Non ci sono segnali che l’amministrazione Biden modifichi le politiche antimigratorie nei confronti dell’America centromeridionale.
E' bastato l’annuncio di un cambiamento di linea da parte della Casa Bianca nei confronti degli immigrati a scatenare il desiderio di 9mila uomini, donne e bambini, provenienti dall’inferno dell’Honduras, a sperare in una vita diversa. Esattamente come nell’autunno del 2018. Anche in quel caso migliaia di migranti fuggirono dalle proprie terre, come oggi aiutati solo dall’Unhcr, l’agenzia dell’Onu che si occupa appunto dei rifugiati, e che oggi inoltre ha potuto aiutare un centinaio di bambini honduregni trovati in uno stato di denutrizione.
Grazie ad un assiduo tam-tam, la carovana di migranti è arrivata lo scorso gennaio nel dipartimento di Chiquimula, a 200 chilometri dalla capitale guatemalteca. Sfidando anche il Covid-19, i migranti hanno tentato invano di forzare il muro delle forze dell’ordine del Guatemala. In 3mila, rassegnati, sono tornati indietro, anche utilizzando mezzi di trasporto messi a disposizione dal governo messicano di Lopez Obrador, il quale, malgrado si tratti di una presidenza di sinistra, non ha messo in atto una sia pur timida politica di accoglienza.
La maggior parte dei migranti proviene dalla città honduregna di San Pedro Sula, in fuga da una delle aree più povere e violente del Paese centro-americano e del mondo, e dall’incubo degli uragani Eta e Iota. Quella povera folla era riuscita ad oltrepassare il valico di frontiera di El Florido. Respinta però dalla violenta risposta della polizia e dell’esercito guatemaltechi, messa in atto con manganellate e lanci di lacrimogeni.
Dicevamo delle speranze suscitate dalla nuovo politica di Biden nei confronti degli immigrati. Un desiderio però che sarà difficile da mettere in pratica visti gli accordi internazionali con Messico, Guatemala e lo stesso governo honduregno, stipulati per arginare questo flusso migratorio. E anche per l’oggettiva difficoltà da parte statunitense di cambiare una mentalità avversa all’immigrazione ispanica.
A rendere più complicato il quadro generale ci sono le parole di Mark Morgan, trumpiano, commissario ad interim dell’Agenzia statunitense per le dogane e le frontiere, il quale ha avvisato i migranti a non partire e a non farsi illusioni, sottolineando che gli Usa non si faranno influenzare dal cambio di amministrazione. Avvertendo chi vuole fuggire dall’Honduras a non sprecare tempo e denaro, ammonendo che l’impegno degli Stati Uniti per lo stato di diritto e la salute pubblica resta immutato.
Da parte loro gli altri Paesi dell’area geografica, appunto Messico e Guatemala, oltre a El Salvador e allo stesso Honduras, in un comunicato sostengono che “di fronte ai flussi migratori misti irregolari di migranti destinati agli Stati Uniti d’America, comunicano il loro fermo impegno per la promozione e la protezione dei diritti umani di tutte le persone migranti, in particolare di quelle popolazioni in maggiori condizioni di vulnerabilità”. Una proclamazione di intenti che sembra più di facciata che altro.
Una valutazione confermata dalle parole di padre Juan Luis Carbajal, segretario esecutivo della Mobilità umana della Conferenza episcopale guatemalteca, secondo il quale “stiamo monitorando la situazione, ma abbiamo alcuni dubbi che sia in partenza una mega-carovana, come molti sostengono. In ogni caso temiamo che, come già accaduto nelle ultime occasioni, ci siano detenzioni ed espulsioni irregolari”.
Insomma, come in Bosnia anche nella povera America Centrale, vessata nel corso dei decenni se non dei secoli dalla sanguinosa ingerenza degli Stati Uniti, c’è una assenza assoluta di iniziativa umanitaria, che lascia disarmata e senza speranza povera gente, vittima del terribile mondo nato da una globalizzazione che ancora una volta vale solo per le merci e non per le persone.