Siamo alle prime avvisaglie. Le scelte irresponsabili del primo Consiglio dei ministri del governo Meloni sulla pandemia, l’approccio securitario ne confermano la natura di destra, bellicista, autoritaria, crudele con i deboli e politicamente e socialmente liberista e classista.
L’inquietante e ingiustificato decreto-legge contro i rave party, firmato dal presidente Mattarella, denuncia un atteggiamento criminalizzante verso ogni contestazione che si ponga in alternativa alle scelte del governo. Lo stato di polizia, la repressione violenta e criminale durante il G8 di Genova non li dimentichiamo.
Il condono a medici e assistenti sanitari no-vax è un gesto di disprezzo verso le quasi 180mila vittime, verso i medici e gli operatori sanitari morti per onorare la loro missione. Intanto si continuano a spostare risorse verso il sistema-mercato privato che fa profitti sulla salute delle persone, mentre la sanità pubblica viene privata di fondi e di personale, costringendo milioni di cittadini a rinunciare alle cure e alla prevenzione.
Abbiamo una premier di destra in pieno stile thatcheriano, che attacca i diritti universali, sociali e civili, e a livello macroeconomico, nel rapporto con la Ue e sulla politica estera, subalterna agli Usa e in continuità con l’agenda Draghi. Il motto conservatore a cui si richiama la prima donna presidente è: libertà, giustizia, benessere e sicurezza, ma in una declinazione che nulla ha a che vedere con i nostri ideali.
Nel discorso programmatico, ideologico e identitario, gravi sono stati i silenzi sulla Resistenza e la Liberazione, sulla dura realtà sociale ed economica. Non una parola sulla Pace, ma ancora bellicismo, riarmo e invio di armi all’Ucraina, con il consenso di una parte del fronte progressista. Fermare la guerra, trattare per la Pace per noi, per chi è sceso in piazza il 5 novembre è dirimente.
Nulla sull’emergenza climatica, sempre più allarmante per il futuro del pianeta. Le diseguaglianze di genere e di ceto, i femminicidi, lo sfruttamento nel lavoro, gli infortuni mortali, la questione salariale, la precarietà, il lavoro povero e schiavizzato neppure richiamati. La povertà, la disoccupazione per la signora presidente non sono ingiustizie sociali ma una colpa, una responsabilità individuale.
Gli immigrati lasciati morire con crudeltà sono persone, e rappresentano la possibilità per l’Italia di sopravvivere: senza di loro non c’è futuro per un Paese che invecchia e vive una crisi demografica inarrestabile.
Alla scuola pubblica, all’università occorrono risorse, e prima del “merito”, il nuovo dogma, devono prevalere le parole inclusione, uguaglianza nelle possibilità. L’abbandono scolastico da parte dei figli di famiglie meno abbienti è sintomo di un grave malattia, di una scuola pubblica svuotata in favore di quella paritaria e privata, selettiva per censo. L’ascensore sociale si è fermato da tempo, i perdenti della globalizzazione non sono senza merito o intelligenza, ma senza diritti universali e giustizia sociale.
La linea economica è incentrata sul “non disturbare chi vuole fare”, una teoria arcaica che vede nel mercato e nella libertà d’impresa l’unica fonte della ricchezza per il Paese.
Innalzare il tetto del contante è un favore alle mafie, agli evasori fiscali, a chi ricorre al lavoro nero. L’eliminazione dell’abuso d’ufficio allenta la lotta alla corruzione. Sul fisco si procederà verso un nuovo condono, regalo agli evasori, mentre la flat tax segnerà un ulteriore attacco alla progressività, e il cuneo fiscale sarà maggiormente indirizzato verso le imprese. E il percorso dell’autonomia differenziata e del presidenzialismo subirà un’accelerazione favorita dall’operato dei precedenti governi.
Questa compagine governativa procederà a colpi di maggioranza parlamentare alla realizzazione del suo programma, senza che le opposizioni possano realmente contrastarla in Parlamento, e, finora, sappiano e vogliano farlo nel Paese. Si è consegnato alla destra un potere immenso, una “dittatura della maggioranza”, resa possibile con la riduzione dei parlamentari e una legge elettorale incostituzionale.
Le divisioni, gli errori e le scelte sbagliate del fronte progressista, del centrosinistra e delle sinistre in politica si pagano. La sinistra ha perso prima di tutto sul fronte culturale e dell’egemonia in senso gramsciano, mentre la destra rafforzava la sua ideologia identitaria e la sua supremazia. Non ci attardiamo sul passato, ma se si vuole guardare avanti e unire le forze politiche e sociali contro la cultura e le scelte del governo, non possiamo rimuovere le ragioni della sconfitta.
Dalla crisi si esce da destra o da sinistra: si è chiusa la stagione perdente dei governi tecnici e di responsabilità nazionale. I diritti universali e del lavoro si affermano redistribuendo reddito, ricchezza e opportunità, sconfiggendo le discriminazioni e i paradigmi liberisti e classisti. Occorre un radicale cambiamento.
Non si apriranno tavoli di confronto e non vedremo disponibilità verso il sindacato confederale e le sue rivendicazioni sociali. Li dovremo conquistare. Solo un ampio movimento di lotta, una mobilitazione unitaria del mondo del lavoro, dei movimenti antifascisti, pacifisti, ambientalisti e femministi potranno cambiare i rapporti di forza e contrastare la cultura e le politiche del governo.
La Cgil è scesa in piazza, prima del risultato elettorale, a sostegno delle sue proposte e rivendicazioni, della sua idea di progresso e di giustizia economica e sociale che contrasta con il programma, la natura e le posizioni del governo. E’ tornata in piazza l’8 ottobre, contro il fascismo e per i valori costituzionali. Ha partecipato in massa alla grande manifestazione del popolo della pace del 5 novembre, per dire basta alla guerra, a tutte le guerre, e al riarmo. Ha la sua agenda politica e valori di riferimento, e la sua autonomia di giudizio, di pensiero e di azione, ed è in campo in difesa della Costituzione e dei diritti universali, per l’eguaglianza e la giustizia sociale. Per la Pace, il lavoro e il futuro del Paese.