Domenica 30 ottobre il Brasile e il mondo democratico e di sinistra hanno tirato un sospiro di sollievo. Luiz Inacio Lula da Silva detto Lula, già due volte presidente del più grande Paese latino-americano, ha sconfitto sia pur di misura il suo avversario, quel Jair Bolsonaro che nei quattro anni della sua presidenza ha negato l’esistenza del Covid, provocando la morte di 700mila persone, ha dato di nuovo via libera alla distruzione dell’Amazzonia, favorendo proprietari terrieri e allevatori, e ha vanificato le politiche sociali della sinistra, che aveva sottratto dalla povertà ben 14 milioni di persone.
Il leader del Partito dei lavoratori si è affermato con 50,9% dei voti, mentre Bolsonaro si è fermato al 49,1%. Una vittoria che, se da un lato dovrebbe chiudere – il condizionale è d’obbligo - la peggiore fase storica del Brasile democratico, dall’altro appunto apre un nuovo capitolo faticosissimo per il nuovo Capo dello Stato, perché lo schieramento che lo ha sostenuto è variegato e più moderato delle scorse competizioni elettorali – il suo vicepresidente è Geraldo Alckmin, politico di centro-destra sconfitto dallo stesso Lula alle presidenziali del 2006 – e soprattutto perché si ritrova, a differenza del passato, un Parlamento più spostato a destra e quattordici Stati governati dalla destra contro i tredici della sinistra.
Il presidente uscente non ha ancora riconosciuto direttamente la vittoria del suo avversario. Non solo. Mentre scriviamo (2 novembre, ndr) circolano notizie sconcertanti. Nei social, come preannunciato, si diffondono notizie su presunti brogli elettorali fino ad invocare l’articolo 142 della Costituzione che prevede l’intervento dell’esercito. Molte strade sono state bloccate da camioncini pro-Bolosnaro. Uno scenario da brividi, una sorta di Trump bis con il presidente uscente che inoltre vorrà far penare il neoeletto nell’obbligatoria consegna di tutte le informazioni riguardanti gli affari di Stato necessarie al passaggio dei poteri. Ma su quest’ultimo punto il contenzioso sembrerebbe in via di risoluzione.
In ogni caso, per quell’ex operaio che per un certo periodo fu punto di riferimento per i sindacati di tutto il mondo, è stato un grande riscatto dopo il fango che gli avevano gettato condannandolo a 590 giorni di carcere per corruzione nell’ambito dell’operazione Lava Jato – una sorta di Mani pulite brasiliana – che nascondeva invece un vero e proprio tentativo di cacciarlo una volta per tutte dalla politica.
La vittoria di Lula si inserisce in una fase storica che ripropone un nuovo Rinascimento latino-americano, caratterizzato anche in questo caso da una nuova ondata progressista. Non a caso i primi messaggi di felicitazioni sono arrivati dal messicano López Obrador, dal cileno Gabriel Boric, dall’argentino Alberto Fernández e dal colombiano Gustavo Petro, senza dimenticare quelli del leader venezuelano Nicolas Maduro e del cubano Miguel Mario Díaz-Canel. Auguri che si sono paradossalmente uniti a quelli di Joe Biden, terrorizzato dall’idea di doversi relazionare ancora con Bolsonaro. Ma questo non significa che la Casa Bianca non vorrà mettere bocca sulle scelte che Lula prenderà.
Per Celso Amorim, ex ministro degli Esteri che dovrebbe essere ora riconfermato, “potrebbe sorgere un problema se gli Stati Uniti non capiranno che l’America Latina vuole essere indipendente. Per esempio – ha detto Amorim - è impossibile per noi non avere relazioni con la Cina”. Ma, va aggiunto, anche con la Russia di Putin, che si è affrettato ad inviare anche lui un messaggio di congratulazioni.
Sul conflitto tra Russia e Ucraina scoppiato all’indomani dell’aggressione di Mosca a Kiev, il Brasile di Bolsonaro ha mantenuto più che una posizione equidistante una apertamente filo-russa. Con Lula le cose potrebbero cambiare, ma non più di tanto. Del resto non si può certo pretendere che Brasilia si schieri nettamente con l’Occidente contro Mosca, distinguendosi così dagli altri Paesi del cosiddetto Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), un’alternativa economica e politica all’Occidente, alienandosi così i suoi rapporti anche con Pechino, fondamentali visto che il 2021 si è chiuso con un nuovo record negli scambi commerciali tra i due paesi, 135 miliardi di dollari.
Le forze di sinistra latino-americane da decenni, pagando con la vita di milioni di cittadini e cittadine, tentano di far diventare i loro Paesi “normali”, liberandosi dal potente condizionamento statunitense. Ma pur non rischiando colpi di stato militari come una volta, la “normalità democratica”, se vogliamo chiamarla così, è ben lontana dall’essere raggiunta, e del resto anche le nostre democrazie non godono esattamente di buona salute…
Nonostante le difficoltà della situazione che Lula si troverà di fronte, intanto lavoratori, gente delle favelas, indigeni dell’Amazzonia festeggiano la fine dell’incubo Bolsonaro, e il ritorno di un presidente che porta tanta speranza per il futuro del Brasile e dell’intero continente.