Una grande conquista in un continente come quello latinoamericano, dove i diritti delle donne sono ancora tutti da conquistare. Stiamo parlando dell’Argentina, dove è stata approvata la legge che regolamenta il diritto ad abortire. Possibilità che era prevista solo in caso di stupro, o se la donna fosse stata in pericolo di vita. Alla Camera hanno votato a favore 131 deputati contro 117, e in 6 si sono astenuti: servivano 129 voti per l’approvazione. Al Senato, dove nel 2018, in seconda lettura, prevalsero i no, la normativa è passata con 36 voti a favore, 29 contrari e un’astensione. Stavolta, anche grazie all’introduzione di alcune modifiche al testo originario, all’inserimento dell’obiezione di coscienza, punto molto criticato dai movimenti femministi, e al sostegno esplicito del partito al governo, il disegno di legge è stato approvato definitivamente.
Durante la discussione alla Camera Mónica Macha, presidente della commissione per le donne, ha definito la seduta “storica”: “Ci sono – ha detto Macha - due tipi di leggi, quelle che vogliono proporre nuove pratiche e altre che regolano pratiche già esistenti. Con l’interruzione volontaria di gravidanza si parla della necessità di una regolamentazione per una pratica millenaria che in uno stato moderno è criminalizzata”. Questa legge mette fine alla clandestinità dell’aborto, praticato da 450mila donne all’anno con circa cinquanta casi di morte.
Naturalmente in prima linea contro la legge appena approvata è stata la Chiesa cattolica, che accusa chi si è mobilitato per raggiungere questo obiettivo dimenticando la sua complicità e benedizione del furto di bambini durante la terribile epoca della dittatura, quando centinaia di piccoli nati da ragazze detenute e poi scomparse furono dati in adozione a famiglie di militari o di funzionari governativi, e molte di queste adozioni furono messe in atto grazie anche all’intervento di prelati e organizzazioni cattoliche.
Nel progetto “progetto dei mille giorni”, così si chiama la legge del presidente Fernandez che fa riferimento ai primi due anni di vita dei bambini, è prevista un’assistenza sanitaria per le donne che scelgono invece di portare avanti la gravidanza.
Dicevamo dello sconfortante scenario che caratterizza tutto il continente rispetto al diritto ad abortire con un’assistenza medica degna ti questo nome. In America Latina e Caraibi, solo in Uruguay e a Cuba (già dal 1965) è consentito interrompere la gravidanza. Aborto depenalizzato anche a Città del Messico e nello Stato messicano di Oaxcaca. Secondo i dati dell’Istituto Guttmacher (gruppo di ricerca a sostegno del diritto all’aborto), il 97% delle donne che vivono in questo continente sono sottoposte a leggi restrittive sull’interruzione di gravidanza e sei Paesi – Repubblica Dominicana, Salvador, Haiti, Honduras, Nicaragua e Suriname – non la permettono in nessuna circostanza.
In Cile invece, dove è in atto la grande mobilitazione delle donne dell’Onda Verde diffusa a livello continentale, l’aborto è consentito solo in tre casi, ovvero stupro, pericolo di vita della madre, e malformazioni del feto incompatibili con la vita. Stesso scenario in Brasile. In Ecuador le donne sono scese per le strade di Quito e delle altre città per chiedere al governo di porre il veto alla risoluzione dell’Assemblea nazionale, che ha negato la depenalizzazione dell’aborto in caso di stupro. Decisamente difficile la vita anche per le donne del Salvador, dove oltre dodici sono in carcere per aver abortito, a volte condannate anche a pene di 40 anni.
Qualcosa però si sta muovendo e le donne latinoamericane, come abbiamo visto, hanno iniziato a reclamare a gran voce i loro diritti, sfidando la Chiesa cattolica e una società ancora profondamente machista.