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Non potremo mai dimenticare il 2020: l’anno della crisi più grave che il mondo abbia mai conosciuto dopo le due guerre. Siamo stanchi, provati, disillusi. E’ stata dura, lo sarà ancora ma ce la faremo.
Un anno da ricordare per ciò che ci ha insegnato personalmente e collettivamente, per come ci ha cambiato sul piano strutturale e valoriale. Il maledetto virus è ancora tra noi e il vaccino non garantirà subito la ripresa della vita sociale. La Cgil deve rivendicare il diritto alla salute, alla vaccinazione e alla sua gratuità per tutte le popolazioni a livello mondiale, e impedire che diventi oggetto di potere, di competizione tra nazioni e multinazionali.
Vincere in Italia, come in Europa, la sfida della vaccinazione di massa, oltre a salvare vite può favorire l’uscita dal tunnel e la ripresa sociale e economica. Vaccinarsi, come afferma la Cgil, è un atto di responsabilità dello Stato verso la popolazione e di ognuno verso la salute propria e della collettività.
La campagna vaccinale va a rilento, anche qui con disparità tra le varie regioni. Con queste inefficienze, dovute a un sistema sanitario pubblico attaccato da tutti i governi da 20 anni a questa parte, con la sconsideratezza di giunte regionali, come quella lombarda, responsabile del disastro che tanta sofferenza ha causato, il Paese rischia di non veder garantita quella vaccinazione di massa necessaria per fermare il virus. Solo lo Stato e la sanità pubblica possono garantire di raggiungere almeno il 75% della popolazione.
Il 2021 può e deve essere l’anno della sconfitta del virus e dell’inizio della ricostruzione all’insegna di un cambiamento radicale che dipende anche da noi, donne e uomini della Cgil. Il sindacato deve costruire battaglie politiche, economiche, sociali e culturali da affiancare a progetti credibili, con rapporti di forza e alleanze adeguati e il consenso del mondo del lavoro, perché il cambiamento si scontrerà con forti interessi classisti.
Occorre ridisegnare un futuro migliore per noi e per le prossime generazioni. Le sentenze su Deliveroo e Glovo, emesse dai tribunali di Bologna e Palermo su vertenze sostenute dalle categorie Cgil, sono il segnale che la strada di riunificare e rappresentare il mondo del lavoro è difficile, ma è vincente quando perseguita con determinazione.
Serve un governo non piegato agli interessi padronali e del capitalismo, e che rimetta al centro della sua azione il lavoro, i diritti universali e l’eguaglianza, che riconosca il ruolo del sindacato confederale, che non segua una Confindustria strumentalmente contraria alla gestione pubblica dell’economia, che si lamenta su un presunto eccesso di tassazione e non dice mai una parola sulla corruzione di sistema, l’evasione e l’elusione fiscale. Sempre pronta a disconoscere il ruolo del sindacato e del contratto nazionale. Gli eredi del libero mercato e della centralità del profitto non demordono e trovano sostenitori nell’opposizione ma anche nella compagine governativa, trasversalmente ai partiti.
Non vogliamo compromessi, accordi di potere senza prospettiva, vuoti patti sociali o tra produttori, abiure ai valori e ai principi, come abbiamo visto in questi anni. A questo governo chiediamo azioni concrete, vogliamo continuare a giudicarlo sul merito. Con la nostra autonomia, che non è mai indifferenza verso la politica, contestiamo gli errori e le scelte non fatte, i finanziamenti alla guardia costiera e ai lager libici, il mancato intervento sulla “rotta balcanica”, la vendita di fregate all’Egitto senza pretendere verità sull’assassinio di Giulio Regeni. E bene hanno fatto i suoi genitori a promuovere l’esposto contro il governo italiano per violazione della legge sulla vendita di armi. Contestiamo al governo l’espulsione di migliaia di persone lasciate senza cibo, assistenza e un tetto, la timidezza nel cancellare i decreti razzisti di Salvini, la penalizzazione delle navi Ong che continuano in solitudine a salvare vite umane. Come riteniamo incomprensibile che non si sia ancora approvata una legge di civiltà sullo “ius soli”.
Oltre alla vita e alla salute, il lavoro, la precarietà, il futuro delle giovani generazioni devono essere le priorità del governo, che va incalzato per intervenire sulla redistribuzione della ricchezza, l’aggressione dell’evasione fiscale e l’introduzione di una patrimoniale sulle grandi ricchezze. Contestiamo la logica degli incentivi alle imprese senza condizioni e senza verifica delle scelte, l’assenza di politiche industriali e di un ruolo più deciso dello Stato in economia. Verifichiamo la mancanza di una visione di cambiamento generale e di prospettiva, per dare risposte a un Paese piegato su se stesso.
