- Redazione
- 2022
- Numero 05 - 2022
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Il 5 marzo a Roma il popolo della Pace ha manifestato numeroso contro la guerra in Ucraina, per fermare le armi. Insieme alla Cgil, le tante associazioni, migliaia di persone pensanti, senza elmetto, non rassegnate alla guerra. Donne e uomini non certo imparziali tra aggredito e aggressore, che respingono l’accusa vigliacca di equidistanza per giustificare il ritiro dalla piazza e il sostegno all’invio delle armi.
C’è chi paragona l’aggressione all’Ucraina alla seconda guerra mondiale e alla resistenza partigiana contro il nazifascismo: basta con la demagogia e la retorica, occorre guardare alla storia per capire il presente e sfuggire al pensiero unico. Le guerre si prevengono con la diplomazia e l’azione politica, si contrastano prima che si inneschino. Invece si è preparata la guerra, non la Pace.
Il conflitto in corso porta un passato terribile dentro al nostro presente. Siamo alla follia, si corre il rischio di un allargamento dello scontro fino al possibile utilizzo di armi atomiche. Questa aggressione a un paese sovrano avviene in violazione della Carta dell’Onu e del diritto internazionale, come per tutte le guerre del Novecento scatenate dall’Occidente. Non è la prima volta che avviene nel cuore dell’Europa: non dimentichiamo la sanguinosa guerra nell’ex Jugoslavia, quella che la Cgil di Cofferati definì purtroppo una “contingente necessità.
Oggi la Cgil non ha ambiguità.
In ogni guerra si calpestano le convenzioni dell’Onu e i diritti umani, si alzano muri di falsità, si bombardano città, si uccidono civili, si stuprano donne. Non dimentichiamo i popoli palestinese e curdo, i bombardamenti su Gaza e il Rojava, i civili, i bambini massacrati. Non rimuoviamo le guerre in Afghanistan e in Iraq, costruite sulle menzogne.
Questo conflitto e le stesse sanzioni faranno sentire per anni le loro conseguenze sul piano sociale ed economico. A pagarne il prezzo più alto saranno le giovani generazioni, la parte meno abbiente della popolazione, il mondo del lavoro.
Sulla guerra ci siamo ritrovati ancora senza alleanze politiche, in contrasto con tutte le forze di governo. Ma la Cgil non è affatto isolata, come per lo sciopero generale del 16 dicembre. Il segretario generale Maurizio Landini, interpretando il sentire della maggioranza degli italiani, ha rimarcato la vicinanza al popolo invaso, le ragioni dell’avversità alla guerra e all’invio di armi.
Abolire la guerra come si è abolita la schiavitù significa guardare oltre, è un’idea di progresso, di pace, di riconoscimento reciproco tra popoli. Abolire la guerra significa ripudiarla, fermare le armi, non inviarle, non fabbricarle, non commerciarle. Significa riconvertire le fabbriche che le producono, ridurre le spese militari, abolire le armi nucleari. Ed essere contro il riarmo italiano e tedesco, contro le decisioni del ministro della difesa, che vuole portare le spese militari, già salite a 25,8 miliardi, a 40 miliardi nel 2027. Mentre crescono precarietà di vita e di lavoro, diseguaglianze e povertà, sparisce il tessuto produttivo di qualità, si taglia lo stato sociale, si privatizzano la scuola e la sanità pubbliche, si aggrava la crisi ambientale ed energetica.
La sfida è come si esce da questa crisi di sistema: per noi se ne esce con la radicalità della proposta e con un pensiero alternativo al liberismo e al bellicismo, investendo su Pace, progresso sociale e democratico, eguaglianza per dare una speranza di futuro alle nuove generazioni con la partecipazione e l’utopia del possibile. Con la Cgil unità e plurale.
