Il controllo, l’indirizzo e la gestione delle grandi risorse del Next Generation Eu da parte delle lobbies e dei poteri economici è il principale obiettivo della perversa operazione politica che ha portato al governo dei “migliori”. Un quadro politico-istituzionale in cui la destra, i “tecnici” e gli interessi classisti avranno un più alto potere di decisione sulle scelte strategiche.
Per questo è ancora più indispensabile il ruolo della Cgil e del sindacato unitario nel conquistare un confronto vero sul Piano nazionale di ripresa e resilienza, e nell’incidere sulla programmazione e sulle priorità di utilizzo delle risorse assegnate al nostro Paese.
I tempi sono strettissimi: nei giorni scorsi il Consiglio europeo ha approvato il Regolamento del Dispositivo per la ripresa e la resilienza, che ne definisce gli obiettivi, l’entità e le forme di finanziamento, le regole di erogazione; entro il 30 aprile tutti gli Stati membri devono presentare i propri Piani nazionali.
Sono state definite sei macro-aree d’intervento: transizione verde; trasformazione digitale; occupazione e crescita intelligente, sostenibile e inclusiva; coesione sociale e territoriale; salute e resilienza; politiche per l’infanzia e i giovani, istruzione e competenze. Confermati come vincoli di destinazione delle risorse il 37% per la transizione verde e il 20% per quella digitale, dei 672,5 miliardi complessivi tra prestiti e sovvenzioni. Un quadro vincolante per la selezione dei progetti e l’erogazione dei finanziamenti, con un preciso sistema di monitoraggio, valutazione e rendicontazione in rapporto a coerenze, tempistiche di attuazione, e grado di soddisfazione degli obiettivi.
Lo stesso Piano nazionale provvisorio approvato il 12 gennaio si articola nelle sei “Missioni” che richiamano gli assi strategici definiti a livello europeo, delinea 48 linee d’intervento, e indica tre obiettivi trasversali nelle politiche di genere, per i giovani e per il Sud.
Un Piano su cui la Cgil ha già espresso le sue valutazioni e le sue principali richieste di modifica: una governance unitaria e integrata; un percorso certo di coinvolgimento delle parti sociali in tutte le diverse fasi; un peso maggiore degli investimenti sui bonus; un’elaborazione più dettagliata e una maggiore integrazione dei progetti e degli interventi; un’indicazione precisa dei target intermedi, e indicatori sulla coerenza e gli impatti effettivi sugli obiettivi prioritari.
Soprattutto per sancire il ruolo fondamentale della Pubblica amministrazione nell’elaborazione e gestione delle politiche industriali, di sviluppo sostenibile, di tutela dell’ambiente e del territorio e di protezione sociale e sanitaria; e per rafforzare gli obiettivi sulla quantità e qualità del lavoro e sulla riduzione dei divari e delle diseguaglianze, secondo le priorità indicate nel documento della Cgil “Dall’emergenza a un nuovo modello di sviluppo” e prima ancora nel Piano del Lavoro e nella Carta dei Diritti universali.
È questo lo snodo fondamentale per una forte discontinuità, per non tornare a tutto come prima, per un cambiamento radicale delle politiche economiche e sociali, per quel nuovo modello di sviluppo che la Cgil ha proposto e deve sostenere con incisività e capacità di mobilitazione.
Tutto questo dovrà anche essere declinato a livello territoriale, un ambito altrettanto importante di iniziativa sindacale. Per questo il sistema di governance dovrebbe garantire anche a livello regionale il percorso di consultazione, confronto e verifica con le parti sociali.
Replicando la logica inaccettabile di contrapposizione tra diversi livelli istituzionali già visto sul tema dell’autonomia differenziata e nella gestione della pandemia, le Regioni hanno già elaborato propri Piani regionali, incuranti delle priorità definite a livello europeo e nazionale.
Già a novembre scorso la Giunta del Veneto ha approvato il Prrr con ben 155 schede progettuali, senza alcun coinvolgimento delle parti sociali e dei sindacati. Una gran parte delle risorse richieste, 25 miliardi di euro, sono indirizzate alla riesumazione di vecchi progetti, spesso privi di una definizione dettagliata e di obiettivi misurabili, che ripropongono le vecchie logiche del gigantismo infrastrutturale, del continuo incremento delle opere viarie, del consumo di suolo, dello sfruttamento commerciale delle risorse paesaggistiche e naturali, dei finanziamenti senza alcuna condizionalità al sistema delle imprese. A fronte di risorse significativamente inferiori ipotizzate per l’inclusione sociale e quasi irrisorie per le energie rinnovabili, l’innovazione tecnologica, la riconversione green delle attività produttive, la digitalizzazione della Pubblica amministrazione, il risanamento dell’ambiente e dell’atmosfera, la sanità territoriale ed extraospedaliera.
Tutto il contrario delle proposte che la Cgil del Veneto ha espresso nella piattaforma per un Veneto resiliente, sostenibile e inclusivo e in un documento unitario, inviati da tempo alla Regione e alle controparti datoriali.