Non ci sono solo le Frecce e gli Italo. Anche se il dibattito pubblico discute invariabilmente dei lavori (invariabilmente) miliardari delle tratte ad alta velocità, chi sui treni viaggia sa bene che gran parte delle italiane e degli italiani - per lavorare, per studiare, per andare dai parenti - prende le linee locali. I regionali e gli interregionali, tanto importanti quanto bistrattati dalla politica, sono il sistema circolatorio della mobilità su rotaia. A riprova, finito il lockdown della scorsa primavera, i treni locali hanno subito ripreso a circolare con regolarità, e con una capienza ben presto tornata all’80% del limite massimo.
Alberto Maniscalco, ventotto anni, capotreno da cinque, è già un buon conoscitore della materia. Dal suo osservatorio veneto è stato testimone diretto del periodo più duro della pandemia. I mesi di marzo, aprile e maggio. “Tanto diminuivano le corse, quanto aumentava la nostra attenzione alle regole di sicurezza. Già normalmente il nostro ruolo è farle applicare, figuriamoci in quei mesi”. Il capotreno Maniscalco, al pari di tutti i suoi colleghi - e colleghe - deve garantire che prima, durante e alla fine del viaggio tutto vada per il meglio. “Ci occupiamo dei passeggeri da quando salgono sul treno a quando scendono, controlliamo che abbiano i biglietti e che siano vidimati, siamo sempre noi ad avvertire di eventuali ritardi, delle possibili coincidenze con altri treni, di pullman da organizzare se il treno, per qualche motivo, non può ultimare la sua corsa. Siamo in costante contatto con le sale operative. E naturalmente abbiamo un occhio di riguardo per i viaggiatori più ‘fragili’; dai disabili alle donne incinte, passando per gli anziani”.
Maniscalco fa un sintetico bilancio di questi primi dieci drammatici mesi del 2020, promuovendo i viaggiatori che “nella stragrande maggioranza hanno capito la situazione e recepito le direttive delle Ferrovie”. “I più non avevano bisogno di essere avvertiti per restare distanziati, nei momenti di rischio più alto usavano i guanti, e, va da sé, le mascherine. Anche oggi che la capienza limite è salita all’80% resta tutto sommato facile far rispettare le regole”.
Gli investimenti sul materiale rotabile in Veneto hanno permesso una buona gestione del trasporto ferroviario, aiutata anche da una rete infrastrutturale storicamente di livello. “Se proprio vuoi sapere quali sono stati per noi i problemi più grossi durante il lockdown - ricorda sorridendo Maniscalco - è stato trovare qualcosa da mettere sotto i denti nelle pause di lavoro”.
I treni non si fermano mai, e nemmeno chi sui treni lavora. “L’orario giornaliero di un ferroviere è di 7 ore e 36 (38 settimanali). Mentre il turno di un capotreno può essere impostato fino alle 10 ore. Varia di giorno in giorno, ma in media le ore sono sempre 38 la settimana. In caso di ritardi il turno può essere più lungo, ma fortunatamente non capita spesso”.
Raggiungere l’obiettivo di fare arrivare e partire in orario i treni è un impegno considerevole. “A seconda del turno può accadere di svegliarsi prima dell’alba - spiega Maniscalco - oppure di restare fuori a dormire, non tanto quando il treno è a ‘lunga percorrenza’, quello vale più per i colleghi delle Frecce, ma quando all’azienda conviene per incastrare al meglio i treni con l’orario di lavoro del personale”. Tesserato Filt Cgil, non dimentica le lotte sindacali fatte per ottenere più sicurezza. “Un trentenne come me non ha gran paura di quello che può succedere dentro un convoglio semivuoto, o nella sosta alle piccole stazioni nel cuore della notte. Ma per una donna e per gli anziani la situazione è molto più rischiosa. Quindi meglio essere in due, anche solo come deterrente verso i malintenzionati”.
Naturalmente hanno dalla loro la polizia ferroviaria, la Polfer, con cui ogni capotreno è in stretto contatto. In tutto il Veneto si contano circa 350 capitreno del trasporto regionale, nella sede centrale di Venezia ce ne sono la maggior parte. Tanti giovani, assunti negli ultimi anni grazie al turnover che nel gruppo Fs funziona. “Molti di noi sono entrati nel 2015, abbassando di molto l’età media del personale. Abbiamo inviato i curricula, fatto test attitudinali scritti, passato un orale. L’apprendistato ‘professionalizzante’ dura tre anni, ma di fatto è già un contratto a tempo indeterminato”.
Chi lavora in Ferrovia, ed è a contatto con i passeggeri, deve padroneggiare almeno una lingua straniera, in genere l’inglese. Vista la storica tradizione sindacale del settore, i ferrovieri sono riusciti ad evitare l’ingresso di lavoratori interinali. “Non era scontato, abbiamo dovuto aprire una vertenza. Quantomeno non abbiamo colleghi precari in azienda. Considerato il macrocosmo delle Ferrovie, mi sembra un traguardo non da poco”, conclude Maniscalco. Con la ciliegina sulla torta di un visibile ringiovanimento degli addetti, basta viaggiare con regolarità per accorgersene.