I problemi legali del Primo ministro Netanyahu l’hanno portato ad anticipare le elezioni previste per novembre 2019 e gli israeliani hanno votato in aprile. I risultati sono stati problematici per la coalizione del Primo ministro, e al posto di trattative defatiganti Netanyahu ha preferito andare a nuove elezioni, che si sono svolte lo scorso 17 settembre.
Gli osservatori che si interrogano sui problemi che riguardano Israele e il Medio Oriente si saranno immaginati una campagna elettorale dove si discutesse dell’occupazione, di pace e guerra, della crescente tensione con l’Iran, del ruolo di Israele nel Medio Oriente. Osservatori ottimisti si saranno domandati se la crisi del neoliberismo, che oggi mostra il suo fallimento tanto in Europa come negli Stati Uniti, sia arrivata anche in Israele. Il 20% degli israeliani si collocano sotto la linea della povertà e le diseguaglianze nel paese sono le più estreme tra i paesi dell’Ocse. Gli attacchi a contingenti iraniani in Siria, gli incidenti contro Hezbollah in Libano, e i missili sparati da Hamas o dalla Jihad islamica da Gaza, hanno aumentato la tensione e quasi portato a una mini-guerra che è stata frenata solo dal diniego dei capi dell’esercito e dei servizi segreti, che si sono opposti ai piani di Netanyahu.
La guerra o mini-guerra, che avrebbe poturo portare al rinvio delle elezioni, è sempre un fattore positivo per la destra e rafforza l’immagine che Netanyahu si è creato: è l’uomo forte che per di più annovera numerosi successi nell’arena internazionale: amico del problematico Trump e di molti leader autoritari in Europa, da Orban in Ungheria a Salvini in Italia.
Nessuna questione essenziale è stata in realtà discussa, praticamente non si è sentita nessuna vera discussione sulle prospettive di pace o di guerra o per quanto riguarda l’economia e la società. La questione centrale è stata sempre e solo se l’enorme corruzione che porterà il Primo ministro davanti ai tribunali nei prossimi mesi gli consentirà la rielezione, e se sarà difeso dall’immunità offertagli dalla coalizione di governo, o meno. Le reali differenze tra i partiti di destra e “sinistra” sono una finzione.
A parte voci isolate, e la chiara posizione della Lista araba unita, non si è sentita una vera critica alla linea del governo, non solo sulla questione israelo-palestinese, ma neanche rispetto all’Iran e ancor meno sulla campagna razzista-nazionalista contro i cittadinini araboisraeliani – sicuramente ancor meno sui quattro milioni di palestinesi privati di ogni diritto nei territori occupati. La sinistra in Israele è oggi quasi inesistente, e l’ideologia nazionalista e discriminatoria è dominante.
I risultati, che possono apparire chiari per gli osservatori esterni, non sono affatto chiari sulla possibilità di costituire una coalizione stabile e alternativa al Primo ministro Netanyahu.
Sì, è chiaro che il Primo ministro ha fallito e che il suo partito ha ottenuto 31 seggi in Parlamento, mentre il suo principale contendente, Beny Gantz ne ha ottenuti 33. Netanyahu può contare come alleati su due partiti ultra religiosi di destra – altri 17 deputati – e su un partito fascistoide di estrema destra con 7 deputati. Invece Gantz potrebbe aggregare alla sua coalizione quel che resta del partito laburista (6 deputati) e il fronte democratico con altri 5 eletti. Se non imperassero la delegittimazione e discriminazione razzista, potrebbe aggregare altri 13 deputati della Lista araba unita. Questo non è possibile solo per il clima antidemocatico oggi imperante in Israele. (Dopo che l’articolo era stato scritto, la Lista araba unita ha fatto uno “storico” pronunciamento” per l’incarico a Gantz, ndt).
Il grande arbitro delle elezioni sarà questa volta un incerto ex alleato del Primo ministro Netanyahu, Avigdor Lieberman. Dopo le elezioni di aprile e quando sembrava sicuro che Netanyahu potesse costruire una coalizione – basandosi sul suo ex ministro della difesa Lieberman – questi si è negato e vista la nuova chiamata ad elezioni si è convertito in combattente per il laicismo, contro i più problematici partiti religiosi. La parola d’ordine di Lieberman, “lottare per una coalizione nazionale liberale e laica” gli ha permesso di quasi raddoppiare il numero di voti.
“Piccolo” problema: l’opposizione a Netanyahu conta su 44 possibili voti, oltre ai 13 della Lista araba unita, con i quali arriverebbe a 57. Il razzismo di Lieberman lo porta ad una chiara posizione: unità nazionale – ossia Likud e il partito di Beny Gantz – ma in nessun modo partiti arabi.
Tutti cercano oggi di comprare tutti. Il grande Bibi ha fallito, ma questo non è il finale di questo triste capitolo. Restano aperte tutte le opzioni, inclusa una nuova chiamata alle elezioni, inclusi più guerre e spargimenti di sangue. L’occupazione continua e più di quattro milioni di palestinesi nei territori occupati, senza diritti, vedono un futuro ogni volta più oscuro.