Il senatore del Vermont, Bernie Sanders, è andato molto bene nelle primarie svolte in Iowa, New Hampshire e Nevada in febbraio. La candidatura dell’ex vicepresidente di Obama, Joe Biden, appariva in declino. Molti a sinistra speravano che, dopo la serie di vittorie nelle primarie di apertura, Sanders avrebbe ottenuto buoni risultati in South Carolina, con la possibilità di far deragliare definitivamente la campagna di Biden. Invece è arrivata la schiacciante vittoria di Biden il 29 febbraio in South Carolina, dove il 60% dell’elettorato democratico è afroamericano. Circa il 61% degli afroamericani ha votato per Biden. In pochi giorni la sua vittoria ha riunificato l’ala filo-impresa del partito Democratico – e Tom Steyer, Amy Klobuchar e Pete Buttigieg si sono tutti ritirati, dando il loro appoggio a Biden. Il loro sostegno ha cementato il crescente consenso tra i Democratici filo-impresa sul fatto che Biden fosse il candidato meglio posizionato per fermare Sanders.
Quindi, nel “super martedì” del 3 marzo, la vita politica di Biden è veramente risorta, con un’impressionante serie di vittorie nelle primarie di dieci Stati, compreso il secondo più grande dell’Unione, il Texas. Mentre Sanders ha conquistato quattro Stati, incluso il più grande degli Usa, la California, ma il suo cammino verso la nomination è diventato più difficile.
Nello spazio di una settimana Biden è arrivato al punto di potersi probabilmente assicurare la nomination al primo voto della Convenzione democratica del 13–16 luglio a Milwaukee, Wisconsin. La sua avanzata è stata ulteriormente confermata il 10 marzo, quando ha vinto quattro delle sei primarie, compresa quella del Michigan, particolarmente simbolica per il suo largo voto afroamericano, e perché Sanders aveva qui vinto le primarie del 2016. Sanders ha vinto solo in North Dakota, ed è in vantaggio di un piccolo margine nello Stato di Washington.
L’attuale conteggio dei delegati è di 942 per Biden e 739 per Sanders, con 1.991 delegati necessari ad assicurarsi una chiara maggioranza e la nomination al primo voto della Convention.
Diversi fattori spiegano questo evidente cambio di rotta. In primis, il voto degli afroamericani. Il presidente Obama rimane immensamente popolare nella comunità nera, e per estensione il suo vicepresidente Biden è visto come continuatore dell’eredità di Obama. Vari sondaggi hanno mostrato che gli elettori neri pensano che il loro nemico principale sia Donald Trump. Siccome la loro comunità più di ogni altra deve affrontare il contraccolpo del razzismo diffuso dall’orribile amministrazione Trump, danno la priorità al candidato che pensano possa sconfiggerlo. Gli elettori neri costituiscono una porzione significativa della base del partito Democratico, e hanno contribuito a determinare le vittorie di Biden in molte delle primarie del 3 e 10 marzo.
In secondo luogo vanno considerati l’assalto dei media neoliberisti e l’unità dell’ala filo-impresa dietro Biden. I media sono stati all’attacco di Bernie Sanders e delle sue riforme vagamente socialdemocratiche fin dall’inizio delle primarie. La decisione del miliardario Michael Bloomberg di sospendere la sua campagna dopo il 3 marzo, e di offrire la sua personale fortuna e la sua organizzazione politica sul campo a Biden, è stata la dimostrazione finale dell’unità del fronte filo-impresa.
In terzo luogo, hanno inciso la base stabile dei sostenitori di Sanders e i dubbi sulla sua capacità di battere Trump. Andando al “super martedì”, la più grande sfida per Sanders era quella di estendere la sua base oltre il gruppo di età di 18 -29 anni, i progressisti e i Latinos che gli hanno dato forza nei grandi risultati nelle primarie di apertura. I sondaggi hanno mostrato che molti vecchi elettori moderati e conservatori non si trovavano a loro agio con le politiche socialdemocratiche di Sanders, e vedevano in Biden la migliore possibilità di sconfiggere Trump.
Infine, i giovani non hanno votato. L’attesa impennata del voto tra i giovani elettori non si è concretizzata, e Sanders ne ha pagato il prezzo il 3 e 10 marzo. Il declino di questo voto non è una buona notizia non solo per lui, ma renderà anche più difficile che temi centrati sul futuro, quali il cambiamento climatico, guadagnino la scena politica. Secondo l’Harvard Institute of Politics, mentre la partecipazione al voto è in crescita in tutti i 12 Stati con elezioni combattute, il voto dei giovani è salito solo in quattro Stati, ed è rimasto al livello precedente in altri due Stati. Nei 14 Stati che hanno svolto le primarie nel “super martedì” la partecipazione dei giovani elettori sotto i 30 anni non ha superato il 20%.
