Il periodo di emergenza dovuto alla diffusione del virus covid-19 ha segnato e sta segnando tuttora profondamente la metropoli romana. Ai primi momenti di comprensibile timore si è sostituito un comportamento responsabile da parte della stragrande maggioranza della popolazione.
Sicuramente l’assenza a Roma di grandi fabbriche, al contrario di tante regioni del nord Italia, potrebbe aver reso meno traumatico l’impatto sulla popolazione. Per intenderci, senza cadere in luoghi comuni, ma semplicemente prendendo atto di quella che è la realtà sociale e lavorativa della capitale, Roma non è la Lombardia. Il tessuto lavorativo romano è molto impiantato sul lavoro pubblico, il commercio (non solo quello della grande distribuzione), i servizi, l’artigianato.
L’area metropolitana di Roma ha una popolazione di quasi 4,5 milioni di abitanti, la più alta d’Italia in termini assoluti, ma sparsa su un territorio circa cinque volte più vasto di quello di Milano e di Napoli. Questo fa sì che la densità di popolazione sia un terzo di quella dell’area partenopea, e meno della metà di quella milanese. Conseguentemente, se si escludono il centro storico (dove si calcola che ogni giorno si riversino circa 500mila pendolari provenienti dalla provincia) e ciò che resta di quella che era la grande area industriale della ‘Tiburtina Valley’, anche le attività lavorative sono molto più decentrate.
Il protrarsi della chiusura di molte attività ed esercizi commerciali ha letteralmente messo in ginocchio l’artigianato e il piccolo commercio, oltre ad alcuni settori come quello edilizio e dell’indotto. Con il timore, molto concreto, che diverse attività non possano materialmente riaprire una volta terminata la fase di lockdown.
Oggettivamente meno pesante, per quanto riguarda le difficoltà economiche, è la situazione dei dipendenti pubblici, che hanno sostanzialmente mantenuto i loro livelli di retribuzione. Per il pubblico impiego è stata però molto più forte la problematica della sicurezza e della salute sui posti di lavoro. La mancanza dei Dispositivi di protezione individuale ha fatto sì che i lavoratori pubblici, per i quali l’attività non si è mai effettivamente interrotta, andassero a lavorare senza le minime sicurezze, soprattutto per ciò che concerne il personale della sanità pubblica e privata e i lavoratori delle forze di polizia.
Per tutti loro, in una prima fase era stato addirittura chiaramente proibito l’uso delle mascherine (si è detto per non creare turbativa o panico tra la popolazione). Il risultato è stato che il maggior numero di contagi abbia interessato proprio i lavoratori della sanità, gli agenti e, soprattutto nella provincia, i pendolari che si recavano al lavoro su treni ed autobus affollati. In totale, comunque, il numero dei contagiati a Roma e nel Lazio ha raggiunto (alla data del 5 maggio) la cifra di circa 6.900. I deceduti sono 534 e i guariti più di 2mila. Impressionante, ma illuminante, uno studio dell’Istituto superiore di sanità e dell’Istat. A Bergamo il numero dei deceduti ha visto, confrontando il mese di marzo del 2019 e quello dell’anno in corso, un incremento del 586%, mentre a Roma i decessi sono addirittura calati di oltre il 9% rispetto a un anno fa.
Dopo un comprensibile momento iniziale di difficoltà per il sindacato, dovuto all’assoluta novità delle problematiche da fronteggiare, ci si è riorganizzati, proprio a partire dal tema della sicurezza. Chiaramente i primi a mobilitarsi sono state le Rsu e i delegati e le delegate di posto di lavoro, interessando in modo massiccio le strutture centrali, e scontrandosi spesso con una dirigenza o una parte datoriale abituata, per lo meno nelle primissime fasi, al solito tran-tran burocratico. E’ proprio grazie alle pressioni del sindacato che si è arrivati, anche se con qualche ritardo, ad ottenere le forniture di Dpi, le sanificazioni degli ambienti di lavoro, e la riduzione del personale impiegato nei servizi pubblici non immediatamente essenziali.
Molto ha giocato, soprattutto nel settore pubblico, il ruolo del sindacato nell’applicazione del lavoro telematico a distanza, il cosiddetto smart working. Ciò ha permesso a quasi la metà dei 26mila dipendenti capitolini di operare da casa, collegandosi attraverso la rete, per sbrigare le pratiche che normalmente svolgevano in ufficio. Sicuramente pesante, per i rischi e per le pressioni cui sono sottoposti, soprattutto dopo la parziale riapertura del lockdown, rimane la situazione dei lavoratori dei trasporti pubblici.
Con la cosiddetta “fase 2” e la parziale ripresa delle attività, inizia una nuova sfida. Dall’evolversi, in un senso o nell’altro, della situazione (e dei numeri che ne deriveranno), spetterà al sindacato riuscire a superare le difficoltà tecniche, per la costruzione di nuovi luoghi e metodi di confronto (a partire dalla pratica generalizzata delle riunioni in video-conferenza), e rispondere in maniera puntuale ed efficace alle richieste che arriveranno da coloro che abbiamo il compito di rappresentare.