La mattanza avvenuta nel carcere di Santa Maria Capua Vetere nell’aprile del 2020 ci riporta, per alcuni aspetti e certe similitudini, a quanto di grave e violento successe a Genova nel luglio del 2001 durante il G8. La ministra della Giustizia, Marta Cartabia, ha definito il massacro di detenuti inermi da parte delle guardie carcerarie “un’offesa e un oltraggio alla dignità delle persone e della divisa”, parlando di “agenti che hanno tradito la Costituzione”. Dichiarazioni importanti, ma parziali, riduttive e persino devianti. Quel brutale pestaggio non è un fatto isolato perpetrato da guardie fuori controllo, ma un’azione concertata e organizzata su comando, avvenuta in più carceri.
Le complicità, i depistaggi, le falsità dei dirigenti, l’estraneità di alcuni ministri e politici e il coinvolgimento di altri, la falsificazione delle cartelle sanitarie, le manomissioni delle prove, l’alterazione dei filmati e delle foto, le dichiarazioni dei comandanti delle guardie carcerarie “affette da falsità ideologiche”, come dichiarano esponenti della magistratura, ci riportano nella peggiore Italia.
Mentre chiede - con poca convinzione, in realtà - al governo egiziano verità è giustizia per l’assassinio di Giulio Regeni, lo Stato lascia che passino undici anni di mistificazioni, depistaggi, falsità, campagne diffamatorie da parte di uomini dello istituzioni prima di fare luce sulla morte, le torture e le violenze subite in una caserma e in carcere da Stefano Cucchi.
Le “violenze di Stato” esercitate da indegni uomini in divisa coperti dai superiori, i depistaggi, i raid punitivi, le rappresaglie mascherate da perquisizioni, le coperture e le responsabilità diffuse dei vertici dello Stato, li abbiamo vissuti e sentiti in quelle tragiche giornate di Genova. Abbiamo il dovere di non dimenticare e di trasmettere la nostra memoria della storia del Paese così come l’abbiamo conosciuta, vissuta, subita o contrastata, in prima persona e collettivamente.
Siamo al ventennale delle straordinarie giornate del G8 del 19, 20 e 21 luglio 2001, giornate di partecipazione e di mobilitazione “No Global”, organizzate dal Genoa Social Forum. Come dimenticare le cariche continue, i rastrellamenti, l’uso di armi da fuoco e sbarre di ferro da parte delle forze militari dello Stato, le terribili violenze, le torture che funestarono quelle giornate?
Per una settimana Genova fu una città militarizzata, blindata. Militari, carabinieri, polizia, finanza, con navi ed elicotteri, occuparono e presidiarono la costa ligure e il territorio. In quei giorni si scrisse una delle pagine più oscure della storia della Repubblica. La scuola Diaz e la caserma di Bolzaneto furono conosciute nel mondo come i luoghi della vergogna italiana.
Le responsabilità politiche, morali e giudiziarie furono di quanti orchestrarono e pianificarono la macelleria di Stato, della catena di comando che dirigeva le operazioni in una stanza della questura di Genova, dove, tra gli altri, c’era il vicepresidente del Consiglio del governo Berlusconi, Gianfranco Fini, in seguito defenestrato per una faida interna a Forza Italia, non certo per la responsabilità di quel massacro. Il ministro degli Interni era quel Claudio Scajola che, due mesi dopo, dichiarò di aver dato il libero utilizzo di armi da fuoco in difesa della invalicabile “zona rossa”. Arrestato nel 2014 e condannato in primo grado a cinque anni di carcere per aver favorito la latitanza dell’ex parlamentare Amedeo Matacena, restò impunito, lui come altri, per le gravi responsabilità su quanto avvenne in quel G8.
Le forze dell’ordine furono gli strumenti della repressione, ma i governi europei, il governo Berlusconi, i servizi segreti, i generali, i comandanti, i ministri, i prefetti della catena di comando e tanti politici di destra furono i mandanti delle violenze. Mai nessuno ha realmente pagato, e tanti hanno fatto carriera. La speranza è che non succeda anche per la mattanza nelle carceri.
A Genova in quei giorni, in quelle manifestazioni, in quegli incontri si respirava l’entusiasmo degli ideali, si camminava con la forza delle idee, si viveva con l’utopia del possibile e il bisogno del cambiamento. Quella che allora sembrava un’eresia oggi è una necessità per la sopravvivenza della Terra e il benessere umano. È grazie a quei movimenti globali, a quelle manifestazioni di massa, a chi c’era se oggi possiamo ancora lottare per il cambiamento, difendere la democrazia e salvare insieme il lavoro, i diritti e l’ambiente.