Il ministro della guerra Guerini dice candidamente che bisogna aumentare la spesa militare, già peraltro aumentata in precedenza. È stato prorogato lo stato di emergenza da parte del governo, neppure più motivato dalla pandemia. Salari e pensioni vengono falcidiati dall’aumento dell’inflazione e dall’esplosione del costo delle bollette. Lo stato sociale non si amplia. Il sistema dei media spara propaganda a palle incatenate, incitando allo scontro di civiltà. Si inviano armi, rendendoci cobelligeranti e di fatto in guerra.
Ma l’aumento della spesa in armi ha reso il pianeta più sicuro? Il potere di deterrenza ha funzionato? Ma davvero qualcuno crede alla necessità ineluttabile della missione civilizzatrice dell’uomo bianco contro i barbari, oggi definita democrazie liberali versus autocrazie? Abbiamo - hanno – l’Europa e gli Usa le carte in regola per dare lezioni di democrazia? E nel mentre sotto le bombe e le armi, come sempre, muore la povera gente, ricchi e potenti si arricchiscono.
Il popolo ucraino, e prima ancora le aree russofone, soffre in questo momento al punto più alto e sotto le luci dei media occidentali. Il popolo russo soffre e soffrirà ancor più a breve, partendo dai soldati per andare ben oltre, mentre capitalisti russi, media e alta borghesia stanno già facendo le valigie. Putin è il garante di questo blocco di potere, che niente ha da spartire con una idea di socialismo o di attenzione alle classi lavoratrici di quello sterminato paese. E in Italia qualche folle ricomincia a dire che bisogna ridurre il debito: ma i soldi per le armi e per i ricchi e potenti si trovano sempre!
Le immagini e le testimonianze da Kiev, Kharkiv, Mariupol e dalle altre città ucraine sono tremende, devastanti. Un’intera popolazione spaventata, sotto assedio, in cerca di rifugio in bunker improvvisati o lungo le strade che portano ad ovest, verso Polonia, Romania, Slovacchia, Moldavia. Uomini che si improvvisano combattenti imbracciando le armi e si immolano contro l’invasore russo, in una resistenza armata da guerriglia urbana contro la seconda potenza militare del mondo. Davide contro Golia.
Zelensky, eletto nel 2019 con il 73% di voti, da popolare attore comico si è trasformato in eroe nazionale, rimanendo a Kiev anziché accettare l’ospitalità all’estero, lanciando appelli alla popolazione di resistere in armi e a Nato e Unione Europea per l’invio di armi e munizioni, fino a richiedere una “no fly zone” e l’invio di aerei caccia bombardieri.
L’Ue, gli Usa e il Regno Unito hanno risposto inviando un po’ sistemi di arma, ma senza esagerare, il necessario per alimentare una resistenza da “guerriglia urbana”, concentrando invece la propria azione di contrasto all’invasione russa su un pacchetto di sanzioni che colpiscono l’economia, le transazioni finanziarie, la confisca dei beni degli oligarchi, fino a minacciare la riduzione ed il blocco dell’acquisto di gas e petrolio, per mettere in ginocchio la cerchia di potere di Putin e far saltare il banco del dittatore.
Questa strategia, che vede un’inusuale compattezza in Europa, il ruolo di regia degli Usa e la piena adesione del Regno Unito, ha come prezzo da pagare un forte impatto sulle nostre economie, una crisi energetica che rischia di farci tornare al carbone, un ulteriore e forte aumento della spesa militare, e il rischio che un incidente o una ulteriore escalation del conflitto possa trascinarci tutti dentro la terza guerra mondiale con tanto di armi nucleari.
Per gli ucraini questa strategia determinerà la fuga di vari milioni di donne, minori e anziani sparsi in ogni angolo d’Europa, la distruzione delle città, la morte di migliaia di uomini e, quale che sia il risultato finale della guerra, il disastro umanitario sarà di enormi dimensioni.
Dall’amministrazione americana ai governi europei, all’unisono, vi è la certezza che questa sia la sola strategia possibile. Ma è vero? Davvero non esistono altre strade? Possibile che davanti alla follia della guerra non sia possibile avere dei dubbi sulle scelte fatte e sull’azione da intraprendere per fermare tutto ciò?
