Un periodo difficile per la salute e per la sanità. Un periodo che ci fa pensare al futuro, ma che anche a ragione di ciò, ci richiama il passato. Da diversi anni, Medicina Democratica e le associazioni che si battono per il diritto alla salute denunciano mercificazione della salute e privatizzazione della sanità. Un movimento esistente, ma senza una effettiva base di massa. La popolazione si è mostrata interessata a ottenere tempi brevi per le visite e gli esami medici, molto meno a sapere chi li erogava. L’idea che la salute sarebbe salvaguardata da un consistente numero di esami individuali è passata senza difficoltà. Si è, almeno in parte, affermato il pregiudizio che le malattie si possano debellare in modo quasi completo con l’utilizzo di farmaci, operazioni e cure di ogni genere. Le domande sulle loro cause, specialmente per quelle più gravi, sono rimaste una rarità.
Da ex metalmeccanico ed ex sindacalista non posso dimenticare le lotte in fabbrica della fine degli anni ‘60, degli anni ‘70 e dei primi ‘80. Tempi in cui si ricostruiva il ciclo produttivo, si cercava di conoscere le sostanze tossiche e cancerogene utilizzate nella produzione, e che pure producevano inquinamento ambientale. Gli anni della messa in discussione della monetizzazione della salute, del rischio zero per i cancerogeni, della volontà di partecipare alla costruzione di un sistema di salute che rovesciava quello delle mutue. Senza partecipazione non c’è prevenzione, e senza prevenzione non c’è salute.
Con fatica è nato un Sistema sanitario nazionale, non privo di contraddizioni ma diverso, al tempo stesso nazionale e legato a un territorio circoscritto sul quale operare come lavoratori, come cittadini e come enti locali. Un Sistema sanitario nazionale universale e gratuito (basato sulla fiscalità generale), i cui principi derivano dal Cln che nel 1944 aveva individuato le Unità sanitarie locali come centro di riferimento della organizzazione sanitaria fondata sulla “tre P”: Programmazione, Prevenzione, Partecipazione.
Siamo nel 2020 è vi è una pandemia in corso. Non l’aspettavamo e non lo volevamo, ma è così. C’è bisogno di grandi interventi, a livello politico e anche nel campo della salute pubblica e immediatamente nella sanità. Ci stiamo rendendo conto che la sanità, non quella delle visite e degli integratori, è importante. In mancanza ce ne rendiamo conto.
Ma che è successo in questi ultimi anni? C’è chi si è reso conto che la sanità può essere un grande affare. Sorge strutturalmente dal sistema in cui siamo. Il profitto è l’asse su cui si sta muovendo il mondo, e al tempo stesso è quello che, in un tempo calcolato, lo sta distruggendo. Una coscienza che si va sempre più affermando che ci induce a pensare che si possa fare qualcosa per frenarne la deriva.
Il corona virus ha mostrato che intendendo la sanità come affare si rende il Sistema sanitario impotente. I tagli economici e di personale hanno fatto il resto. Dobbiamo vedere se da questa epidemia si potrà risalire alle sue origini, ma anche a operare per modificare sostanzialmente l’organizzazione sociale e sanitaria, oltre che politica, che ne potrebbe determinare il controllo e forse anche debellarla. Diventa necessario ritornare all’articolo 32 della Costituzione e ai principi di fondo contenuti negli articoli 1 e 2 della legge 833 del 1978.
Alla fine la domanda è duplice: come spiegare quanto è avvenuto e creare coscienza critica tanto da riprendere la lotta per il diritto alla salute e come chiudere i canali che sono stati aperti e che hanno trasmesso l’infezione privatistica della sanità: principalmente la libera professione intramoenia e la sanità integrativa. Se dentro il Sistema sanitario sono state immesse pratiche private non si può non accorgersi che poi, in tempi brevi o medi, il sistema nel suo insieme sarà privatizzato.
I sindacati confederali e dei medici ne portano la responsabilità principale. Dovrebbero riflettere e operare con i movimenti e le associazioni al fine di rivendicare un finanziamento adeguato per il Ssn, eliminando il precariato; mettere in discussione il sistema delle aziende sanitarie, ovvero ritornare al territorio e ai comuni. Per fare ciò, non illudiamoci, è necessaria una grande mobilitazione e iniziativa popolare e di massa.
Ecco cosa diceva la Federazione unitaria Cgil, Cisl, Uil (Ariccia, febbraio 1979): “La legge 833 … può permettere la creazione di un sistema basato sull’approccio preventivo … capace di autoregolarsi rispetto alla ricerca, alla conoscenza, al controllo, alla eliminazione dei rischi e dei danni più gravi e più diffusi che interessano i lavoratori e la popolazione. Per avviare questo processo di progressiva sostituzione del vecchio assetto sanitario, basato sull’approccio individuale e privatizzato della malattia, … con un sistema basato sulla programmazione, la prevenzione e la partecipazione, occorre una grande mobilitazione ed una grande iniziativa popolare e di massa”.