La pandemia ha fatto aumentare i debiti pubblici di tutti i paesi; nel G20 l’Italia è al 158% del Pil, il rapporto più alto dopo il Giappone che è al 264%, con una crescita rispetto al 2019 che per molti paesi supera il 20%. Da noi il rapporto debito-Pil è salito dal 55% del 1980 al 120% del 1994. Da allora l’Italia ha contenuto la crescita del debito, sceso al 105% nel 2008, ma nulla è riuscita a fare durante le due crisi globali: finanziaria e Covid-19.
Negli ultimi 26 anni le altre economie avanzate hanno avuto andamenti simili. A fronte del crescere dei debiti statali, dal 2008 in poi le banche centrali hanno emesso moneta e acquistato titoli di stato; la Bce ha quasi 2,5 trilioni di euro di attività, titoli di Stato dei paesi membri. Negli Usa la Federal Reserve ha valori simili; se calcoliamo le riserve dei mercati emergenti, Cina inclusa, sono altri altri 7 trilioni di dollari e con il debito giapponese si arriva a oltre 15 trilioni, una cifra enorme inutilizzata, oltre il 17% del Pil mondiale. E non si vede come questa massa di soldi possa tramutarsi in posti di lavoro e sviluppo sostenibile. In Europa il quantitative easing inizia nel 2015, ma Usa e Cina avevano iniziato ad immettere moneta nelle loro economie fin dal 2008, il Giappone dal 2006.
Nell’area euro la politica fiscale è stata molto restrittiva, soprattutto dalla crisi greca del 2010 in poi. Addirittura nel 2012 abbiamo inserito in Costituzione la clausola del pareggio di bilancio, interessi compresi. Dal 2014 in poi tutti i principali paesi europei hanno un avanzo primario, che è la differenza fra entrate ed uscite al netto degli interessi; l’Italia è in avanzo primario dal 1991, 30 anni! Solo nel 2020 l’Unione europea sembra orientarsi verso politiche fiscali meno restrittive.
Come uscire dal circolo vizioso debito-deficit-altro debito? Che fare della grande liquidità della Bce? Come rilanciare lo sviluppo sostenibile? La proposta di cancellazione del debito detenuto dalla Bce è una conversione del debito in investimenti, simile al Next Generation Eu. Facciamo un esempio: ogni anno l’Italia deve pagare alla Bce gli interessi sui Btp che essa detiene, per un valore ipotetico di 5, e deve restituire alla stessa Bce i Btp in scadenza, altri 5; questo 10 è il servizio del debito. Al momento l’Italia lo fa emettendo nuovi Btp che in parte vengono acquistati dalla Bce.
Con il nuovo sistema l’Italia versa 10 in un fondo usato per investimenti in campo sociale ed ambientale. A fronte di ciò la Bce cancella l’equivalente debito, il 5. Questo schema di scambio, swap, di debito per sviluppo, cambiamento climatico, educazione, salute, è praticato da alcuni decenni per il debito estero dei Paesi in Via di Sviluppo (Pvs). Il focus è sempre su scambiare debiti molto alti, e che difficilmente saranno ripagati, con investimenti in sviluppo umano e sostenibile.
L’Italia ha fatto decine di queste conversioni con altrettanti Paesi, grazie anche ad un’ottima legge del 2000. Il fondo resta presso gli Stati ed è di solito in valuta locale, per questi Paesi non è semplice procurarsi dollari o euro. Questo problema non c’è nel caso del debito italiano presso la Bce, tutto in euro.
Il cuore di questi swaps sta nella struttura di gestione del fondo, che solitamente è paritaria fra paese debitore e creditore, e riguarda la selezione e il finanziamento dei settori e dei progetti da finanziare, nonché il monitoraggio degli stessi. Tutto questo sta già avvenendo con Next Generation Eu, e non è difficile immaginare da parte di Bce, Commissione e Parlamento europei meccanismi di controllo che gli euro versati nel fondo vengano davvero utilizzati nei settori e con le modalità concordate. Questa non è la troika ma puro buon senso.
Un punto fondamentale: la Bce dovrebbe cancellare il debito man mano che l’Italia versa euro nel fondo, ex ante, e non alla fine quando i progetti finanziati sono completati, ex post. Ci sono due ragioni per questa cancellazione ex ante. I tempi dello sviluppo sostenibile sono lunghi, mentre la finanza e il meccanismo dei tassi di interesse continuano a correre veloci. Alla fine degli anni ‘90 si prevedevano sei anni di ‘buona condotta’ dei Pvs per avere la cancellazione; questi tempi sono stati ridotti, perché si è visto che in quei sei anni i paesi accumulavano debito arretrato e non riuscivano mai a ridurre il rapporto debito-Pil. A certi livelli di debito i meccanismi solo finanziari per la sua riduzione comportano decenni, sperando che non ci siano nuove crisi finanziarie, naturali o altro.
Inoltre la cancellazione ex-ante offre un beneficio in termini di immagine del Paese sui mercati internazionali, perché il rapporto debito-Pil cala subito e vi sono investimenti pubblici aggiuntivi, che possono aiutare e non poco anche quelli privati, si pensi al miglioramento del sistema educativo e delle infrastrutture, un effetto noto come crowding in. Ovviamente se il Paese si ‘comporta male’ nell’uso del fondo il programma può essere sospeso. Si tratta di uno schema simile allo scorporo dal bilancio pubblico degli investimenti pubblici in sviluppo sostenibile.