Perché governi ed analisti, di fronte a uno scenario che nel migliore dei casi è una carneficina, non cercano di mettere in campo una strategia differente, che abbia come elementi centrali il rifiuto della guerra e, la salvezza del popolo prima della patria?
Perché non chiedere l’intervento di entità terze, come Onu, Consiglio d’Europa e Osce, legittimate a guidare il negoziato per il cessate il fuoco e per ricomporre il quadro frantumato per le violazioni del diritto internazionale, e per le responsabilità politiche dell’Occidente che non ha saputo prevenire questa ennesima catastrofe?
Perché non pensare innanzitutto alla protezione della popolazione ucraina e mettere in campo proposte ed offerte di mediazione reali, concrete per fermare la guerra?
Zelensky, se ha il coraggio di chiedere alla propria cittadinanza di prendere le armi, dovrebbe avere il coraggio di passare dalla difesa armata alla difesa civile, ordinando che nessuno lasci la propria casa, dichiarando che l’Ucraina rifiuta la guerra, ordinando a esercito e i militari di togliersi le divise, lasciare le armi, per difendere in primis la popolazione e quindi la patria, con il pieno e forte sostegno della comunità internazionale.
Il rifiuto della guerra e un reale tavolo di trattativa, dove ogni parte deve offrire e cedere qualcosa, dovrebbero essere le coordinate della strada da percorrere per fermare le armi e costruire la pace. Tutti insieme, noi, democratici, difensori delle libertà e dei diritti, della pace, semplici militanti e leader politici insieme alla popolazione ucraina, in piazza per le strade delle città ucraine in attesa che entri l’invasore. Un incontro tra invasore armato e popolazione disarmata in mondovisione. Un incontro che farà storia. Cosa pensate che accadrebbe?
Ci sarà occupazione? Sì, ma accanto all’Ucraina ci sarà il mondo interno, le Nazioni Unite, l’Unione europea, i popoli, le nazioni, la politica, le istituzioni, le chiese, i sindacati, le imprese. Ci saranno ancora sofferenze e violenze, certo, ma si sarà fermata la guerra e la parola tornerà alla politica, alla diplomazia, alla popolazione. L’umanità avrà vinto, la guerra sarà la perdente.
Un sogno, un’utopia? No, sarà una realtà se avremo il coraggio di fare i conti con il passato, con i disastri delle guerre, scommettendo definitivamente sull’ideale dell’universalità dei diritti, sull’umanità, sulle libertà, sull’uguaglianza e non sui nazionalismi, sulla nonviolenza e non sulle armi. Mai come in questo momento serve una profonda riflessione su cosa stiamo facendo prima che sia troppo tardi.
La società civile pacifista si è ripresa la parola - dopo settimane di occupazione dello spazio pubblico da parte dei grandi decisori della terra – e ha manifestato con grande forza, prima con una mobilitazione diffusa in tantissime città, poi con una grande manifestazione nazionale a Roma, con oltre 50mila persone.
Si è formato un arco variegato di circa 200 associazioni, sindacati, reti, comitati e movimenti, tutti uniti per dire no alla guerra, per condannare l’aggressione della Russia all’Ucraina, per chiedere il cessate il fuoco e l’immediato avvio di un vero negoziato che ponga fine a questa ennesima guerra, e per ribadire che la scelta di inviare armi non è la strada che porterà pace e sicurezza in Europa. Tutt’altro che anime belle, tutt’altro che equidistanti!