C’è bisogno di un governo e di forze politiche all’altezza, ma oggi la tenuta o la caduta dell’esecutivo dipendono da dinamiche politiciste e di potere, dentro e fuori la maggioranza. In un momento così grave, le minacce di crisi di governo, di rimpasti e possibili elezioni da parte di un capetto egocentrico senza rappresentanza né consenso, per i suoi giochi di potere e i suoi ricatti arroganti, sono incomprensibili e immorali. Una politica distante dal Paese reale e dal sentire delle persone.
Per noi non si tratta di sostenere o meno il governo, ma di rimuovere limiti, ritardi e scelte inadeguate, come continuiamo a denunciare con la nostra autonomia di sindacato generale, e forti di proposte concrete e di un’idea di cambiamento per costruire il futuro.
L’alternativa a quello attuale sarebbe un governo figlio del politicismo esasperato, degli interessi materiali di chi vuole appropriarsi della gestione clientelare e di potere dei 209 miliardi in arrivo dall’Europa; un governo spostato più a destra sul piano sociale, economico e valoriale, espressione più di Confindustria e della finanza che del mondo del lavoro e della società civile. E si tenterebbe di mettere in un angolo il sindacato confederale.
La tenuta politica e istituzionale dev’essere finalizzata a rispondere ai bisogni del Paese, ad aprire finalmente il confronto con le parti sociali rappresentative del mondo del lavoro e dei pensionati, a mettere il lavoro al centro dell’azione politica generale.
Un salto nel buio, il ricorso alle elezioni, consegnerebbero il Paese alla peggiore destra razzista, nazionalista e socialmente pericolosa. Il mondo del lavoro e le classi meno abbienti pagherebbero un alto prezzo.
Questa è la posta in gioco, e dobbiamo essere consapevoli delle difficoltà che anche noi viviamo dentro questa crisi globale. Abbiamo davanti un’occasione per finalmente avviarci a risolvere i problemi strutturali del Paese con scelte coerenti, cogliendo l’opportunità delle risorse economiche messe a disposizione, solo in parte a fondo perduto e senza condizionamenti, dall’Europa. Senza ricorrere al Mes, strumento superato e con forti condizionalità, che nessun governo richiede. Sapendo che abbiamo un debito pubblico intorno al 160% e che, se il Fiscal compact dovesse tornare in vigore, l’Italia si troverebbe in enorme difficoltà finanziaria.
“Azione è uscire dalla solitudine” scriveva Luigi Pintor. La Cgil, tutte noi e tutti noi, rappresentiamo lo strumento collettivo di proposta, di lotta e di valori per uscire dalla solitudine, per navigare insieme nel mare in burrasca, per un approdo sicuro e per un’utopia del possibile.
“La crisi della democrazia negli Stati Uniti è tutt’altro che risolta – scrive Gian Giacomo Migone sul manifesto - anche se il tramonto elettorale e politico di Trump è assicurato, non lo è il pericolo derivante da oltre 74 milioni di suoi elettori (il 70% dei quali convinti dalle sue menzogne), in buona parte vittime di una diseguaglianza in continua crescita, aizzati da una guida eversiva e violenta ad una guerra tra poveri”.
La fotografia è nitida. Ritrae una delle più ricche e potenti democrazie del mondo, pur ricchissima anche di “scheletri nell’armadio” fin dalle sue origini, alle prese con un corto circuito sociale. Visibile nell’assalto e l’occupazione del Congresso di Washington da parte di una folla guidata da una masnada di razzisti, neofascisti e violenti. Con la connivenza delle forze di polizia, tanto arrendevoli nei loro confronti quanto feroci verso chiunque appaia sospetto nella vita di tutti i giorni.
E’ difficile prevedere come si evolverà la crisi negli Usa. Ben più facile, seguendo la bussola dei “Rapporti sui diritti globali” che da quasi vent’anni ci offrono lucide chiavi di lettura dello stato delle cose sul pianeta, capire quale sia il minimo comun denominatore che sottintende a questa prima parte del XXI secolo. “Nel 2019 avevamo titolato il Rapporto ‘Cambiare il sistema’ - scrive in proposito su questo numero di Sinistra Sindacale il curatore della pubblicazione Sergio Segio - a sottolineare quanto tutti gli indicatori sociali, economici, ambientali, geopolitici, in modo inequivocabile e univoco, ci stanno da tempo mostrando l’insostenibilità del modello capitalistico-liberista”.
