
Intervento al Direttivo nazionale della Cgil del 23 marzo scorso.
Una considerazione in corso d’opera su quella che considero la priorità assoluta del momento, cioè la vaccinazione degli over 80. Lo sguardo è quello di un cittadino di una regione, la Lombardia, che è senz’altro la più disgraziata sul versante della capacità di affrontare questa disastrosa pandemia Covid.
E’ di dominio pubblico, è patrimonio informativo di tutti che l’età media dei deceduti è di 81 anni, la stragrande maggioranza dei ricoveri in terapia intensiva e negli ospedali Covid riguarda gli over 80, è maggioritaria la fascia degli ultra ottantenni che impegna ambulanze, pronto soccorso e medici di medicina generale e Usca per insorgenza di sintomi Covid.
A fronte di queste semplici constatazioni sembrerebbe a chiunque inevitabile (e infatti così recitano le disposizioni nazionali) affrontare l’attuale fase vaccinale con una rapida ed efficiente copertura integrale di quelli che sono i più esposti per età e per co-morbilità al Covid. Avremmo benefici certi e tangibili per tutta la società: una rapida caduta dei decessi (e scusate se è poco) - su oltre 100mila morti, 60mila sono over 80 (60%) - un abbattimento drastico dei ricoveri in terapia intensiva e negli ospedali, un ritorno a parametri più normali del ricorso ad ambulanze, pronto soccorso, medici di base e Usca. Quest’ultimi, se impiegati meno a fare tamponi, potrebbero incrementare le vaccinazioni a domicilio oggi episodiche.
Ebbene, a fronte di quanto, di quasi ovvio, sin qui sostenuto, nella mia regione, la Lombardia, e anche in altre regioni, la vaccinazione degli over 80 non solo è andata molto a rilento ma si sono riscontrati comportamenti insultanti e intollerabili nella gestione delle prenotazioni, nelle disdette con sms, sulla lontananza dei luoghi dove vaccinarsi, sulla esiguità della vaccinazioni a domicilio per chi non può deambulare.
Così non si può e non si deve andare avanti, specialmente se, come in Lombardia, siamo in presenza della reiterazione del crimine. Nessuno di noi ha scordato come questa Regione si è comportata nei confronti delle Rsa e della strage perpetrata ai danni delle migliaia di ospiti contagiati e in numeri elevati deceduti, esattamente un anno fa. Noncuranza, approssimazione criminale, ma anche molto cinismo e impulsi darwinisti di selezione naturale della specie nei confronti di anziani che vengono considerati inutili e improduttivi.
In questa regione è inderogabile un intervento immediato e deciso da parte dello Stato, che deve commissariare la giunta lombarda e si deve sostituire alla incapacità praticata e reiterata del sistema sanitario regionale. Deve però intervenire anche la politica, a tutti i livelli, perché non è ulteriormente tollerabile che il disastro gestionale di Fontana, Moratti & co. si possa risolvere in una battaglia tutta interna al centrodestra, con lancio di fumogeni (le sostituzioni che sono rimedi peggiori del male) che intendono offuscare la realtà di un fallimento altrimenti tangibile.
Infine un appello a tutta la Cgil e a tutte le categorie: prendiamo immediatamente posizione forte e se necessario mobilitiamoci perché si addivenga in tempi rapidissimi alla conclusione della vaccinazione degli over 80 sull’intero territorio nazionale. Cui debbono seguire, secondo le stesse indicazioni del piano vaccini nazionale, gli ulteriori fragili per morbilità e per età, disabili in testa.
Accantoniamo per favore, e mi rivolgo più in particolare alle categorie, la pericolosa e discriminante discussione lanciata da Confindustria (non a caso in Lombardia, e senza il coinvolgimento del sindacato) sulla vaccinazione nei luoghi di lavoro. Quando tutte le priorità saranno soddisfatte e quindi senza scavalchi e senza fughe verso il privato, ci impegneremo tutti per aiutare il sistema sanitario alleviandolo dalla vaccinazione dei lavoratori delle aziende.
Oggi l’approccio meno corporativo, più etico, più intelligente, e forse anche più economicamente vantaggioso per l’intera collettività, è quello di portare velocemente in salvo milioni di cittadini anziani che questa pandemia ha colpito in maniera micidiale, e nel contempo di rasserenare il clima pesante e insopportabile che l’intera collettività sta vivendo da un anno a questa parte.