Si allungano i tempi, e crescono le incertezze, sul Recovery fund, peraltro connesso al nuovo bilancio poliennale europeo già in pesante ritardo.
Il Parlamento Europeo ha chiesto entrambi con una risoluzione approvata a larga maggioranza e con una convergenza politica che è andata dalla coalizione di Ursula Von der Leyen (Popolari, Socialisti, Liberali) ai Verdi e al gruppo dei Conservatori Riformatori dei polacchi del Pils.
La Gue aveva presentato un proprio testo molto più chiaro e netto: raddoppio del bilancio, Fondo Recovery di 1500 miliardi di sovvenzioni e titoli perenni condivisi (non nuovo debito), interventi su servizi pubblici, sanità e il green deal, uscita dai parametri di Maastricht, ruolo della Bce per il Fondo.
Ursula Von der Leyen di suo ha già dilatato i tempi della presentazione ma ha parlato di fondo di breve periodo, con ricorso a capitali privati, nell’ambito dei programmi e delle linee Ue, con riferimento alle imprese. Dunque una cosa che si muove dentro la “strana” architettura Ue, quella di Maastricht.
Su cui pesa la nuova sentenza della Corte Costituzionale tedesca che, intervenendo su ricorsi in materia di Bce e quantitative easing, ha riproposto la sostanza di altri suoi pronunciamenti su Maastricht e sul Trattato di Lisbona. Aldilà dello specifico via libera al quantitative easing già fatto e ai tre mesi dati per verificare la congruenza dei nuovi acquisti di titoli Pesp (più “esposti”), è interessante il percorso argomentativo “a difesa” della sovranità popolare, in questo caso del popolo tedesco, che non consente di andare oltre i limiti di trattati che sono tra Stati sovrani.
I problemi sono vari: la natura ordoliberista di Maastricht, la natura di Trattato e non di Costituzione, la questione del “popolo europeo”, cosa succederà concretamente. Chi scrive si ritrova nell’idea di Etienne Balibar di una cittadinanza socialmente connotata e costituente che va oltre il carattere “di sangue”.
Ma mi soffermo sui punti più politici. Il primo è l’impatto che la pandemia avrà sul cuore del funzionalismo di Maastricht e cioè il valore costituente del mercato interno. Pezzi di “rinazionalizzazione” e “riterritorializzazione” dell’economia portano ad esaurimento una spinta funzionalistica fondata sul mercato interno o possono aiutare a ridisegnare le ragioni europee?
Dalla questione della riscrittura dei trattati a quelle immediate dei fondi per la crisi, alle decisioni sulle “riaperture” per il turismo (10% del Pil europeo) il quadro è mosso.
Per le riaperture l’idea di accordi bilaterali mina sia Schengen che la coesione e la convergenza sulla lotta alla pandemia. La Commissione ha preannunciato linee guida. Si vedrà.
Ma il “gioco dei fondi” sarà ancora più indicativo. I ritardi e le ambiguità sul Recovery lasciano spazi ai giochi sul Mes, pezzo della vecchia architettura connessa al controllo dei bilanci fatta col semestre europeo e con i regolamenti approvati col six e il two packs e recepiti anche nel trattato sul funzionamento dell’Unione. La dichiarazione dell’Eurogruppo non cancella niente di quanto in questi testi è scritto sul Mes. Dice solo che si entra in una linea che non prevede memorandum iniziale. Ma che poi segue il corso ordinario. Per cui un debito aggiuntivo stipulato col Mes fa scattare clausole e procedure scritte nei testi. L’argomentazione che è un prestito conveniente non convince nessuno in Europa se non alcuni settori in Italia su cui è particolarmente forte la pressione. Ma l’obiettivo è che la pandemia non crei nuovi debiti individuali ma richieda la copertura della Bce. Perché i titoli si rinnovano e i prestiti si pagano. Poi non si capisce cosa c’entri la natura “bizzarra” del Mes con un’Unione Politica che ha una grande Banca Centrale. Rimanda proprio al ruolo che la Bce, e solo la Bce, può e deve esercitare con la forza necessaria alle dimensioni della crisi. Naturalmente questa evidenza fa i conti con la prospettiva “politica” aperta dalla sentenza della Corte tedesca e con gli effetti della pandemia sull’ideologia del mercato interno.
Il tatticismo con cui si muove la politica europea è esasperante e pericolosissimo.
In Italia poi la logica di Bruxelles come governance di un mercato di concorrenza ha plasmato un intero sistema politico ed economico. Ma basta pensare alla crisi pandemica non casuale della Padania per capire che bisognerebbe riflettere su tutto.
Cosa che non fa il decreto “rilancio” che punta ancora sul vecchio a partire dalla centralità delle aziende. Con cose inaccettabili come il taglio dell’Irap, la tassa che paga la sanità: magari qualcuno pensa che quei soldi si rimpiazzano col Mes e che a gestirli siano “i governatori” che ci hanno consegnato la sanità che abbiamo visto.
E’ la logica dell’Ue che deve cambiare: da mercato interno concorrenziale a unione politica reale fondata su un’economia pubblica, sociale e ambientale condivisa. E su diritti civili e sociali di cittadinanza sanciti costituzionalmente.