Ora la stessa pandemia da Covid-19 “viene usata come grande opportunità nella logica rapace della ‘dottrina dello shock’: per accentrare poteri, incentivare profitti, approfondire le diseguaglianze, violare diritti umani”. Una tappa ulteriore della “lotta di classe dall’alto” che continua a dettare i tempi delle nostre vite.
La riapertura delle scuole superiori, a lungo pronosticata per giovedì 7 gennaio, alla fine non c’è stata, ed è stata rinviata a lunedì 11 gennaio con una presenza in classe degli studenti al 50%, e per la parte restante in didattica a distanza. Ma anche questa riapertura rischia di essere del tutto provvisoria poiché se le regioni nei prossimi giorni verranno dichiarate in zona arancione o rossa, sulla base dei nuovi indici epidemiologici, le scuole torneranno a chiudere.
In ogni caso sono già numerose le Regioni (Veneto, Friuli Venezia Giulia, Marche, ecc) che, senza attendere i dati e temendo che il rientro in classe di insegnanti e studenti possa provocare un aumento dei contagi, hanno già disposto la chiusura delle scuole fino al termine del mese. Da questa situazione si salvano solo le scuole del primo ciclo che riprenderanno con le attività didattiche in presenza, ma anche qui con alcune importanti eccezioni come la Campania.
Si tratta di un disastro annunciato poiché per tutti i decisori politici – nazionali e regionali- la scuola è considerata a parole una priorità, ma nei fatti non lo è. Nonostante il solenne impegno assunto il 23 dicembre 2020 in sede di conferenza Stato-Regioni a predisporre tutte le misure necessarie - a partire dal sistema dei trasporti pubblici - per garantire la ripresa delle attività didattiche in presenza, così non è stato. D’altronde ciò che non si è riuscito a realizzare in tanti mesi, compresi quelli della pausa estiva, era improbabile che venisse realizzato nei pochi giorni della pausa natalizia.
Neanche l’attivazione dei tavoli prefettizi si è rivelata risolutiva, poiché le decisioni assunte a questi tavoli spesso sono state definite senza coinvolgere i diretti interessati, in primo luogo le scuole, per cui le soluzioni adottate si sono rivelate da subito poco funzionali. Tra queste la previsione degli ingressi scaglionati rigidamente per tutte le scuole alle 8 e alle 10, per cui molte scuole – con 6 ore di lezione giornaliere - dovrebbero terminare le attività dopo le ore 16.00 costringendo gli studenti - specie i pendolari più distanti - a rientrare a casa in serata. Senza contare che per estendere gli orari di funzionamento delle scuole al pomeriggio occorrerebbe disporre di personale aggiuntivo, quando è nota l’inadeguatezza degli attuali organici – sia docenti che ata - i quali risultano in molti casi ancora incompleti stante le difficoltà a reperire i supplenti.
Tutto questo senza contare che la mobilità delle persone e i tempi di funzionamento delle città non si conciliano facilmente con le esigenze di chi frequenta le scuole, e le necessità dei primi alla fine finiscono per prevalere su quelle dei secondi, specie se il sistema di trasporto - già fragile e carente in molte regioni - nei mesi scorsi non è stato adeguatamente potenziato. Ma il problema non riguarda solo i trasporti, molte altre sono le esigenze non soddisfatte necessarie a potenziare le misure a tutela della salute degli insegnanti e degli studenti, al fine di garantire lo svolgimento delle attività in presenza e in condizioni di sicurezza. Ad esempio non è stata prevista per le scuole nessuna attività sistematica di screening, né una corsia preferenziale per il tracciamento dei contagi, né la possibilità di effettuare i tamponi rapidi, né una priorità nella campagna vaccinale, tutte misure che avrebbero potuto mitigare i rischi connessi alla riapertura delle scuole.
Per queste ragioni, a fronte del rischio di incremento dell’indice dei contagi, la prima misura a cui si ricorre è la chiusura delle scuole, perché la scuola per i nostri governanti sarà anche importante ma alla fine sono altre le priorità. Francamente non tutte sempre comprensibili e condivisibili. In questi giorni stiamo assistendo ad una accesa diatriba politica che rischia di determinare perfino una crisi di governo, alquanto inopportuna considerando il periodo emergenziale che stiamo attraversando, di cui si fatica a comprendere le vere ragioni e tra le quali, comunque, il tema della scuola è del tutto assente.
