Matteo Gaddi, “Industria 4.0. Più liberi o più sfruttati?”, pag. 246, euro 17.00, Edizioni Punto Rosso.
“Industria 4.0 Più liberi o più sfruttati?” di Matteo Gaddi non è un libro di facile lettura, anche perché costellato da una molteplicità di termini in inglese, ritenuti indispensabili per illustrare meticolosamente la dinamica dei nuovi processi lavorativi. Certamente, se dovesse essere ristampato, sarebbe necessario e doveroso un ampliamento dello stringato Glossario contemplato nell’appendice del libro. Comunque, al di là di questa amichevole critica, per un delegato o un dirigente sindacale la fatica spesa per la sua lettura sarà più che abbondantemente ricompensata dalla comprensione di cosa si cela in realtà dietro alla retorica, sbandierata a destra e a “sinistra”, della cosiddetta industria 4.0.
Infatti, la ricerca promossa dalla Fiom Cgil di Milano e dalla Fondazione Claudio Sabattini, attraverso una puntuale ricognizione di alcune multinazionali (Abb, Alstom Transport, Siemens, Kone Industria e Thales Alenia Space) e di aziende appartenenti ai settori dell’Ict (Ibm, Ntt Data, Italtel, Toshiba), della manifattura (Fluid-0-Tech, Stm, Magneti Marelli, Mapal) e dell’impiantistica (Sirti, Engle, Kone) si è posta l’obiettivo, come sostiene Roberta Turi, segretaria generale della Fiom di Milano, di evitare la subalternità alla “narrazione del mondo delle imprese e delle istituzioni”, per ripartire dal disvelamento della concreta condizione dei lavoratori e delle lavoratrici, poiché la stessa ha subito, purtroppo, un occultamento di proporzioni inaudite.
Si è trattato di un lavoro di indagine durato circa un anno e mezzo e che ha coinvolto intensamente i delegati e le delegate nella ricostruzione di quali sono state le ricadute sui ritmi e i carichi di lavoro, sugli orari, la professionalità e la salute dei lavoratori e delle lavoratrici alla luce del paradigma della produzione snella e flessibile, fondata sull’automazione spinta e l’interconnessione di tutti i processi produttivi. E’ impressionante, ma non sorprendente, come alla logica della massimizzazione dei profitti corrispondano l’intensificazione dei ritmi, la riduzione e la completa saturazione dei tempi, un accentuato controllo della prestazione lavorativa, per via dei nuovi strumenti informatici, l’incremento della produttività e addirittura il ritorno del cottimo a fronte di una sostanziale dequalificazione della forza lavoro. A tutto ciò si assomma la tendenza storica all’esternalizzazione di alcune fasi lavorative, la delocalizzazione di attività consistenti all’estero per sfruttare lavoratori e lavoratrici a basso costo del lavoro, l’utilizzo di lavoratori somministrati e il ricorso ai subappalti, con le inevitabili conseguenze negative sul piano dell’occupazione. D’altronde, le scelte unilaterali da parte delle imprese vengono presentate attraverso il criterio dell’oggettività razionale e scientifica, per cui ad essere “sfidata” è proprio la contrattazione sindacale, considerato che la tanto decantata autonomia concessa ai lavoratori e alle lavoratrici - ad esempio la mancata timbratura del cartellino - è finalizzata ad individualizzare i rapporti di lavoro e a minare la solidarietà.
Nel caso della Ibm l’accordo sindacale del 2005, in adempimento dell’articolo 4 della legge 300, che aveva istituito una commissione sul controllo a distanza della forza lavoro, deve ora misurarsi con la novità che l’inventario delle applicazioni è gestito da un sistema centralizzato a livello mondiale, mentre le modifiche introdotte dal Jobs act hanno di fatto legittimato la tracciabilità dell’attività svolta individualmente.
In Italtel, ove la sperimentazione sul telelavoro era iniziata nel 1995, ora la diffusione dello Smart Working genera, oltre ad una maggiore produttività individuale da casa, una contraddizione nella gestione degli orari, poiché gli eventuali straordinari non vengono riconosciuti dall’azienda; mentre al contempo l’azienda ha fatto ricorso ai contratti di solidarietà per ridurre del 30% il costo del lavoro.
In Sirti, invece, con la geolocalizzazione e la registrazione dell’attività svolta dagli operatori non c’è più il capo-squadra e l’assegnazione anticipata il giorno precedente, in quanto gli interventi sono determinati di volta in volta automaticamente, con un incremento del controllo sui lavoratori identico a quello che avviene in Kone.
Infine, stante che le aziende mirano a legare la produttività alla prestazione del singolo lavoratore, depotenziando la contrattazione collettiva sul salario, per riunificare il mondo del lavoro, si tratta di individuare nella filiera il nuovo livello della contrattazione, focalizzandola tra l’altro, come emerge dall’esperienza sindacale in Kone, sull’organizzazione del lavoro, i tempi, i carichi di lavoro e le saturazioni, a partire dall’applicazione delle normative in materia di sicurezza del lavoro.