Il capitalismo della sorveglianza - di Gian Marco Martignoni

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Shoshana Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza, Luiss University Press, pagine 622, euro 25. 

Come agli inizi degli anni ‘90 “La crisi della modernità” del geografo e marxista David Harvey è stato un testo fondamentale per approfondire e comprendere il nuovo paradigma dell’accumulazione flessibile, a trent’anni di distanza per analizzare il nuovo modello dell’accumulazione, basato sulla cattura dei dati e lo sfruttamento del surplus comportamentale, non si può prescindere dallo straordinario volume di Shoshana Zuboff “Il capitalismo della sorveglianza”.

Le grandi compagnie monopoliste private (Google, Facebook, Apple, Amazon, Microsoft, Twitter, Baidu, ecc.), che costituiscono il dilagante capitalismo “informazionale”, sono l’oggetto di un’indagine meticolosa, finalizzata a comprendere come avviene il tracciamento dei nostri movimenti e l’acquisizione delle nostre abitudini di vita e di consumo, in funzione di una loro profittevole predittività futura. Nulla è stato lasciato al caso, perché contando sull’accelerazione dei processi di individualizzazione e di connessione digitale, attraverso le indicazioni provenienti dalla scienza del comportamento della scuola di Burrhus Frederic Skinner, l’obiettivo del controllo delle azioni e del pensiero è stato e viene costantemente perseguito, con tutti i mezzi e le tecniche a loro disposizione.

In particolare, le ricerche di laboratorio effettuate dalla Cia sulla guerra psicologica nel campo militare sono state poi trasferite negli ambiti istituzionali e civili della società. Tra l’altro queste grandi compagnie, stante l’apparente trionfo dell’ideologia neoliberista, hanno potuto operare in un contesto ampiamente deregolamentato e senza subire i necessari controlli costituzionali, grazie al sostegno di lobbysti e affaristi di ogni genere, nonché per via degli stretti rapporti che si sono determinati tra la “goglosfera” e i servizi segreti.

Le vicende relative alla disinformazione online che hanno contraddistinto non solo le elezioni statunitensi del 2016 e poi la Brexit, sulla base del pesante condizionamento esercitato da Cambridge Analityca (un’azienda esperta in microtargeting elettorale), sono la cartina di tornasole di qual è il livello di profilazione dei consumatori, che può essere raggiunto tramite l’estrazione e la rielaborazione di una massa ingente di dati. Pertanto, giustamente la Zuboff ritiene che, come il capitalismo industriale ha piegato la natura ai suoi interessi, analogamente il capitalismo estrattivo ha inserito nel suo mirino la natura umana. Siamo quindi in presenza di un potere strumentalizzante che, puntando alla modifica e alla manipolazione del comportamento umano, è fondamentalmente in piena collisione con gli istituti che compongono le nostre democrazie.

Nel caso di Facebook, ad esempio, il presunto collante fornito dall’amicizia in rete cela in realtà un ambiente totalmente desocializzato e desocializzante, in cui naviga, purtroppo, lo “sciame” dell’alveare iper-connesso.

Nonostante l’acuta disamina la Zuboff, pur consapevole dei rischi relativi ad una certa deriva oligarchica e ad un nuovo feudalesimo, ripone la sua fiducia sulla potenza dell’azione collettiva, stante la necessità di rivendicare il diritto al santuario come spazio inviolabile personale, e contrastare il pericolo di quella che Brittany Kaiser ha definito la dittatura dei dati. Per queste ragioni attribuisce una grande rilevanza alle leggi europee sulla privacy, note come General Data Protection Regulation, non solo per un approccio diverso da quello statunitense, ma perché, dando voce a quanti in questi anni si sono mobilitati contro l’esproprio digitale, è dell’avviso che “non conteranno tanto le norme scritte, quanto i movimenti popolari che ne sanciranno le interpretazioni”.

 

Infine, negli Stati Uniti contro gli abusi di potere dei monopolisti digitali e la revisione dell’antitrust una apposita sottocommissione alla Camera dei deputati ha recentemente stilato un rapporto di oltre quattrocento pagine. La risposta di Facebook non si è fatta attendere: i suoi algoritmi sono decisamente a favore di Donald Trump, giacché Mark Zuckemberg si oppone naturalmente con tutte le sue forze al progetto del partito Democratico di regolamentare, o addirittura smembrare, la sua azienda.

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