Dopo quattro giorni di tensione continua, tutti i maggiori media degli Stati Uniti hanno attribuito la vittoria a Biden. Mentre Trump continua a perseguire la sfida dei tribunali e lancia accuse di frodi, è chiaro che la classe dominante lo ha già abbandonato. Anche il suo media “megafono”, Fox News, ha respinto le sue proteste per aver dato la vittoria di Biden in Arizona, uno Stato chiave in bilico, il giorno dopo le elezioni. Ci sono pochi dubbi che Biden diventerà il 46°presidente Usa il 20 gennaio, e Kamala Harris passerà alla storia come prima donna e donna di colore a essere vicepresidente.
Non solo Biden ha prevalso nel voto popolare, battendo Trump per oltre 4 milioni di voti, ma ha anche ripreso tre Stati tradizionalmente democratici che nel 2016 erano andati a Trump: Wisconsin, Michigan e Pennsylvania. Spostare questi tre Stati ha consentito a Biden di superare i 270 voti elettorali necessari per diventare presidente. Sfortunatamente i Democratici non sono riusciti ad avere guadagni significativi nel numero di senatori. Invece nella Camera dei Rappresentanti i Democratici mantengono il controllo, ma con una maggioranza minore. Senza una maggioranza al Senato, l’agenda legislativa di Biden sarà severamente ostacolata.
Nonostante quattro anni di scandali, la cattiva gestione della pandemia, il sostegno ai vigilantes e un governo di estrema destra, Trump è rimasto immensamente popolare con la sua base largamente rurale e di periferia. Rispetto al 2016 ha anche guadagnato ampi riconoscimenti tra neri, latinos e donne.
Comunque la più grande novità demografica di queste elezioni è stata la gigantesca crescita nel numero complessivo di elettori latinos, 8 milioni. Mentre la comunità non è monolitica, la grande maggioranza di questi voti sono andati ai Democratici. I latinos sono diventati il secondo più grande blocco elettorale del Paese superando gli afroamericani.
Biden si è presentato come un candidato che vuole riportare gli Usa alla normalità. Non ha offerto programmi sociali o economici radicali per affrontare l’emergente crisi economica, o la furiosa protesta nazionale contro la condotta della polizia verso le comunità di colore. I suoi sostenitori hanno assicurato che la piattaforma del Partito democratico non sostiene un sistema sanitario pubblico (Medicare for All), un nuovo patto verde sul cambiamento climatico, o grandi riforme politiche. Come nella campagna della Clinton nel 2016, quella di Biden non ha offerto un programma con chiare alternative attrattive per i lavoratori. Biden ha ottenuto a livello nazionale il 57%, del voto delle famiglie operaie, ma in due Stati chiave, Ohio e Pennsylvania, le famiglie di lavoratori hanno votato Trump al 57% e 53%. Un tendenza della quale il movimento sindacale deve essere veramente preoccupato.
Ma non sono solo i programmi e la visione a far vincere le elezioni. L’organizzazione sul campo e il contatto con gli elettori sono cruciali. Sorprendentemente solo pochi sindacati nazionali – particolarmente Unite Here – hanno messo i loro dirigenti, apparati e iscritti a bussare alle porte degli elettori. Questo relativamente piccolo ma militante sindacato, i cui affiliati sono stati decimati dal Covid 19, ha lavorato in Stati chiave come Arizona, Nevada, Pennsylvania e Florida. La maggioranza degli altri sindacati – in un eccesso di precauzione per la pandemia – non ha mobilitato i propri iscritti per la campagna porta a porta. Tweet, email, cartoline sono importanti, ma niente può sostituire il contatto faccia a faccia.
Il movimento sindacale e la sinistra hanno davanti un grande sfida con la presidenza Biden. Seguendo la sua carriera al congresso e da vicepresidente, governerà probabilmente come un classico neoliberista. Durante la sua campagna ha promesso a Wall Street di non avere “niente da temere” dalla sua amministrazione.
La nostra sfida sarà ancora più complicata se i repubblicani manterranno il controllo del Senato. Fortunatamente, per le regole elettorali della Georgia, il movimento ha l’opportunità di conquistare due seggi per i Democratici, in una elezione suppletiva del 5 gennaio. Se i democratici li vincessero, il Senato sarebbe diviso 50 a 50 e la neo vicepresidente Harris avrebbe il voto decisivo. Il mondo del lavoro ha una possibilità di riscatto, ma solo se tutti i sindacati impegneranno dirigenti e iscritti in Georgia.
L’obiettivo strategico di breve termine di sconfiggere Trump è stato raggiunto. Comunque i suoi oltre 71 milioni di voti provano che egli era solo il sintomo, non il problema. Il “trumpismo” sopravviverà.
Il porta a porta, lavoratore a lavoratore, la “battaglia sul campo” in Arizona e altri stati in bilico è stata la chiave per vincere un piccolo margine per i voti a Biden. Ora il movimento dei lavoratori deve ridispiegare strategie simili per discutere estensivamente con i sostenitori di Trump. Fallire in questo vuol dire ignorare la vera minaccia esistenziale per il futuro del movimento dei lavoratori: il crescente consenso della classe lavoratrice verso Trump.