Dopo le iniziative delle Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna per il riconoscimento di maggiori forme di autonomia in attuazione dell’articolo 116 terzo comma della Costituzione, la richiesta è andata allargandosi, tanto che oggi sono ben 13 le Regioni a statuto ordinario a chiedere l’autonomia differenziata. Per di più, il Veneto chiede la devoluzione di tutte le 23 materie di legislazione concorrente, mentre Lombardia ed Emilia da cinque materie (accordo con il governo Gentiloni) sono arrivate a chiederne quindici.

E’ un vero e proprio tsunami, le cui conseguenze rischiano di essere catastrofiche per la tenuta dello Stato nazione, come sancito dalla nostra Costituzione. Il panorama politico degli schieramenti a favore o contro è molto eterogeneo (ai referendum in Lombardia e Veneto votarono a favore anche Pd e M5S), e rischia di riprodurre quanto già avvenuto con la riforma del Titolo V, quando per fermare la secessione della Lega si diede vita ad una normativa con non pochi problemi di tenuta del rapporto costituzionale fra Stato e Regioni.

L’idea sottesa a queste richieste è che l’efficienza, il benessere, i diritti fondamentali siano beni limitati; che problemi comuni a tutto il paese possano essere affrontati con rivendicazioni “regionalizzate”; che il decentramento e l’autonomia siano strumenti per cristallizzare le differenze ed incrementare le disuguaglianze, piuttosto che ridurle. Qual è altrimenti la necessità di rivendicare ulteriori forme di devoluzione sulle materie a legislazione concorrente?

In particolare, quali sarebbero, per i settori della conoscenza, le specificità delle Regioni tali da motivare la richiesta di ulteriori forme di autonomia? Perché mai le Regioni, nel programmare l’offerta formativa, dovrebbero avere la facoltà di intervenire sugli organici e la possibilità di costituire fondi regionali per integrare la dotazione organica del ministero con contratti a tempo determinato?

La Corte Costituzionale ha affermato che alle Regioni può spettare il compito di distribuire l’organico, non certo quello della sua determinazione. Cosa significa poi dotazioni organiche regionali a tempo determinato, quando abbiamo già conosciuto la stagione dell’organico provinciale a tempo indeterminato, poco funzionale alla scuola?

E’ evidente che rivendicare il potere sulla disciplina delle funzioni e dell’organizzazione delle scuole, incluse le dotazioni organiche, significa poi disciplinarne il rapporto di lavoro in ruoli regionali con contratti collettivi regionali. La bozza di testo sull’autonomia lombarda, ad esempio, contiene addirittura la richiesta di revisione delle funzioni degli organi collegiali nella scuola, e del passaggio alla Regione di tutto il personale degli uffici scolastici regionale e territoriali. Competenze legislative e amministrative sono chieste anche per atenei e ricerca.

E’ concreto il rischio di una destrutturazione del sistema nazionale dei settori della conoscenza. Non possiamo permettere che attraverso questi provvedimenti si intacchi l’unità del sistema paese, la garanzia dei diritti civili e sociali per tutti, l’unitarietà della contrattazione e la centralità del Ccnl.

A noi il compito di arrestare ogni ulteriore forma di frammentazione delle politiche pubbliche e di disarticolazione del sistema dei diritti. Dobbiamo difendere il diritto ad un Ccnl che a parità di lavoro preveda parità di salario e di diritti. Le contrattazioni di scuola, di ateneo e di ente sono deputate a regolare il salario accessorio, le prestazioni aggiuntive, secondo quanto previsto dai Ccnl. Siamo assolutamente contrari ad ogni forma di regionalizzazione dei contratti, degli organici, della mobilità, dei salari e del sistema di istruzione e della ricerca.

Il processo di attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia avviato dal governo e dalle Regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto è un processo pericoloso, a cui guardiamo con profonda preoccupazione. Qualsiasi forma di “autonomia differenziata” può avvenire solo ed esclusivamente dopo aver determinato i Livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritto all’istruzione, e dopo aver varato una legge di principi in materia dell’istruzione.

Le emergenze del nostro paese sono legate ai divari territoriali tra nord e sud, alla necessità di innalzare i diritti e le tutele per tutti, a rilanciare l’occupazione giovanile, alla messa in sicurezza dei territori dal drammatico dissesto idrogeologico, alla messa in sicurezza e alla implementazione delle infrastrutture (soprattutto nei settori della conoscenza), ad eliminare le disuguaglianze e combattere la povertà. Il diritto all’istruzione e alla conoscenza non può essere in alcun modo regionalizzato, in coerenza con i principi costituzionali di unità e coesione del paese.

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