Di fronte ad una diffusa incapacità – a volte anche irresponsabilità - della classe politica a tutti i livelli ad assumere le decisioni necessarie, spetta al sindacato, e in particolare alla Cgil, mobilitarsi per portare l’attenzione sulle effettive priorità del Paese. Scuola, salute e lavoro sono sicuramente tra le priorità per contrastare le diseguaglianze economiche e sociali che la crisi sanitaria sta determinando.
Il 31 dicembre 2020 il Tribunale ordinario di Bologna ha accolto il ricorso promosso dal collegio dei legali di Filcams, Filt e Nidil, con il quale veniva contestata la natura discriminatoria indiretta delle condizioni di accesso ai turni di lavoro per i riders che operavano per Deliveroo.
Alcuni lavoratori - che con il loro prezioso lavoro di osservazione e di confronto con i delegati dei riders hanno svelato il funzionamento delle piattaforme - avevano rilevato come l’algoritmo incaricato di effettuare l’assegnazione degli “slot” tendesse a penalizzare chi di loro aveva effettuato assenze anche in caso di adesione a scioperi, oltre che in caso di malattia o a causa della necessità di assistere un figlio minore malato.
La scelta di Deliveroo di modificare in extremis il sistema di accesso al lavoro su prenotazione incentrato sul ranking, a pochi giorni dalla sentenza, non ha tuttavia impedito al giudice di riconoscere che “Frank”, l’algoritmo di Deliveroo, per anni ha governato il sistema di accesso al lavoro sulla base di una logica discriminatoria.
Passando ai punti salienti della pronuncia, il Tribunale bolognese ha in primo luogo stabilito, richiamando abbondante giurisprudenza (anche comunitaria), che le organizzazioni sindacali, espressamente indicate tra i soggetti legittimati dall’art. 5 comma 2, del decreto legislativo n. 216 del 2003, rientrano sicuramente tra quei soggetti collettivi che operano sul territorio nazionale a difesa dell’effettività del principio di non discriminazione e che, appunto, si prefiggono di spiegare la loro azione (quantomeno) con riferimento ad uno dei fattori possibile fonte di discriminazione, individuato nella partecipazione ad azioni sindacali.
Secondo il Tribunale, il complesso meccanismo delle prenotazioni delle sessioni di lavoro dei riders, che privilegia l’accesso alle possibilità di lavoro in ragione di un ranking reputazionale adottato da Deliveroo, ostacola in concreto la loro partecipazione alle azioni di lotta sindacale.
Il modello organizzativo della società basato sulla reputazione digitale privilegia, infatti, il rider che si rende completamente disponibile a garantire le fasce di prenotazione e, viceversa, penalizza, estromettendolo lentamente dal ciclo produttivo, il ciclofattorino che non assicura la stessa disponibilità per motivi di salute, di assistenza a familiari, ovvero per l’adesione a iniziative sindacali di sciopero.
Il giudice ha ritenuto che il modello di valutazione adottato dalla piattaforma di food delivery nasceva da una “scelta consapevole” dell’azienda di non considerare le ragioni del mancato “log in” alla piattaforma. E’ proprio la cecità dell’algoritmo, insensibile alle diverse ragioni che inducono i lavoratori ad astenersi, che lo rende discriminatorio.
Il sistema di profilazione dei riders adottato dalla piattaforma Deliveroo, basato sui due parametri della affidabilità e della partecipazione, nel trattare nello stesso modo chi non partecipa alla sessione prenotata per futili motivi e chi non partecipa perché sta scioperando (o perché è malato, è portatore di un handicap, o assiste un soggetto portatore di handicap o un minore malato, ecc.), in concreto discrimina quest’ultimo, emarginandolo dal gruppo prioritario e dunque riducendo significativamente le sue future occasioni di accesso al lavoro.
In questa prospettiva, appare significativo che il Tribunale affermi “quando vuole, la piattaforma può togliersi la benda che la rende “cieca” o “incosciente” rispetto ai motivi della mancata prestazione lavorativa da parte del rider e, se non lo fa, è perché lo ha deliberatamente scelto”.
Il giudice ha quindi ritenuto applicabile la disciplina antidiscriminatoria di cui al decreto legislativo 216/03, riconoscendo da un lato la piena legittimazione delle organizzazioni sindacali a promuovere azioni di tutela per discriminazione in rappresentanza dei riders, e per altro verso ha riconosciuto il diritto dei ciclofattorini a non essere discriminati nelle condizioni di accesso al lavoro, a prescindere dalla qualificazione del loro rapporto.