Paradossali e inaccettabili le parole del ministro Bussetti sui docenti del sud che “dovrebbero impegnarsi di più”! Immediato il confronto con un nord dove le cose andrebbero meglio, dove i docenti lavorerebbero di più (dimenticando che sono il 40% i docenti provenienti dal sud a far funzionare le scuole del nord), sintomo rivelatore di un approccio leghista di chi si sente al sicuro per i superiori standard di qualità, in senso lato, della scuola del nord. Un approccio che vede solo nella competizione la soluzione al divario del nostro paese: una semplificazione inaccettabile, a cui le frasi riparatrici postume non servono a nascondere il vero pensiero, come se il problema fosse la produttività dei singoli e non le differenze infrastrutturali e socio-economiche. Una semplificazione che non tiene conto delle cause profonde del presunto divario, a partire dalla distribuzione diseguale delle risorse pubbliche.
E’ in fondo l’approccio che sostanzia e rivela la voglia di secessione dei ricchi o, come viene raccontata, di “autonomia differenziata” (quella di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna), che ha fra i suoi massimi sostenitori i leghisti del governo Conte-Salvini-Di Maio, ma a cui non sono estranei settori del Pd.
Certamente il ministro conosce le difficoltà delle regioni meno ricche del paese sul sistema di istruzione. Si tratta di mali endemici che, all’alba del terzo millennio, invece di risolversi vanno aggravandosi: il sud soffre più del nord per tutti i tagli subiti dalla scuola pubblica, da anni presa di mira per far quadrare i conti. Questo a cominciare dalla maggiore fragilità delle infrastrutture; dalla minore disponibilità di spazi idonei; dal minor sostegno degli enti locali e delle regioni in tema di servizi; dalla presenza marginale del tempo pieno (solo il 15% nel sud) o dall’assenza di attività integrate; da un numero di alunni per classe certamente più alto rispetto al nord; dalla cronica carenza di insegnati, e da una mobilità che finisce per sfavorire il sud, ingrassando le file della migrazione verso il nord.
Si tratta di un autentico paradosso, che si ritorce sul divario territoriale, ampliandolo. Per non parlare della dispersione scolastica, e delle condizioni socio economiche che possono favorire la realizzazione di un sistema scolastico di qualità; o della sicurezza degli edifici scolastici, a cui non si riesce a garantire nemmeno l’’antisismicità’ in un paese funestato dai terremoti.
Al ministro Bussetti non spetta il compito di certificare il divario nord-sud, o di scaricare sui docenti i mali di un sistema diseguale; a lui spetta il compito primario di rimuovere gli ostacoli di carattere economico e sociale allo sviluppo della persona umana e di garantire a tutti l’istruzione, su tutto il territorio nazionale e senza differenze, come recitano gli articoli 3 e 34 della Costituzione. Si concentri dunque sulle azioni da adottare, piuttosto che sulla banalizzazione dei problemi; si preoccupi di salvaguardare l’integrità del sistema nazionale di istruzione, che l’autonomia differenziata (da lui stesso rivendicata) mette in serio pericolo.
La frontiera più avanzata di questa autonomia, una vera e propria secessione delle regioni più ricche, porterà a venti sistemi scolastici differenziati basati su investimenti legati alla ricchezza del territorio, con forme di reclutamento e sistemi di valutazione differenti; livelli ancor più differenziati di welfare studentesco e di percorsi educativi; con conseguente regionalizzazione dei contratti di lavoro. Viene meno il ruolo dello Stato come garante di unità nazionale, solidarietà e perequazione tra le diverse aree del paese, mettendo a rischio la concreta esigibilità di diritti fondamentali. I principi supremi della Costituzione sono messi in discussione, perché la scuola è una funzione primaria garantita dallo Stato a tutti i cittadini italiani, indipendentemente da territorio, reddito, religione e cultura.
Affermiamo con forza la nostra contrarietà e denunciamo i rischi di quello che si nasconde dietro l’autonomia differenziata. Il nostro appello è ad un generale e forte impegno civile affinché si fermi il pericoloso processo intrapreso: è necessario mobilitarci, a partire dal mondo della scuola, perché si prenda coscienza, nel Parlamento e in tutto il paese, dei pericoli che stiamo correndo.
Per questo la Flc Cgil, insieme alle altre sigle confederali, agli altri sindacati di settore, e ad un vasto movimento di associazioni e realtà culturali, ha dato vita da una raccolta di firme dal titolo #RestiamoUniti (https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLScCwQGhWbPnhU-PZZMNUUOT5PV0bzAC2EkyiebVpaRdlyQVlw/viewform), e ad una serie di iniziative di mobilitazione. Quella del 12 marzo, in tutte le città italiane, è la prima giornata di lotta unitaria contro la precarietà nella scuola e la regionalizzazione del sistema di istruzione.