Il 7 marzo, presso la Camera del lavoro di Milano, si è tenuto un convegno organizzato da Slc Lombardia e Slc nazionale per parlare della legge di Riforma dello Spettacolo, attesa da più di trent’anni dalle lavoratrici e dai lavoratori del settore.
In una tavola rotonda, insieme alla segretaria nazionale di Slc Cgil, Sabina Di Marco, e al segretario generale della Cgil Lombardia, Alessandro Pagano, si sono confrontati politici in prima linea nella partita, come l’ex ministra del lavoro Nunzia Catalfo, il senatore del Pd Roberto Rampi, il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, e il componente del Consiglio superiore dello spettacolo Antonio Taormina.
L’iniziativa è nata dall’esigenza di tenere alta l’attenzione su questa riforma in un momento topico. A giugno 2021, infatti, è stato approvato il disegno di legge che ha riaperto i termini alla legge n. 175 del 2017 (cosiddetto Codice dello Spettacolo), delegando il governo ad emanare entro 12 mesi uno o più decreti legislativi per il riordino della normativa sullo spettacolo dal vivo. I termini erano stati “sprecati” quattro anni fa, dopo 24 mesi di inattività legislativa. Ora siamo a marzo 2022 e si sta avvicinando l’ennesima scadenza. Senza considerare che tra un anno terminerà la legislatura, e un nuovo governo potrebbe mettere lo spettacolo in fondo alle sue priorità.
Ma perché è così importante questa riforma? Va fatta innanzitutto una considerazione. Sembra che la fragilità normativa ed economica del lavoro nello spettacolo, e più in generale nella cultura, sia divenuta patrimonio di conoscenza comune solo a partire dalla pandemia. E in effetti le attività legate allo spettacolo dal vivo, alla musica, agli eventi, sono state quelle più colpite dai provvedimenti restrittivi emanati dal governo per contenere la diffusione del virus.
Durante gli ultimi due anni si stima (fonte Inps) che abbiano abbandonato il settore più di 70mila lavoratrici e lavoratori del settore. Anche perché la categoria, durante questo periodo di chiusure e limitazioni, è stata quella che ha ricevuto meno ammortizzatori sociali, meno sostegni dallo Stato.
Questo è avvenuto proprio per le caratteristiche che il lavoro nella cultura aveva fin da prima, fin da sempre: discontinuità, precarietà, enorme diffusione del lavoro nero o grigio, il tutto condito con una sostanziale assenza di una regolamentazione normativa e di un welfare degni di questo nome. Sia pur in ritardo, è importante che l’attenzione verso questo settore sia comunque arrivata.
Gli ospiti della tavola rotonda concordano sul fatto che in questo disegno di legge sono presenti principi e strumenti che, se definiti e concretizzati nel modo giusto, potrebbero davvero dare una svolta a questa categoria di lavoratori.
Lo strumento più importante, fondante di questa legge delega è il cosiddetto “Set” o reddito di continuità. Si tratta di una misura già presente in alcuni Paesi europei, come ad esempio la Francia, che finalmente coglierebbe la vera natura di questa tipologia di lavoro e ne garantirebbe la sostenibilità. Consiste nel riconoscimento da parte dello Stato di un reddito alle lavoratrici e ai lavoratori dello spettacolo per il periodo in cui non lavorano, come quello tra due performance, tra due ingaggi, tra due eventi.
Siamo di fronte ad un principio rivoluzionario nel diritto del lavoro. Che nasce dalla consapevolezza ormai acquisita di due concetti: innanzitutto che il lavoro nello spettacolo è strutturalmente discontinuo, lo è per sua natura. L’altro concetto è che un attore, un compositore, un musicista, ma anche un tecnico, non stanno senza far nulla tra uno spettacolo e l’altro, ma si preparano, studiano, scrivono, compongono, si esercitano. Ed è giusto che tutto ciò venga riconosciuto anche economicamente.
Per introdurre lo strumento a pieno regime servirebbero 210 milioni di euro. Soldi che nella legge di bilancio non ci sono. Per questo motivo ci troviamo in una situazione di stand by. Per il 2022 non ci sono le risorse sufficienti per finanziare questa misura in maniera strutturale, ha riferito la Catalfo, e la possibilità è la prossima legge di bilancio.
L’altro pilastro di questa riforma dovrà essere il rilancio della cultura e dello spettacolo in Italia. È paradossale apprendere che in Europa l’Italia è al terz’ultimo posto per quanto riguarda i finanziamenti pubblici nel settore, e all’ultimo posto per quanto riguarda la percentuale sul prodotto interno lordo.