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“Dalle parole ai fatti”: questo lo slogan della partecipata assemblea nazionale delle delegate e dei delegati a Milano, che ha confermato la piattaforma unitaria e il percorso di confronto con il governo Conte 2, con i quattro tavoli “tecnici”. La fase aperta con il governo, il riconoscimento del ruolo di soggetto di rappresentanza sociale generale del sindacato confederale, rappresenta una opportunità e una sfida, per noi e per la stessa eterogenea compagine governativa. Senza illusioni né cambiali in bianco. Consapevolezza, determinazione e radicalità sul merito, rapporto con delegati, lavoratori e pensionati devono accompagnare l’azione unitaria del sindacato.
La grave situazione economica e sociale, insieme all’arretramento culturale del paese, non permettono alcuna politica dei due tempi né di continuare in modo gattopardesco, come per la demagogica e pericolosa riduzione dei parlamentari. Lo scontro vero è sulla prospettiva, sull’idea di paese e di società del domani. La discontinuità del governo la giudicheremo su quello che fa, non su quello che dice.
Non basta una contraddittoria idea di cambiamento. Serve un radicale progetto alternativo di trasformazione dei rapporti di produzione, un diverso modello di sviluppo. Lo scontro è di classe, tra capitale e lavoro. Vogliamo una reale discontinuità che ancora non si vede. Troppo poche risorse per investimenti pubblici, sul sistema pubblico sanitario e scolastico, sulla riduzione del cuneo fiscale. Poca attenzione alle diseguaglianze e al valore del lavoro.
Le risorse ci sono, basta avere la volontà politica di recuperarle. La lotta all’evasione è una priorità. Va sfatata la diffusa idea che si debbano pagare meno tasse a prescindere: la condizione per ridurre la pressione fiscale è che tutti paghino in progressione al reddito, che siano tassati rendite e patrimoni e che s’intervenga sulle aliquote, diminuendo quelle basse e medie ed elevando quella massima, elevando la quota esente, aumentando le detrazioni per lavoro dipendente. La riduzione del cuneo fiscale non può riguardare i contributi. Occorre pagare tutti per pagare meno: 109 miliardi di evasione sono una enormità, e il 90% del gettito Irpef proviene da lavoratori e pensionati.
Infine non sfugge che siano rimossi temi “sensibili” per le forze di governo: leggi inique come il jobs act, i diritti universali e il ripristino dell’articolo 18, il superamento della Fornero. Né si parla di cancellare i decreti Salvini, anticostituzionali e razzisti. Mentre rimane la Bossi-Fini, si perde tempo sulla cittadinanza e si gira la testa dinanzi alle morti per annegamento, continuando con le politiche securitarie e i nefasti accordi con la Libia.
C’è un problema di coraggio politico e di egemonia culturale. Non c’è reale cambiamento senza pieno riferimento alla Costituzione, e se non si accompagna la lotta economica e sociale con quella valoriale e culturale.
Annota il manifesto: “Il lungo tradimento dei curdi da parte degli americani comincia negli anni Settanta, e oggi nel Nord della Siria, il Rojava curdo, si è aperto il capitolo più devastante: il massacro di un popolo e dei principi più basilari di giustizia, diritto internazionale e democrazia, l’umiliazione degli Stati uniti, incapaci di fermare il Califfo Erdogan, un’Europa sotto ricatto e la virtuale disarticolazione della Nato – a 70 anni dalla sua fondazione – non ad opera di un attore esterno ma di uno stato membro come la Turchia dal 1953”.
Eppure la resistenza dei curdi continua: le Ypg e le Ypj non sono sole, come sole non sono le Forze democratiche siriane (Sdf), federazione curda, araba, assira, circassa protagonista della liberazione dal giogo dell’Isis: sono tantissimi i giovani che si stanno arruolando volontari per difendere le loro comunità, e il sogno realizzato del confederalismo democratico.
I giovani curdi combattono, i loro coetanei italiani protestano. Alle manifestazioni fiorentine contro la guerra di Erdogan gli under 30 sono stati la maggioranza dei presenti. Anche un modo per ricordare uno di loro, Lorenzo «Orso» Orsetti che combattendo contro l’Isis insieme ai curdi ha perso la vita. Per certo comunque il protagonismo giovanile sta segnando questi ultimi mesi, basti pensare alle iniziative degli studenti per Fridays for Future.
Alessandro Orsetti, padre di “Orso”, offre una intelligente chiave di lettura: “Ci sono sempre tanti giovani a queste manifestazioni. Penso sia perché sentono Lorenzo come uno di loro, un giovane uomo con gli stessi aneliti. Lui ha dato una scossa, ha mostrato che è possibile fare qualcosa. Ha rotto un argine. Si dice sempre che i ragazzi non hanno interessi, non vogliono impegnarsi e tirano a campare. Invece si danno da fare quando in gioco c’è una causa importante, un ideale da perseguire, dei valori da difendere”.
