Sull’ultimo numero del 2020 di Sinistra Sindacale avevamo pubblicato un articolo, dal titolo “Garantire la salute dei detenuti”, che parlava, fra le altre cose, delle richieste e delle proposte avanzate, fin dalla prima fase della pandemia, per ridurre il sovraffollamento e intervenire in maniera concreta per abbattere le possibilità di contagio all’interno del carcere.
Sono richieste che non sono state accolte dal governo. Le misure previste, quali la detenzione domiciliare limitata a chi ha pene da scontare inferiori a 18 mesi, per di più subordinata alla disponibilità di braccialetti elettronici, di fatto sono assolutamente insufficienti per influire in maniera significativa sulle presenze, e ridurre quindi le possibilità di contagio.
Da dicembre ad oggi però è successa una cosa importante, in grado di intervenire sulla propagazione del virus: è finalmente arrivato il vaccino. E sono state stabilite le modalità di somministrazione, a partire come è ovvio che sia dai gruppi più esposti e a rischio, anziani in Rsa, operatori sanitari, ecc.. Nonostante gli appelli e autorevoli richiami come quello, fra i tanti, della senatrice Segre, i detenuti non sono stati ritenuti una priorità.
È del 13 gennaio scorso la circolare del Dap, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, che avvia la campagna vaccinale nelle carceri, ma coinvolge solo il personale. È del tutto evidente come sia parziale una campagna che riguarda solo una parte delle persone che vivono in una realtà chiusa come il carcere, con il rischio di non avere piena efficacia.
Il carcere è uno dei luoghi ad altissimo rischio di diffusione del virus, anche verso l’esterno. I detenuti, come affermato anche dal Comitato Nazionale di Bioetica, rappresentano un gruppo ad alta vulnerabilità bio-psico-sociale. Al 16 gennaio venivano riferiti 718 contagi fra i detenuti, e 701 fra il personale.
Sono numeri che devono destare attenzione e preoccupazione. Per questo è giusto aver inserito gli operatori penitenziari fra le persone da vaccinare già nella prima fase, ma è necessario che anche le persone ristrette lo siano: proprio per le caratteristiche della popolazione carceraria, oltre che dei luoghi in sé (condizioni igienico sanitarie, impossibilità ad avere spazi dove praticare il distanziamento), devono essere una priorità.
Vaccinare i detenuti è uno dei modi che abbiamo per rispettare il dettato costituzionale, sotto ogni punto di vista. La pena per l’autore di un reato, qualsiasi reato, è la privazione della libertà, non del diritto alla salute. E se le pene devono mirare al pieno recupero alla società delle persone, vaccinare i detenuti permetterebbe anche la ripresa di tutte quelle attività, come l’istruzione e la formazione, il lavoro, le attività culturali, indispensabili nel percorso di recupero e reinserimento, che sono state bruscamente interrotte all’insorgere della pandemia. Così come permetterebbe la ripresa delle visite dei familiari, indispensabili per il mantenimento delle relazioni affettive, la cui sospensione ha generato uno stato di profondo malessere.
Indubbiamente è tema importante, vista anche la limitatezza delle disponibilità di vaccino e i problemi nella fornitura che si stanno prospettando, ma non può essere questa una ragione per non includere le persone ristrette nella prima fase di somministrazione. E, come ha affermato per esempio il governo canadese (il Canada è uno degli Stati che ha prioritariamente previsto la vaccinazione dei detenuti), il linguaggio del risentimento, della paura, non deve trovare spazio in questa discussione.
Nei giorni scorsi la Cgil ha formalmente richiesto al ministero della Salute di inserire le persone ristrette, insieme al personale, nei gruppi prioritari per l’accesso alla vaccinazione. Questo perché crediamo che la giustizia giusta sia solo quella che non cede mai a forme di vendetta, che non perde mai di vista la dignità delle persone, i diritti costituzionalmente garantiti, che non adombra luoghi dove le persone sono discriminate, e vivono vite di scarto.
E’ della serata del 21 gennaio la notizia che il commissario Arcuri ha dichiarato in conferenza stampa che “detenuti e personale delle carceri possano completare la vaccinazione in un momento successivo a chi ha più di 80 anni”. Se alle dichiarazioni seguiranno i fatti, sarebbe questa finalmente una buona notizia, un risultato ottenuto grazie alla mobilitazione e agli appelli di molti, e alla richiesta formale avanzata dalla Cgil.