Psoe e Unidos Podemos sfidano la Commissione europea con misure economiche a favore di lavoratori e pensionati. Come già in Portogallo, le sinistre contrastano le politiche di austerità.
La Spagna come il Portogallo? Una penisola iberica governata dalle sinistre? Se ne parla poco, e forse non a caso, ma proprio da quell’area geografica potrebbe arrivare un’opposizione democratica all’emergere dei sovranismi da un lato, e ai diktat europei dall’altro. L’11 ottobre scorso a Madrid è stato stipulato un accordo politico fra il Psoe, (Partito socialista operaio spagnolo), guidato dal premier Pedro Sanchez, e Unidos Podemos, capeggiato da Pablo Iglesias, per sostenere il governo socialista su precise misure economiche e sociali.
L’intesa si basa su una serie di misure progressiste: lotta all’evasione fiscale, aumento del salario minimo interprofessionale da 735 a 900 euro mensili, lotta alla povertà e alle disuguaglianze, una maggiore attenzione all’ambiente attraverso misure ad hoc, e una più attenta educazione ai temi ecologisti.
Nella legge di bilancio 2019 da inviare a Bruxelles sono previste tassazioni più alte per i redditi superiori ai 130mila euro; una patrimoniale dell’1% per i capitali superiori ai 10 milioni di euro, e una tassa speciale dello 0,2% per le transazioni finanziarie; pensioni legate all’inflazione reale come recentemente avevano richiesto gli stessi sindacati dei pensionati; reintroduzione di aiuti per i disoccupati con più di 55 anni; un aumento del 40% del fondo per gli assegni sociali per le persone dipendenti e per la ricerca fino al 6,7%; 50 milioni per combattere la cosiddetta “povertà energetica”, e incentivi per l’auto elettrica.
C’è anche un’equiparazione dei permessi di paternità a quelli di maternità, un taglio delle tasse universitarie, e un ambizioso programma di edilizia popolare. A proposito di case, Unidos Podemos è riuscito ad ottenere la regolazione degli affitti in caso di bolle speculative, e il ritorno dei contratti quinquennali. Una misura fortemente voluta da molti comuni, a cominciare da quello di Barcellona capeggiato dalla sindaca Ada Colau.
Attraverso queste misure, e una richiesta alla Commissione europea di aumentare il deficit del prossimo anno dall’1,3% all’1,8%, il governo spagnolo dovrebbe essere in grado di mettere in atto le misure previste. Non mancano poi misure legislative che potremmo definire di carattere culturale, come la depenalizzazione del reato di offesa alla corona o ai sentimenti religiosi.
Certo ci sono ancora degli ostacoli da superare: l’approvazione del Parlamento, dove mancano 25 voti per raggiungere la maggioranza di quota 151, oltre al vaglio della Commissione europea. E il dissenso in alcuni settori del Psoe che non vedono di buon occhio l’alleanza con una forza di estrema sinistra come Unidos Podemos. Resta comunque il valore politico e simbolico di un accordo che potrebbe trasformarsi in una vera e propria alleanza di governo. Cosa che fino a poco tempo fa era tutt’altro che scontata. Anzi è utile ricordare che nel marzo 2016 fu proprio Iglesias a rifiutare un sostegno a Sanchez, che poi l’anno successivo venne rieletto segretario generale del Partito socialista. Ma, adesso le cose sono cambiate, e quello che ora sembra essere un esperimento potrebbe trasformarsi in una vera alleanza di governo.
Soprattutto i due partiti potrebbero presentarsi insieme alle prossime elezioni amministrative, regionali in Andalusia, ed europee, spendendo un’immagine positiva, fatta di proposte innovative e progressiste, le più a sinistra dalla fine del franchismo, che dovrebbero mettere la parola fine alle politiche di austerità che negli ultimi anni hanno impoverito la classe media e i lavoratori. E cancellare gli aspetti più negativi della riforma del lavoro del 2012 in materia di contrattazione collettiva.