Pare che questo mese di giugno ci stia consegnando un timido ritorno alla normalità: pare che il coronavirus abbia mollato la morsa sulla provincia di Bergamo, e più in generale sulla Lombardia.
Più di 1.500 morti si sono registrati nelle case di riposo della bergamasca, e solo il confronto con gli anni precedenti dei saldi demografici curati dai Comuni metterà in luce i numeri reali dei decessi della nostra provincia: possiamo solo immaginare che sarà un autentico bollettino di guerra.
Certamente individuare le responsabilità di tutto ciò sarà compito arduo e in capo alla magistratura, che sta lavorando in tal senso. Di certo sono emersi i tanti errori che la giunta della Regione Lombardia ha inanellato nelle settimane dell’emergenza: dispositivi di protezione individuale insufficienti; sorveglianza sanitaria (a partire dai tamponi) per cittadini e lavoratori centellinata, probabilmente per il timore di numeri di contagi decisamente superiore a quello che giornalmente ci veniva propinato dalle varie conferenze stampa; decisioni sull’istituzione di zone rosse scientificamente eluse, probabilmente per evitare discussioni con certa imprenditoria che in modo miope e colpevole aveva lo sguardo rivolto ai propri bilanci e poco alla tutela della salute pubblica. Miopia colpevole che ha comunque prodotto danni enormi a diversi settori produttivi del nostro Paese: ricorso ad ammortizzatori sociali, perdita di larghe fette di fatturato, aumento delle diseguaglianze.
La pandemia ha anche messo in luce tutti i limiti della legge regionale 23/2015, quella tanto sbandierata riforma della sanità lombarda che nella realtà ha portato ai minimi termini la sanità territoriale, lasciando ai soli ospedali la gestione di quella che è stata una vera e propria valanga, che si è abbattuta su quelle strutture ed in particolare sul suo personale.
Cosa è rimasto dopo questo periodo? Certamente è rimasto il vuoto dei tanti che se ne sono andati, che non sono solo anziani o pazienti patologici, ma anche e soprattutto colleghi, familiari, amici, nonni, genitori, lavoratori, pensionati, volontari o semplici conoscenti. È poi rimasta l’idea che i servizi pubblici sono un bene che forse troppe volte è stato dato per scontato, senza coglierne invece l’importanza e il ruolo pregnante nella vita quotidiana di tutti, in particolare per quanto riguarda il Servizio sanitario pubblico.
Una sanità pubblica che tramite i propri lavoratori ha garantito assistenza, cura ma soprattutto speranza a tanti cittadini in questi giorni bui. Talvolta questi lavoratori sono stati l’unica presenza che ha tenuto compagnia a persone che si apprestavano a varcare la linea tra la vita e la morte. Ha garantito tutto ciò nonostante i limiti imposti in tanti anni di politiche che hanno teso a destrutturare il sistema pubblico, guardato in particolare tramite la lente del risparmio della spesa pubblica e della voglia di sanare quelle che erano considerate inefficienze. Limiti che hanno avuto anche l’effetto di far crescere la sanità privata, settore che ha dimostrato in questa emergenza pandemica di aver svolto certamente la propria parte, ma sempre e comunque con la garanzia in tasca di assicurarsi il proprio, lauto, profitto.
È rimasta la consapevolezza che in quelle maledette settimane quelle lavoratrici e quei lavoratori sono stati l’unica ancora di salvezza e speranza di tanti cittadini. Lavoratrici e lavoratori che, lontani dal sentirsi eroi ma semplicemente operatori della sanità, sono stati impegnati a fare il loro mestiere, chiedendo solamente di avere garantiti dispositivi di sicurezza e sorveglianza sanitaria, che purtroppo non sempre ci sono stati.
La speranza è che di questo periodo rimanga anche l’idea di quanto sia importante il lavoro di cura, dal medico all’infermiere, dall’assistente socio-assistenziale fino ad arrivare a chi si occupa di lavoro domestico, e di quanto sia centrale e fondamentale il servizio ed il lavoro pubblico.
E’ rimasta la presenza forte della Cgil, che è stata in campo a tutela dei lavoratori e dei cittadini in tutto il periodo dell’emergenza, ed è in campo oggi per tutelare posti di lavoro e reddito di coloro che hanno subito e stanno subendo in modo più pesante gli effetti del coronavirus, in campo per rivendicare politiche di rafforzamento della sanità e di tutti i servizi pubblici, beni preziosi e fondamentali per tutte e tutti.