Pensavamo di poter parlare serenamente di quanto si stava discutendo ai tavoli di trattativa col governo sul versante previdenza e non autosufficienza. E invece riecco il Covid, riecco l’emergenza, riecco il dramma di una sanità in grave difficoltà (oserei dire nel panico, per quanto riguarda noi in Lombardia).
La sanità era ed è la priorità assoluta. Memori di quanto avvenuto in “fase 1” e sulla scorta di quanto già sostenevamo come sindacato prima della pandemia, stiamo fortemente insistendo affinché si affronti questa nuova ondata attrezzando la medicina sul territorio e i medici di medicina generale in modo tale che, sia nel monitoraggio che nel tracciamento del contagio, diano risposte più rapide e più efficaci di quanto sia stato fatto dagli ospedali e dai pronto soccorso nella prima fase. Si può e si deve fare.
Certo, sentir dire da Ats Milano che si è perso il controllo della tracciabilità dei contagi, e constatare che il numero di tamponi continua ad essere insufficiente, non ci fa certo ben sperare. Ma una stretta sinergia tra medici di base, specialisti di malattie respiratorie, Unità speciali di continuità assistenziale (Usca), e una diffusione sul territorio degli infermieri di comunità, resta la via migliore per isolare e curare tempestivamente i frequentissimi casi, meno problematici dal punto di vista medico, ma veicolo micidiale di diffusione del contagio se non presi per tempo e lasciati liberi di circolare. Occhio di riguardo e maggior controllo medico nei confronti delle tanto bistrattate Rsa al fine di evitare il ripetersi del disastro di “fase 1”.
Ciò premesso - e sapendo che gran parte del futuro immediato di questo Paese e dell’umanità intera dipenderà dalla capacità di contenere e stroncare questo maledetto Covid - rimane aperto il tavolo del confronto col governo. Innanzitutto, su occupazione e ammortizzatori sociali, l’insoddisfacente confronto coi ministri competenti ha portato alla richiesta di una convocazione da parte di Conte. Certo, questo nuova clausura e la chiusura di bar, ristoranti, palestre, cinema e teatri non fa che aggravare la crisi di settori interi che di tutto hanno bisogno meno che della riapertura della libertà di licenziare. Vanno trovate soluzioni risarcitorie per le chiusure e garantiste per gli occupati dei settori. Nessuna macelleria sociale, specialmente nei confronti dei precari da sempre.
Ma facciamo il punto sulla previdenza: partendo dalle pensioni e dal loro ammontare restiamo in attesa di risposte sulla quattordicesima, sulla rivalutazione e sulla piena copertura contributiva per i part time verticali. Dopo i proclami di Conte sul superamento di “quota 100” - meglio discutere di come sostituire questa previsione con altre proposte in attesa della scadenza naturale (fine 2021) - per il sindacato resta la necessità di flessibilità in uscita (41 anni contributi) e di salvaguardia di uscite anticipate per lavori gravosi e usuranti. Per esempio, le/gli assistenti degli anziani presso le Rsa, pur svolgendo un lavoro più che gravoso, ingrato e pericoloso, per un “disguido tecnico”, nella stesura dei codici che consentono l’uscita con 41 anni per precoci e usuranti, non possono usufruire di questo beneficio, e dopo quello che hanno vissuto e stanno vivendo ci sembra proprio un bel “grazie” da parte dello Stato… . Nella gravosità deve rientrare anche il lavoro di cura delle donne, e nella carriera contributiva dei giovani deve essere salvaguardata la discontinuità e l’esiguità della contribuzione.
Alla questione previdenziale va affiancata una politica fiscale che nell’immediato equipari la tassazione dei pensionati a quella del lavoro dipendente. Non hanno spazio richieste populiste e demagogiche di “meno tasse per tutti”, anzitutto perché il fisco grava per più dell’80% sulle spalle di lavoratori e pensionati, e poi perché l’evasione fiscale è troppo grande e diffusa per un paese civile. È invece tutt’altro che peregrina e non praticabile la proposta di introdurre, specialmente in un momento emergenziale come questo, una tassa sui grandi patrimoni che comporterebbe un minimo di giustizia sociale che tanto manca al nostro Paese. Con la pandemia sono grandemente aumentati i poveri e gli indigenti, ma è aumentato il numero dei ricchi e soprattutto l’ammontare dei loro patrimoni.
Sul tavolo nell’ultimo incontro di settembre è stata data disponibilità ad affrontare l’annoso problema della legge sulla non autosufficienza. Attendiamo gli approfondimenti e le risposte del caso, sapendo che il tema era ineludibile ante Covid 19, e diventa stringente e irrinunciabile per quella parte di popolazione anziana e non a cui questa pandemia ha contribuito fortemente a peggiorare le condizioni di vita, e le cui famiglie non reggono più il peso e l’onere di un’assistenza, senza il dovuto supporto economico e di servizi da parte dello Stato.