I più giovani forse non lo conoscono, ma Antonio Pizzinato, ottantasette anni ben portati, può entrare a buon diritto nell’album dei protagonisti della storia democratica del paese. Apprendista metalmeccanico nelle officine Borletti a quindici anni, iscritto alla Cgil e al Pci, dirigente della Fiom di Sesto San Giovanni e di Milano, segretario generale della Camera del lavoro milanese e poi dell’intera confederazione. Ancora, parlamentare a più riprese nelle file del Pds-Ds, con ruoli di governo, è stato presidente dell’Anpi della Lombardia. Con voce squillante, quando gli si chiede di commentare la risoluzione dell’europarlamento che equipara il comunismo al nazismo, risponde senza esitazione: “Un fatto grave”.
Pizzinato, come è potuta succedere una cosa del genere? Quale dio ha travolto la mente degli europarlamentari?
“Il fatto più grave è che questa risoluzione sia stata approvata, con il voto di deputati che sono lì da poco più di un anno. L’Europa dovrebbe costruire la sua identità e la sua unità sulla base di valori condivisi, uno di questi è il rispetto della memoria storica. Battendosi contro il nazismo, sono state create le condizioni per allontanare la follia della guerra dal vecchio continente dopo secoli e secoli di conflitti sanguinosi. Tutti i protagonisti della seconda guerra mondiale, quelli che si batterono contro il nazifascismo, hanno contribuito a salvare l’Europa. Senza i trenta milioni di morti dell’Unione sovietica, senza il loro sacrificio contro le armate hitleriane non avremo potuto costruire un’Europa democratica”.
Il sogno europeo, dopo la Seconda guerra mondiale, non era certo nato su queste basi.
“Già durante il conflitto mondiale due antifascisti come Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, mandati al confino per la loro opposizione alla dittatura, scrissero il manifesto di Ventotene, che aveva come sottotitolo ‘per un’Europa libera e unita’. In quell’isola erano state confinate ottocento persone, cinquecento di loro classificati come comunisti”.
E non per caso, quando nel 1979 ci furono le prime elezioni europee, Altiero Spinelli era capolista, pur da indipendente, del Pci.
“È l’ennesima dimostrazione che si tratta di una risoluzione completamente sbagliata, votata senza un dibattito parlamentare dal quale sarebbe potuta facilmente emergere la falsità dell’equiparazione tra nazifascismo e comunismo. Nel nostro paese, ma anche nel resto del continente, soprattutto nelle nazioni dell’est, hanno preso piede atteggiamenti xenofobi, non di rado apertamente razzisti. In questo quadro l’Europa dovrebbe non soltanto reagire ma anche evitare scelte, come la risoluzione, che mettano in discussione la storia e i valori su cui si fonda la comunità continentale”.
Domanda tendenziosa: di fronte all’enormità di quanto accaduto, alcuni parlamentari hanno fatto marcia indietro. C’è chi come Massimiliano Smeriglio si è rifiutato di votare la risoluzione, chi come Piero Bartolo, medico di Lampedusa, ha detto di aver sbagliato. Lo stesso Davide Sassoli, presidente del parlamento, ha definito quello che è successo “un’operazione pericolosa”. Lacrime di coccodrillo?
“Lo ripeto, il voto è stato un fatto grave. E altrettanto grave è stata la mancanza di un’articolata discussione fra forze che si dicono democratiche. Siamo di fronte a un arretramento storico e culturale, e questo proprio in una fase in cui i valori della nostra Costituzione dovrebbero essere la bussola di ogni atto politico”.
Certo nel nostro paese è da trent’anni e passa che si è aperta una sorta di ‘caccia al comunista’. Cominciò Craxi, ha continuato Berlusconi, hanno finito per collaborare perfino ex iscritti al Pci, addirittura ex dirigenti del Partito comunista italiano.
“Guardiamo alla storia: noi comunisti siamo stati protagonisti della lotta antifascista e abbiamo contribuito allo sviluppo della democrazia. Siamo sicuri che senza la Resistenza, per altro non solo dei comunisti, non solo italiana, il nostro paese sarebbe diventato una Repubblica democratica e parlamentare, con una Costituzione come quella del 1948, ancora oggi considerata all’avanguardia?”.
Un’ultima domanda. Specialmente le giovani generazioni, di fronte a questa risoluzione, rischiano di essere fuorviate, assumendo come verità storica una fake news. Che fare?
“È necessario aprire una nuova stagione, a partire dalle nostre istituzioni, dal parlamento e dai consigli regionali. E poi dalle scuole, nei luoghi di lavoro. Perché la democrazia sia cosa viva, vissuta ogni giorno, è necessario ripartire dalla verità storica. Come quella di una guerra di Liberazione dal nazifascismo costata all’Europa e alla Russia in particolare milioni e milioni di morti. L’Anpi ha subito preso posizione denunciando la risoluzione”.