A Genova c’erano tanti stranieri, tanti italiani, tanto popolo. Si sono vissute giornate memorabili, tanto entusiasmanti quanto terribili e violente. Si è vissuto un incontro mai visto tra generazioni e tra paesi, tra il mondo del lavoro e i tanti movimenti e le associazioni pacifiste, libertarie, ecologiste, anticapitaliste, femministe. Una partecipazione consapevole, militante, radicale e alternativa.
Quel movimento doveva essere spezzato, umiliato, frantumato. Faceva paura e destabilizzava l’ordine politico e sociale, metteva in discussione l’ideologia del capitale e del profitto.
Molti videro e tanti subirono inaudite e brutali violenze. Molti di quei giovani subirono conseguenze psicologiche, gravi traumi e tanti, purtroppo, abbandonarono l’impegno politico. L’obiettivo del potere era stato raggiunto. Questo è successo a Genova nel 2001.
La storia ha poi dato ragione a quanti, da Seattle a Porto Alegre, da Genova a Firenze, contestavano la globalizzazione liberista, centrata sul profitto e sullo sfruttamento delle persone e del pianeta. Si manifestava e si proponeva, si lottava per “un mondo migliore possibile”.
La società civile, i movimenti, le comunità, i pacifisti e gli ecologisti, le associazioni, e i partiti, i cattolici e i laici c’erano. C’era un pezzo del mondo del lavoro, c’era la Fiom, noi di Alternativa Sindacale, la sinistra sindacale Cgil di allora, tante e tanti iscritti ai sindacati, alla nostra Cgil.
Non c’era purtroppo ufficialmente la Cgil che, ancora imbrigliata in una linea politica e sindacale non adeguata, non seppe cogliere il valore politico e sociale di quella manifestazione e di quel popolo di giovani, donne e lavoratori. Una posizione successivamente modificata, facendo della Cgil uno dei soggetti portanti del primo Forum Sociale Europeo a Firenze, nell’autunno del 2002, e del grande movimento italiano e planetario contro la guerra, sfociato nelle enormi manifestazioni del 15 febbraio 2003. In occasione del decennale la Cgil, firmando con l’Arci un documento dal titolo “Genova per noi”, partecipò e organizzò l’evento culturale e politico realizzato a Genova.
A maggior ragione oggi, quando è necessario ribadire il nostro impegno sul terreno della difesa della democrazia, non dovrebbe far mancare la sua presenza, la sua rappresentanza nel ventennale dei prossimi giorni.
La nostra Costituzione è stata tradita e calpestata in molte occasioni da chi dovrebbe difenderla e applicarla. Troppe volte abbiamo dimostrato di essere un Paese senza memoria, che sembra aver perduto la conoscenza e la capacità di riflessione storica. La nostra è una democrazia giovane e debole. Siamo un Paese che non ha mai realmente fatto i conti con il ventennio fascista e le sue nefaste conseguenze. La politica assente, debole, incapace, revisionista, trasformista e consociativa è corresponsabile, quando non colpevole, delle tante ombre nere, delle nefandezze che sviliscono la Costituzione mettendo in pericolo la nostra democrazia.
La nostalgia per un vergognoso ventennio, il cancro del fascismo e del razzismo, la voglia dell’uomo forte non sono ancora stati estirpati in una parte della popolazione, nel paese reale e nelle istituzioni. Dopo oltre 75 anni dalla Liberazione dal nazifascismo, un filo nero di natura e di cultura eversiva e antidemocratica continua a percorrere il Paese, attraversa settori dello Stato, si annida e occupa molte istituzioni e centri di potere finanziario e politico.
Questa è una delle facce oscure di un Paese attraversato da una profonda crisi dei valori, della solidarietà, da una pericolosa regressione culturale e democratica che è presente nello Stato, nelle istituzioni, nelle forze politiche di destra e non solo, nel fronte padronale più conservatore e liberista.
La Cgil, da sempre baluardo di difesa della Costituzione, dei diritti e della nostra democrazia, luogo di incontro delle generazioni, non può perdere la sua memoria storica, la sua capacità di analisi, soprattutto in questa fase di crisi globale e di necessario cambiamento.
La memoria storica ci ha insegnato che nulla è scontato, nulla è mai per sempre. La Cgil, com’è nella sua storia, sarà in campo per difendere il lavoro, i diritti, la nostra democrazia faticosamente conquistata con la lotta antifascista, e affermata con la nostra preziosa Costituzione repubblicana.