Nel luglio scorso tra Firenze e Roma si è svolta la seconda edizione dell’African Diaspora Cinema Festival, manifestazione culturale e artistica pensata con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza dell’opinione pubblica sul cinema africano. Anche per cercare di modificare, grazie alle visioni e ai documentari realizzati e prodotti sia in Africa che nel resto del pianeta da registi e intellettuali della diaspora, l’orizzonte sociale ed economico del continente.
Fide Dayo, regista nigeriano e anima dell’African Diaspora Cinema Festival, ha spiegato così la genesi della bella rassegna: “In un’epoca drammatica in cui i corpi di migliaia di africani scorrono come l’acqua nel Mediterraneo, altre migliaia subiscono trattamenti disumani nei centri di detenzione in Libia, i governi europei vogliono blindare il loro continente, e l’Italia mette a rischio la vita di donne, uomini e bambini chiudendo i porti alle navi che soccorrono i migranti, abbiamo voluto trovare spazi pubblici per raccontare e far conoscere le nostre storie”.
Il festival si è aperto con la tavola rotonda “Stop human trafficking”, incentrata sulla denuncia del traffico di esseri umani che sta marchiando indelebilmente questo periodo storico. La discussione è stata moderata dall’attrice Barkissa Maiga, con la partecipazione di Gemma Vecchio, fondatrice di Casa Africa di Roma, Udo Enwereuzor del Cospe, e con il giornalista Max Civili.
“La tavola rotonda – osserva Fide Dayo - è stato un tentativo, a mio parere riuscito, di far arrivare la nostra voce alle istituzioni. E per cercare di capire se le soluzioni adottate per rispondere a questo problema epocale sono quelle giuste. Abbiamo esaminato la situazione, e abbiamo convenuto che tutto il mondo deve pensare a istituire leggi più severe contro i trafficanti di uomini. Loro hanno una sorta di impunità, continuano ad agire giorno dopo giorno senza che qualcuno li ostacoli davvero, e possono contare su complicità ad ogni livello. Anche noi che facciamo cinema, che giriamo documentari, sentiamo sulla nostra pelle questo stato delle cose. Mentre in Africa e sulle sponde del Mediterraneo sta accadendo di tutto, in mezzo a tragedie terribili, chi avrebbe il potere per ostacolare il traffico di esseri umani fa finta di nulla. Non vuole vedere”.
La conseguenza paradossale di questa inazione è che viene gettata la croce addosso ai migranti, che sono soltanto delle vittime, mentre i riflettori dei media non vanno a illuminare le zone d’ombra in cui prosperano i trafficanti di uomini. “Vengono colpiti gli schiavi – prosegue Fide - quando dovrebbero invece essere colpiti i ‘padroni’ degli schiavi. Allora noi pensiamo che parlare di queste cose nei festival, nei concerti, nei dibattiti pubblici, possa aiutare la comprensione del fenomeno. Possa sensibilizzare, e far capire cosa si nasconde dietro quello che poi leggiamo sui giornali e vediamo in televisione”.
Nel presentare la rassegna, gli organizzatori hanno voluto puntualizzare che stiamo vivendo in un’epoca di profonda intolleranza razziale, di mancanza di lavoro, e di forti disuguaglianze e ingiustizie sociali. Sembra la fotografia dell’Italia di oggi, ma sul punto Fide Dayo chiede di allargare lo sguardo: “E’ la fotografia dell’intero pianeta, di buona parte di esso. Quando parliamo di diaspora non ci riferiamo soltanto alla migrazione verso il continente europeo, ma anche di quella che sta avvenendo all’interno del continente africano. A partire dallo spopolamento dei villaggi che ha trasformato le città più grandi in megalopoli invivibili. Fino alle migrazioni interne, gigantesche, che stanno portando milioni e milioni di africani ad abbandonare i loro paesi per cercare lavoro, e una vita migliore, negli stati più ricchi. Se pensate che la diaspora sia solo quella che vedete voi in Europa, non potete immaginare la dimensione di quella ‘interna’ all’Africa. Con il festival abbiamo voluto puntare i nostri obiettivi, le nostre telecamere, su questa situazione”.
Nei tre giorni dedicati alle proiezioni sono stati presentati 25 fra cortometraggi, lungometraggi e documentari, provenienti da 19 diversi paesi e selezionati fra più di 2000 film che si erano candidati alla selezione. Indimenticabile anche la performance del musicista Yosief Teklay. In un tempo in cui a livello globale prevalgono il razzismo, i nazionalismi e le divisioni, assistere a questo evento a cui hanno aderito artisti, registi, esperti e pubblico, provenienti da tutti gli angoli del pianeta, è stata un’esperienza molto bella e che ha creato consapevolezza. Unica nota dolente, paradigmatica del momento storico che stiamo vivendo, è stata quella relativa ad alcuni registi che avrebbero voluto partecipare, ma non hanno potuto farlo perché non è stato concesso loro il visto d’ingresso in Italia.