La senatrice del Massachusetts, Elizabeth Warren, la cui campagna ha riecheggiato molte delle politiche e dei programmi anti-corporations della campagna di Sanders, si è ritirata dalla corsa il 5 marzo dopo essere arrivata terza, dietro Biden e Sanders nell’ordine, nello Stato del suo seggio senatoriale. Warren attraeva molti liberali di alta istruzione e alto reddito, attirati dalla sua intelligenza politica e dalle sue dettagliate proposte programmatiche. I suoi sostenitori rimangono cruciali per le possibilità di Bernie di andare avanti, e certamente per il “fronte popolare” necessario per battere Trump. L’uscita di Warren dalle primarie ha sollevato ipotesi che possa essere scelta per la vicepresidenza.
“La nomination per la vicepresidenza è per costruire unità e un parternariato che possa governare meglio”, ha detto Larry Cohen, già presidente del sindacato dei Lavoratori delle Comunicazioni e oggi portavoce di “Our Revolution”, l’organizzazione emersa dalla campagna presidenziale 2016 di Sanders. “Le donne che hanno corso per la nomination e altre raggiungono facilmente entrambi i criteri”.
Dov’è il movimento sindacale? Nel 2016 Sanders conquistò il sostegno di sei sindacati nazionali e di un centinaio di sezioni locali. Nel 2020 con il sostegno di “Labor for Bernie”, solo tre dei sindacati nazionali che lo avevano sostenuto la volta scorsa hanno confermato il loro appoggio, e solo 30 sezioni locali hanno dato il loro sostegno. Joe Biden ha raccolto il sostegno di sei principali sindacati nazionali, mentre nel 2016 Hillary Clinton è stata sostenuta da quasi tutti i maggiori sindacati, inclusi i molto forti sindacati del settore pubblico Nea, Aft, Seiu e Afscme.
Nel 2016 molti dirigenti sindacali erano stati criticati dai loro iscritti per un precoce sostegno alla Clinton. Ora, con un campo di candidature molto affollato fino al “super martedì”, la maggior parte dei dirigenti sindacali ha avuto un atteggiamento di attesa. Molti sindacati hanno anche stabilito un processo più aperto e partecipativo per prendere le loro decisioni di appoggio ai candidati. Ad esempio, l’International Association of Machinists (Iam) ha svolto una votazione interna degli iscritti sia per le primarie Democratiche che Repubblicane. Il 66% degli iscritti si è identificato con i Democratici e il voto è andato per il 38% a Biden e per il 26% a Sanders. Un allarmante 34% degli iscritti si è identificato nei Repubblicani, tutti per Trump.
La candidatura di Sanders rimane la scelta chiara per il lavoro sulla base delle sue proposte politiche per una complessiva riforma delle leggi sul lavoro, di equi accordi commerciali, Medicare per tutti, e la sua storia di vigoroso sostenitore delle campagne di sindacalizzazione e contrattazione. I risultati elettorali fino a questo momento hanno dimostrato che Sanders vince tra i Democratici nei collegi della classe lavoratrice. Secondo il New York Times, “il voto nel corso della campagna ha mostrato che Sanders ha raccolto il più forte sostegno da elettori con reddito sotto i 50mila dollari; i suoi numeri scendono come i redditi salgono”.
Nonostante questa forte base di sostegno nella classe operaia e il numero di sondaggi che mostrano Sanders che sconfigge Trump, ancora molti sindacati Usa credono che Biden sia il miglior candidato per sconfiggerlo. Alcuni sondaggi arrivati sul “super martedì” mostravano elettori concordi con le politiche di Sanders, ma che votavano sulla base di chi credevano possa sconfiggere Trump.
Dopo il magro risultato in Michigan del 10 marzo, il cammino di Bernie per conquistare la nomination sembra oggi improbabile. Fortunatamente Sanders continuerà la sua campagna, se non per la nomination, per una piattaforma del partito che rappresenti i temi del lavoro e per la nomina di alti funzionari che riflettano le sue posizioni. I progressisti al lavoro nella sua campagna continueranno la lotta per i punti programmatici così ben articolati da Sanders da portare alla convenzione democratica di luglio.
Ma chiaramente, se il nominato sarà Biden, allora la grande maggioranza dei progressisti e la maggior parte degli iscritti ai sindacati convergeranno a suo sostegno per sconfiggere Trump. “Ho detto durante l’intero processo che la cosa più importante è che alla fine ci uniamo tutti dietro il candidato democratico alla presidenza”, ha detto Alexandra Occasio Cortes, deputata di New York ritenuta leader e stella nascente dell’ala sinistra del partito Democratico.
Le basi di questa unità saranno oggetto di intensi negoziati. Come Larry Cohen ha detto ripetutamente, “Andando avanti, dobbiamo continuare a consolidare la nostra base mentre troviamo una strada perché le due ali del partito Democratico lavorino insieme. Se i Democratici filo-capitale sono determinati solo ad essere contro Bernie, questo significherà la vittoria di Trump. Milioni di elettori, in particolare giovani, chiedono un paese diverso. Continueremo la lotta per un reale cambiamento nel nostro sistema sanitario, e per affrontare la crisi climatica. Non vogliamo rinunciare ai nostri valori nella campagna per sconfiggere Donald Trump”..