La Nota di aggiornamento del documento di Economia e Finanza (Nadef) è stata disciplinatamente votata in Parlamento, ma non scalda i cuori a nessuno. Bankitalia, Corte dei Conti e Ufficio parlamentare di bilancio (organo indipendente dalle Camere) hanno di fatto bocciato la manovra del governo. Le organizzazioni sindacali non hanno risparmiato critiche. Sono contente che si sia aperto un tavolo di confronto a Palazzo Chigi, ma il metodo apprezzabile non garantisce del risultato. Infatti nell’assemblea Cgil Cisl Uil di Assago il ricorso a mobilitazioni generali è stata più che un’ipotesi. Il presidente dell’Assolombarda, Carlo Bonomi, ha lanciato al governo un appello più ironico che appassionato: “Questa volta stupiteci!”. Ma non è successo.
Eppure il contesto si presenta meno aspro di altre volte. Il temutissimo spread viaggia sull’onda dei 140 punti; il 2,2% di deficit pare cosa acquisita; la Commissione europea si appresta a concedere al nostro paese una nuova flessibilità per 14 miliardi. Certamente pesa la minaccia di una nuova recessione su scala mondiale. Ce lo indicano i capovolgimenti dei rendimenti dei titoli di stato tra quelli a lungo termine e quelli a breve; lo conferma il tintinnio di spade sul fronte dei dazi e dei contrapposti protezionismi; lo sottolinea lo scivolamento nella recessione dell’ex locomotiva tedesca e delle economie ad essa strettamente collegate. Ma proprio per questo bisognerebbe sapere cogliere il momento per osare uno scatto di reni.
Invece, Renzi in testa - e si capisce ancor meglio il senso della sua scissione - ribadiscono ossessivamente che “non si possono aumentare le tasse”, quando invece bisognerebbe domandarsi per chi. L’idea di operare selettivamente, rimodulando le aliquote Iva, non era una novità. Già il ministro Tria si era dichiarato sensibile al tema, partendo dall’assunto (sbagliato) che le imposte indirette sono meglio di quelle dirette. Anche a sinistra si è avanzata questa ipotesi, seppure partendo da diversi presupposti. Ma per evitare che una simile scelta si capovolga nel suo contrario, bisognerebbe mettere in atto un insieme di azioni e di norme che difficilmente potrebbero nascere sotto schiaffo dei controllori di Bruxelles.
Se si aumentano le aliquote per i beni di lusso bisognerebbe assicurarsi che la già elevatissima evasione fiscale non cresca del pari. Quindi avere un piano perché i dati raccolti elettronicamente non giacciano inerti, ma vengano sottoposti ai necessari incroci per scovare gli evasori grandi o piccoli. L’evasione fiscale in Italia non riguarda solo i grandi ricchi ma è assai diffusa, e anche per questo è difficile da combattere. Bisognerebbe che i controlli incrociati si potessero fare senza violare le norme attuali sulla privacy, modificandole in nome di un interesse superiore. Servirebbe puntare alla prevenzione dell’evasione, e non solo alla sua repressione.
Necessita una politica, non un’operazione contabile. In voluta assenza di tutto questo era prevedibile che il governo ricadesse nella sterilizzazione delle clausole di cui siamo prigionieri dal 2011. A detrimento di necessarie spese sociali. Del cuneo fiscale se ne parlerà a metà anno prossimo, come se l’incremento dei consumi popolari fosse ininfluente per dare una scossa a una stagnante economia. Mentre la riforma degli odiati ticket si arena sulle fasce di reddito familiari e viene compressa dentro un tetto annuo. Per non parlare della “green economy”, che avrebbe dovuto essere l’asse portante innovativo, a cui invece si destina uno stanziamento ridicolo.
Il punto più debole è la previsione di un recupero di 7 miliardi dall’evasione fiscale. Sulla base dei precedenti è assolutamente inattendibile. “Io speravo che me la cavo” è l’insegna di questa Nadef rivolta agli organi europei. Ma il via libera della Commissione ancora non c’è. Invece che tassare maggiormente l’acquisto delle mitiche Lamborghini, per poi lasciare tutto come prima, converrebbe pensare a misure patrimoniali, anche straordinarie, che colpiscano non tanto i consumi, ma ricchezze, redditi ed elevati profitti, con una congrua franchigia per i redditi bassi. Ma Conte e Gualtieri dicono no. Pare che solo prospettare una patrimoniale, anche se straordinaria, farebbe cadere immediatamente il governo. Appunto, ma questo dimostra proprio che non siamo affatto di fronte ad una svolta, ma prigionieri della vecchia politica che ha preceduto il governo pentaleghista e ne ha favorito la nascita.