La crisi da pandemia colpisce anche il settore tessile-moda. E il padronato, in linea con Bonomi, prefigura un forte ridimensionamento dell’occupazione.
Venerdì 23 ottobre si è svolto a Como un attivo delle delegate e dei delegati del settore tessile-moda, organizzato dalla Filctem Como e dalla Filctem Lombardia. Il titolo della tavola rotonda: “Ripartiamo dal made in Italy – infiliamo le idee giuste”. Ha introdotto Luisa Perego, della Filctem Lombardia. Ne è poi seguita una discussione, moderata dal giornalista Luca Telese, alla quale hanno preso parte Sonia Paoloni segretaria Filctem nazionale, Sandro Estelli segretario generale Filctem Como, Alessia Morani sottosegretaria del Mise, Carlo Mascellani responsabile delle relazioni industriali di Confindustria Moda e Sergio Tamborini amministratore delegato della Ratti spa.
Il settore tessile ha configurato, a partire dalla rivoluzione industriale, la “geografia” dell’industria manifatturiera comasca, facendo conoscere la città nei più importati mercati mondiali. Gli anni ottanta del secolo scorso hanno determinato una crisi dei più importanti siti produttivi, trascinando il territorio lariano in un declino inesorabile. Pur tuttavia rimane a livello locale un settore centrale del tessuto economico.
A livello nazionale i numeri sono importanti: il tessile-moda-accessorio è costituito da 66mila aziende, occupa oltre 580mila addetti, ed ha un fatturato di 96 miliardi di euro, di cui il 65,9% in esportazioni. Le difficoltà determinate dalla pandemia sono state delineate dalle parole di Luisa Perego. Le stime per il 2020 dicono di una riduzione del fatturato del 26,9% e dell’occupazione del 30%. Con la nuova ondata di infezione autunnale, la contrazione del fatturato rischia di superare il 40%.
Condivisa l’analisi della crisi, la discussione della tavola rotonda si è fatta serrata sugli interventi necessari per il settore e le prospettive future. Si è ragionato su un arco temporale medio, con un periodo di stabilizzazione e una ripresa che si potrebbe verificare solo a partire dal 2024. Organizzazioni sindacali e Confindustria Moda hanno siglato un documento congiunto, inviato al governo il 23 settembre scorso.
Se sulla proroga della cassa Covid vi è accordo, le posizioni divergono sulla proroga del blocco dei licenziamenti. Nelle parole di Ratti e Mascellani, pur mantenendo una dialettica improntata al “politicamente corretto”, è apparsa chiara l’intenzione imprenditoriale di operare una selezione degli addetti, provando ad espellere dal mercato le professionalità meno attrattive. Correttamente Estelli ha richiamato le responsabilità delle aziende che non hanno investito in formazione e riconversione del personale.
L’amministratore delegato del gruppo Ratti - marchio leader del tessile comasco e proprietario dei centri della grande distribuzione Bennet – ha preconizzato il futuro occupazionale del sistema tessile: 20% di uscite a fronte del 5% di entrate. Il saldo negativo è quindi del 15%. Conti alla mano si parla di ben 87.000 cessazioni! Echeggiano in queste previsioni le posizioni del presidente di Confindustria, Bonomi. Si invoca lo Stato per misure economiche di sostegno, ma si vuole mano libera sul fronte dei licenziamenti.
Ed è proprio sul ruolo dello Stato in economia che il dibattito ha registrato nuove divisioni. L’argomento è stato introdotto da Telese, che ha seguito la vertenza Corneliani. L’azienda mantovana ha beneficiato delle misure introdotte dal “decreto Rilancio”. Il Mise è intervenuto nel capitale azionario di Corneliani con uno stanziamento di 10 milioni di euro. Ciò ha scongiurato una crisi che avrebbe avuto gravissime ripercussioni occupazionali. Ora si tratta di lavorare ad un piano di rilancio. La sottosegretaria Morani ha ribadito come questo per lo Stato non debba essere un caso isolato. Gli investimenti potrebbero estendersi dai marchi storici – oggetto dell’intervento dell’articolo 43 del decreto – ai settori strategici dell’economia nazionale.
I sindacalisti presenti, in particolare Paoloni, hanno ricordato le proposte della nostra confederazione, che vedono nel protagonismo dello Stato nell’economia uno dei punti cardine di un sistema più maturo e regolato di politiche industriali. All’interno della medesima strategia, sarà poi importante sostenere le cosiddette “politiche di reshoring”. Ovvero definire strumenti utili a indurre le aziende, che negli scorsi anni hanno allontanato le loro produzioni dall’Italia, a riportare lavorazioni e intelligenze nel nostro Paese.