La pace non è un orizzonte culturale ma un progetto politico, che deve trovare la sua preparazione e attuazione lontano dalle emergenze – quando si possono solo limitare i danni – per costruire un mondo senza conflitti e cancellare la guerra dalla storia. Abbiamo chiesto che venga fatto ogni sforzo per l’apertura di una vera trattativa negoziale multilaterale, tanto più efficace quanto più saranno credibili e autorevoli i soggetti della mediazione. Auspichiamo che l’Onu, per le caratteristiche di terzietà e autorevolezza, svolga un ruolo decisivo in questa fase. E’ necessario il cessate il fuoco e la fine delle ostilità, fermare la carneficina e la barbarie che miete la gran parte delle sue vittime tra la popolazione civile, stremata e in fuga.
Siamo vicini e solidali con chi continua coraggiosamente a opporsi alla guerra con forme di difesa civile non armata e nonviolenta, ai tanti sfollati e profughi che hanno perso la casa, hanno dovuto abbandonare i loro cari e formare lunghe file ai confini della Polonia per cercare un futuro per sé e i propri figli. Chiediamo che l’Ue e il nostro Paese varino misure straordinarie di accoglienza per la popolazione ucraina, così come per tutti gli altri profughi e migranti, non è accettabile alcuna discriminazione tra chi fugge da guerre o da altre condizioni di necessità. L’Europa deve recuperare ora le sue radici di civiltà, diritto e umanità, altrimenti perderà per sempre la sua anima e il suo futuro.
È inoltre necessaria l’apertura di corridoi protetti per le agenzie internazionali e le organizzazioni umanitarie, perché possano prestare aiuto alla popolazione in condizioni di sicurezza.
Siamo anche vicini alla popolazione russa, che con coraggio manifesta il proprio dissenso alla guerra nelle principali città con gravi rischi per la propria incolumità personale, per la repressione del regime autocratico di Putin.
Esprimiamo solidarietà alle comunità di lavoratrici e lavoratori ucraini in Italia, che tanto lavoro di cura svolgono nel nostro Paese, angosciati da quello che accade e preoccupati per parenti e amici, sotto le bombe o in fuga dalla guerra.
L’Ue ha perso una grande occasione politica: poteva svolgere un ruolo di mediazione tra le parti, essere uno dei soggetti che favorisce la de-escalation del conflitto, agire la neutralità attiva. Ha invece scelto di andare nella direzione opposta, fornire armamenti all’Ucraina alimentando un teatro di guerra.
Le logiche della competizione economica e energetica, del potere militare e politico sono parte delle cause di questo conflitto di cui l’Ucraina è vittima, contesa tra Est e Ovest, tra due imperialismi uguali e contrapposti.
È ora di chiudere la fase dei blocchi militari, di discutere di sicurezza comune e condivisa attraverso il disarmo e la cooperazione tra gli Stati, porre fine al commercio di armi, dare spazio a programmi di educazione alla pace e alla mondialità, alla cittadinanza attiva e la solidarietà. Questa è l’Europa che vogliamo, questa è l’Europa che ci serve.
L’Arci, con la Rete Italiana Pace e Disarmo, è stata tra i protagonisti delle mobilitazioni nelle ultime settimane. Ora si apre una fase nuova, di costruzione di risposte concrete alle emergenze che la guerra sta producendo. Proseguiremo nell’azione informativa e di conoscenza e informazione sulle cause di questa guerra, così come di approfondimento delle soluzioni politiche e di solidarietà che abbiamo proposto, con dibattiti e seminari; proseguiremo con la sensibilizzazione di cittadine e cittadini, anche con mobilitazioni unitarie territoriali.
Stiamo chiedendo al governo un piano straordinario per l’accoglienza dei profughi ucraini – che Unhcr stima fino agli 8 milioni in tutta Europa – con investimenti all’altezza della situazione, senza che ne venga scaricato l’onere al Terzo Settore.
Abbiamo bisogno di una collaborazione più stretta tra ministero degli esteri e tutto il mondo delle Ong sulle iniziative umanitarie e di cooperazione internazionale da intraprendere da subito, con un piano d’investimento proporzionato alla gravità della situazione.
La guerra non è “la prosecuzione della politica con altri mezzi”, ne è il suo fallimento: per questo la politica deve tornare in campo.