L’ennesima rottura fra Lega e 5 Stelle del 10 luglio, durante il vertice sull’autonomia differenziata, indica il surriscaldamento del confronto in seno al governo sulla materia; segno evidente dei rischi sulla tenuta del nostro “sistema paese” che deriverebbero dalla “secessione dei ricchi”. Ciò avviene all’indomani della presentazione del rapporto Invalsi 2019 sullo stato di salute della scuola italiana, misurato sotto il profilo dei test (sistema sul quale nutriamo da sempre fortissimi dubbi), e fa scattare ulteriori gravi indizi di pericolosità su cosa accadrebbe nel caso l’autonomia differenziata andasse in porto.
Il quadro che emerge dalle prove standardizzate è desolante. Infatti si registra un livello di mancato raggiungimento degli obiettivi fissati dalle indicazioni ministeriali per le varie materie che non scende mai sotto il 34%, per arrivare a circa il 42% nel caso della matematica. Si certifica inoltre che queste insufficienze crescono all’interno dei cicli e passando da un ciclo all’altro, dalla scuola primaria a quella secondaria di primo grado e di secondo grado. Soprattutto si certifica una scuola spaccata in due, fra un nord meglio posizionato e un sud che arranca e si distanzia sempre più.
Non siamo interessati ad osannare la certificazione dei test Invalsi: troppo discutibili le prove standardizzate, incapaci di misurare la complessità di un mondo scolastico che non può essere valutato sotto il profilo statistico con freddi numeri e percentuali. E sarebbe facile dire che alla fine il nostro bistrattato sistema di istruzione e alta formazione, quando i nostri studenti o laureati sono chiamati al confronto europeo e internazionale, non se la passa proprio male. Evidente quindi che non è proprio da buttare. A conferma del fatto che il processo di formazione di uno studente è questione complessa che non può essere racchiusa nella semplificazione di una misura statistica.
Piuttosto il tema del divario nord-sud non è altro che la registrazione plastica di un differenziale che non può essere addebitato al sistema scolastico. E’ invece l’indice di un divario ben più profondo, radicato nel tessuto socio economico del nostro paese (e che anzi va ampliandosi), di cui la scuola non è altro che la cartina al tornasole. La questione meridionale è la vera emergenza del paese, altro che l’immigrazione, come abbiamo detto nella manifestazione di Reggio Calabria.
E’ sotto questo profilo che il ministro Bussetti e il governo dovrebbero spiegare come possa la “secessione dei ricchi” ridurre un divario di tali proporzioni, se a un “sistema paese” che oggi si basa su principi di mutualità affidati al governo centrale si sostituisce un sistema ad alta concorrenza fra sistemi regionali, che rivendicano nella loro potestà tutto il gettito fiscale della regione, finendo in questo modo per dare più risorse a chi già ne ha. Perché se la riforma deve essere a invarianza di spesa, è evidente che chi potrà beneficiare di ulteriore gettito fiscale lo potrà fare solo a svantaggio di qualcun altro.
I test Invalsi ci dicono ancora un’altra cosa: il disastro della legge 107/205 voluta dal governo Renzi. Un autentico fallimento. Invece di aumentare le risorse necessarie a finanziare un sistema scolastico degno di un paese civile, incrementare il numero degli addetti, mettere in sicurezza il patrimonio edilizio e migliorare le condizioni retributive del personale scolastico, con il falso miraggio del preside manager e della progettualità ha ridotto il ruolo e la centralità della scuola e dei docenti.
Anche sotto questo profilo i numeri sono impietosi. Stando al Rapporto sullo Stato Sociale 2019, per spesa per istruzione sul Pil siamo penultimi in Europa (ultima l’Irlanda); agli ultimi posti per spesa pro-capite per studente; penultimi nella retribuzione media dei docenti (prima della Grecia). Morale: per migliorare la scuola ci vogliono risorse, a partire da quelle per il rinnovo del Ccnl.
Anche i test Invalsi ci dicono che per il futuro del paese l’autonomia differenziata non si può fare e va contrastata, come sta già accadendo. Inoltre il presidente del consiglio deve mantenere gli impegni assunti con l’intesa del 24 aprile con i sindacati del comparto Istruzione e Ricerca in materia di integrità e unità del sistema nazionale di Istruzione e Ricerca, di salvaguardia del sistema nazionale di reclutamento, e dell’ordinamento professionale statale com’è regolato da contratto collettivo nazionale.