Il nuovo in Grecia viene dal passato. Kyriakos Mitsotakis, il neo primo ministro, è figlio d’arte, o meglio figlio di quella destra liberista che, con alla testa suo padre, ha portato il paese allo sfascio economico e sociale. Dei due pilastri del bipolarismo post colonnelli, il Pasok e Nuova Democrazia, il partito che aveva ancora conservato una base sociale e non era stato completamente cancellato dagli scandali e dalla crescita paurosa del debito pubblico era appunto Nuova Democrazia. La destra, legata mani e piedi alla Merkel e al Partito Popolare europeo, ha fatto leva su questa forza, per svuotare tutte le altre formazioni di destra e conseguire con il 39,7% la conquista del premio di maggioranza (50 seggi sui 300 complessivi). Solo grazie al premio si è potuto trasformare una minoranza nel paese in una maggioranza assoluta in Parlamento.
Mitsotakis ha fin dal suo insediamento tenuto un profilo basso. Sa che l’opposizione è forte e, con Syriza al 31,55% dei voti, è tutt’altro che in via di dismissione. Le elezioni hanno certificato che non c’è stato uno spostamento di voti da sinistra a destra e che le capacità di Syriza di mobilitare la sua base sociale, nonostante le misure antipopolari assunte nei quattro anni di governo, è in larga misura intatta. Nuova Democrazia, fatta eccezione di un piccolo partito nazionalista che ha superato lo sbarramento del 3%, è di fatto il solo attore nel settore destro del sistema politico.
A sinistra, il Pasok si è separato da tempo dal suo elettorato popolare e oggi, dopo vari tentativi di metamorfosi, resta incollato ad un 7-8%. Syriza, flette di 3 punti e mezzo e sconta il fatto di aver dovuto accettare le politiche imposte dalla troika dopo aver promesso di uscire dall’austerità e dai memorandum. In proposito la nuova formazione di Varoufakis supera inaspettatamente lo sbarramento e porta 9 deputati in parlamento, mentre il Kke, lo storico Partito comunista, rimane al 5,3% con 15 deputati.
L’idea di uno Tsipras piegato ai voleri di Bruxelles non è passata a livello di massa. Il suo governo, pur dentro limitazioni anguste, ha cercato di tenere aperto uno spazio di difesa del welfare e di tutela dei ceti sociali più deboli varando anche – per la Grecia è una novità assoluta - un forte piano contro l’evasione e l’elusione fiscale. Il tonfo delle europee non si è ripetuto, recuperando quasi nove punti percentuali, e Syriza esce così come il primo partito della sinistra. Mantiene il primato nei quartieri periferici e popolari (al contrario di quello che sta avvenendo in Italia), come dimostrano i risultati ad Atene, al Pireo, a Creta e in altre zone.
Occorre ricordare come solo nel 2014 Syriza si dibatteva tra il 4 e il 5%, ed era un partito oggettivamente marginale del sistema. Il suo elettorato è cresciuto in breve tempo sulla spinta delle mobilitazioni contro le politiche di austerity e di smantellamento delle conquiste sociali. Avrebbe potuto subire un pesante contraccolpo, come era già avvenuto per il Pasok o altri partiti socialisti come quello francese, e la stessa Spd tedesca. Invece non è avvenuto
Certo Tsipras è stato sconfitto, non è più al governo, ma Syriza è chiaramente il partito della sinistra in Europa con il più ampio livello di consenso in proporzione alla popolazione. Per Syriza semmai il problema è non essere risucchiata nella crisi delle socialdemocrazie europee, con ricette economiche già sconfitte in tutta Europa e se, al contempo, sarà in grado d’innovare la critica radicale al capitalismo contemporaneo e alle spinte nazionaliste.
Il coraggio con cui Tsipras ha risolto la contesa sul nome della Repubblica di Macedonia, mettendosi contro un pezzo di Grecia arcaica e legata a vecchie contrapposizioni, dice che questa innovazione è possibile. Così come il ripartire dall’autorganizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici, dalla difesa delle conquiste studentesche (Mitsotakis vuole cancellare la legge che vieta alla polizia di entrare nelle università, conquistata nel sangue dal movimento studentesco durante il regime dei colonnelli).
L’altro nodo, particolarmente delicato, con la crisi che depotenzia il potere di acquisto di salari e pensioni e con la disoccupazione che resta altissima, sarà evitare la guerra tra autoctoni e migranti (Alba Dorata, la formazione neonazista, che su questo aveva puntato le sue fortune, è stata spazzata via dal parlamento).
Sul piano politico è sicuramente l’unità della sinistra che andrebbe conseguita con grande spirito inclusivo. Difficile che questo avvenga solo per volontà dei gruppi dirigenti. La speranza è che dove il settarismo divide, la lotta possa invece unire.