Una legge in vigore dal 30 giugno ripristina la possibilità di agire nei confronti del datore di lavoro per ottenere il “danno differenziale”, quella parte di danno biologico e morale non coperta dall’assicurazione Inail. Era stata abolita dalla legge di bilancio 2018.
Quando un lavoratore subisce un infortunio o contrae una malattia professionale imputabile a responsabilità del datore di lavoro per omissione o insufficienza degli obblighi di sicurezza che gravano sul datore di lavoro (compreso quello della vigilanza affinché le norme sulla sicurezza vengano rispettate dai suoi dipendenti), è possibile agire nei confronti del datore di lavoro per ottenere il cosiddetto “danno differenziale”, cioè quella parte di danno biologico e morale non coperta dall’assicurazione Inail.
Questa possibilità, frutto di interpretazione normativa da parte della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, consolidata da tempo, era stata abolita dalla finanziaria 2018 che, modificando l’articolo 10 del Testo Unico infortuni, aveva in pratica annullato questa voce di danno risarcibile, facendo l’ennesimo favore ai datori di lavoro e alle loro assicurazioni.
La modifica è stata ora abrogata da una legge entrata in vigore il 30 giugno scorso, cosicché si può tornare alla tutela dei lavoratori anche per questo aspetto che è di grande importanza sotto il profilo del risarcimento del danno, ma anche sotto l’aspetto dell’applicazione delle regole di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro, costituendo un deterrente alle violazioni poste in essere con estrema facilità, come dimostrato dall’altissimo numero degli infortuni e delle malattie professionali (troppo spesso mortali) che continuamente si verificano.
Per capire la portata del risarcimento del “danno differenziale” si può fare un esempio pratico, già sottoposto al giudizio della magistratura del lavoro. Un lavoratore aveva subito un grave infortunio sul lavoro (lesioni alla colonna vertebrale) a causa del ribaltamento di un autocarro all’interno di una cava di estrazione di materiale inerte; l’Inail aveva riconosciuto l’infortunio e liquidato una rendita commisurata al 22% di riduzione della capacità lavorativa, e un’indennità per l’astensione dal lavoro per complessivi 195 giorni.
In causa, riconosciuta la responsabilità del datore di lavoro (ovviamente da questo accertamento non si può prescindere), veniva quantificato un danno complessivo, secondo criteri civilistici, nella misura di 93.679 euro. Detratta la capitalizzazione della rendita riconosciuta dall’Inail in 43.189 euro, il datore di lavoro è stato condannato al pagamento di 59.384 euro a titolo di risarcimento del danno differenziale.
La modifica introdotta dalla finanziaria 2018 non avrebbe più consentito questo risarcimento, perché tutto il danno risarcibile sarebbe stato inglobato nella rendita Inail (senza che ne venissero cambiati i criteri di liquidazione in senso più favorevole al lavoratore). La modifica peraltro aveva già sollevato rilevanti e fondati motivi di incostituzionalità da parte di dottrina e giurisprudenza, e già la Corte di Cassazione si era pronunciata per l’applicabilità solo agli eventi verificatisi a partire dal primo gennaio 2019, in sostanza per l’irretroattività della norma.
Con l’abrogazione della normativa si è ristabilito, una volta tanto, il fondamentale diritto alla salute coniugato con il diritto al totale risarcimento in caso di lesione che, pacificamente, vige nel diritto civile, ma che veniva ad essere fortemente limitato nell’ambito del diritto del lavoro, con evidente discriminazione a danno del cittadino una volta varcata la soglia del posto di lavoro, in caso di lesione per fatti ascrivibili a responsabilità sia penale che civile del datore di lavoro.