La sinistra sociale e politica ha un futuro? - di Cesare Caiazza

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La domanda contenuta nel titolo interessa il destino della sinistra a livello globale, anche se – per ragioni di spazio – mi soffermerò, prevalentemente, sulla condizione e le prospettive che segnano la fase sociale e politica nel nostro paese. Qui – se si vuole essere obiettivi – l’idea di sinistra (intesa come portatrice dei valori di pace, democrazia, libertà, uguaglianza, giustizia sociale, accoglienza, inclusione e solidarietà) vive, da molti anni, una crisi drammatica in un contesto nel quale pare divenire sempre più egemone la cultura dell’odio, del razzismo, dell’autoritarismo. Una realtà resa possibile anche dall’assenza di partiti di massa, di matrice progressista e di sinistra, in grado di indicare e di sostenere una prospettiva alternativa rispetto alla globalizzazione liberista, da un lato, e nei confronti del sovranismo, dall’altro.

L’area cosiddetta “riformista” (Pd e vicini) da tempo – in una logica che, purtroppo, va ben oltre i confini italiani - ha sostanzialmente abdicato rispetto ai propri valori fondanti. L’esperienza di Leu pare ormai essere naufragata verso un destino di subalternità al Pd. La sinistra cosiddetta radicale, nei suoi mille piccoli rivoli, appare sempre più residuale e irrilevante.

La cartina di tornasole della condizione che ho descritto risiede nel come l’insieme delle forze politiche che traggono origine dalla travagliata storia della sinistra risulta sempre meno attrattiva, soprattutto nei confronti delle nuove generazioni, sfiduciate rispetto ad esperienze partitiche ed associative che – pur muovendo da nobili ideali – non sono riuscite ad incidere positivamente sul corso della storia.

In buona sostanza, la Sinistra ha tolto ai giovani anche spazi di partecipazione democratica strutturata, costringendoli a inventare nuove forme d’impegno sociale e politico. E’ questo (insieme a tante altre cose) il senso di un’esperienza di mobilitazione globale, agita da giovanissimi, come quella dei “Fridays for Future”, piuttosto che del movimento delle sardine in Italia promosso da trentenni, e che vede la partecipazione di molti giovani.

Sono temi che interessano anche il sindacato e in particolare una confederazione generale come la Cgil, la più grande organizzazione sociale di massa, con una netta connotazione di sinistra, che sconta anch’essa una crisi di rappresentanza riferita – in maniera più marcata - ai giovani, i quali prevalentemente non sono attratti dall’iscrizione e tanto meno dalla militanza sindacale attiva. Non simpatizzano e non si riconoscono nell’agire del sindacato.

Eppure questo secolo si era aperto con ben altre prospettive. Nei primi anni 2000, l’iniziativa della Cgil sui temi dei diritti e del lavoro, unitamente all’impegno nelle oceaniche e plurali manifestazioni contro le guerre, per la pace e contro la globalizzazione liberista, aveva creato un vasto consenso intorno a questa organizzazione anche tra giovani e giovanissimi. Dovremmo interrogarci su cosa è accaduto da allora.

In questi ultimi giorni, il segretario del Pd ha parlato di una riforma profonda, ipotizzando un grande Labour di sinistra, aperto al contributo dei movimenti e della società civile. Vedremo cosa concretamente potrà succedere ma, nel mentre, penso che anche come Cgil dobbiamo porci il tema di una profonda autoriforma, uscendo da logiche autoreferenziali e puntando a riconquistare consenso e credibilità, ripartendo anche dai giovani e dai temi che, attraverso mobilitazioni di massa, essi pongono in maniera precisa.

Non è facile ma è possibile e, comunque, deve essere un impegno di una sinistra sindacale che – superando anch’essa logiche autoreferenziali e nostalgiche – sia capace di riaffermare nella dialettica interna alla Cgil quel pluralismo politico delle idee che, per molti anni, ha rappresentato una enorme ricchezza per l’intera organizzazione. Per farlo c’è bisogno di innovarsi nei contenuti e nella forma, di riunire e mettere insieme le varie esperienze collettive di sinistra sindacale, includendo il più possibile, al fine di rideterminare un confronto nella Cgil sulla base di contenuti programmatici, superando approcci meramente oligarchici e burocratici. E’ l’unico modo per parlare anche alle nuove generazioni, per costruire il futuro.

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