Fra i grandi ospedali romani è l’ultimo arrivato. Ha avuto una gestazione laboriosa, ma oggi è uno dei punti di riferimento del macrocosmo sanitario laziale. Il Sant’Andrea svolge la duplice funzione di polo ospedaliero e universitario, coniugando le attività cliniche con quelle didattiche. Una cittadella della medicina nella periferia nord, che serve i comuni, anche popolosi, del quadrante nord/nord-est della capitale.
Finisce spesso sulle pagine dei giornali il Sant’Andrea, grazie a studi all’avanguardia nel campo della ricerca, che affiancano la quotidiana attività di un policlinico di eccellenza. Ma ci sono anche notizie, magari meno evidenziate, che raccontano del superlavoro a cui sono stati costretti sanitari, medici, infermieri e operatori socio-sanitari. Una realtà patologica, già emersa prima della pandemia, che per forza di cose si è ulteriormente evidenziata nel lungo periodo dell’emergenza sanitaria.
Sara Della Valle è un’infermiera del Sant’Andrea, ci lavora dal 2004, un’esperta: “Sono di quella generazione che ha imparato ad alzare i pazienti dal letto con la forza delle braccia, e che oggi si ritrova con punte d’ernia e ginocchia in disordine”. In prima linea durante la pandemia, insieme alle sue compagne e compagni di lavoro Della Valle non si è risparmiata nel corso della guerra al Covid-19. Oggi la troviamo a protestare nella vertenza aperta per il riconoscimento dei tanti straordinari fatti e non pagati. “Questa volta siamo tutti insieme - spiega - non solo noi della Funzione pubblica Cgil, ma anche quelli di Cisl e Uil. I nostri sacrifici devono essere riconosciuti. È paradossale, ancora non ci danno i soldi che ci spettano. Continuiamo a chiedere riscontri concreti dall’azienda e dalla regione Lazio sul mancato pagamento in merito alle tante ore di lavoro in più che siamo stati di fatto obbligati a fare negli ultimi due anni”.
Basta poco per passare dagli applausi generalizzati agli ‘angeli delle corsie’, alla lesione di diritti conquistati con la forza del duro lavoro quotidiano. “Non si è trattato solo del virus a richiederci uno sforzo supplementare - sottolinea Della Valle - già prima dell’emergenza c’erano evidenti carenze di personale, dovuti ad anni di blocco del turnover, solo in parte compensate da nuove assunzioni. Durante l’emergenza sono stati chiamati infermieri con contratti a termine, ma solo alcuni di loro sono stati poi confermati”.
Siamo alle solite, c’è stato bisogno dell’emergenza pandemica per accendere i riflettori su un Sistema sanitario pubblico ferito da anni e anni di tagli, quasi sempre indiscriminati. Il danno e la beffa: “A noi del Sant’Andrea hanno addirittura abbassato lo stipendio, ce ne siamo accorti una volta ritirata la busta paga. Eppure ci siamo stati sempre, giorno dopo giorno dopo giorno. Non ci siamo mai tirati indietro, facendo turni massacranti, con continue richieste della direzione sanitaria di adeguare le nostre procedure ai protocolli di sicurezza anti Covid-19. Molte delle vecchie, normali disposizioni, erano saltate, potevi essere spostato da un reparto all’altro. Qualcuno si è anche ammalato. Per tutta risposta, la direzione pretenderebbe di utilizzare la voce ‘recupero’ ore per coprire gli straordinari fatti”.
Della Valle scuote la testa di fronte a un’organizzazione del lavoro che diventa sempre più strutturata a ‘piramide’, con ipertutelati in cima, e gli operai in fondo a sgobbare. “Sono state create nuove figure dirigenziali - spiega - anche fra noi infermieri, nel mezzo fra un ruolo dirigenziale e quello di capo sala. Con bonus che aumentano non poco i loro stipendi. In questo modo ci dividono per controllarci meglio. È il vecchio detto latino ‘divide et impera’ declinato ai giorni nostri”.
Sara Della Valle è specializzata in medicina del lavoro, ma come tanti colleghi ha dovuto imparare, in fretta, a fare tamponi e vaccini. “Abbiamo fatto il corso per la somministrazione e siamo subito entrati in azione. Ci siamo vaccinati l’un l’altro. Scherzando potremmo dire che abbiamo fatto da cavie”.
Il Sant’Andrea è un polo ospedaliero molto grande, fra dipendenti, pazienti e loro familiari, studenti e specializzandi è frequentato ogni giorno da miglia e migliaia di persone. Ora che grazie alle vaccinazioni la guerra contro il virus è arrivata a una svolta, la speranza di Della Valle è che non ci si dimentichi del pianeta sanità e dei suoi abitanti, donne e uomini che alle volte non hanno neanche il tempo di fare la pausa pranzo, che fanno fronte ai piccoli e grandi problemi che sempre ci sono in strutture così complesse, che sono ancora costretti a protestare perfino per farsi riconoscere il tempo speso a indossare le tute anti Covid. “Dovremmo essere di più ad arrabbiarci - riconosce la sindacalista della Fp Cgil - purtroppo viviamo in un’epoca di individualismo sfrenato, e molti spesso dimenticano che i diritti vanno conquistati insieme”.