Chi ha a cuore le sorti della democrazia deve saper individuare le forme e i modi per sviluppare una mobilitazione sociale e culturale, finalizzata a contrastare i rischi di una involuzione autoritaria.
Dato che abbiamo attraversato la lunga stagione del berlusconismo, contraddistinta da un aspro conflitto contro l’indipendenza della magistratura, era prevedibile che - al di là dell’enfasi sul cosiddetto governo del cambiamento - si aprisse l’ennesimo scontro con i giudici, in quanto le politiche praticate dal ministro Matteo Salvini sono palesemente in conflitto sia con i valori della nostra Costituzione, sia con quelli stabiliti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, nonché con i diritti del mare contenuti nella Convenzione di Amburgo del 1979.
D’altronde, quando la Lega era una forza di complemento del centro-destra, si era sempre tranquillamente accodata agli attacchi all’arma bianca orditi da Silvio Berlusconi. Ora che è la forza egemone del centro-destra, avendo ben appreso la lezione, ha adottato una strategia retorica che, dividendo il mondo in modo manicheo tra amici e nemici, punta ad alimentare le pulsioni negative che da sempre covano nella pancia dell’elettorato, attraverso l’individuazione di una serie di capri espiatori da dare in pasto all’opinione pubblica.
Che questa strategia retorica non sia una novità dell’oggi, bensì sia stata alla base dell’ascesa di Salvini quale leader della “nuova” Lega, è un fatto che trova un’ampia conferma nell’interessante libro del giornalista Antonello Caporale “Matteo Salvini. Il Ministro della Paura”, edito da PaperFirst.
Il salto di qualità odierno è però dato dalla carica che Salvini ricopre, giacché un ministro, rappresentando la nazione, dovrebbe sulla base dell’articolo 54 della Costituzione “adempiere alle sue funzioni pubbliche con disciplina e onore”, mentre di fatto non si cura dei messaggi pedagogicamente diseducativi che diffonde mediante la potenza dei media.
Come ha ben rilevato lo scrittore Edoardo Albinati sul supplemento “la Lettura” di domenica 9 settembre, abbinato al Corriere della Sera: “è paradossale che l’Italia abbia un ministro di Polizia, cioè qualcuno incaricato di mantenere l’ordine, che fomenta il disordine con le sue iniziative e il suo linguaggio. Il ministro di Polizia, voglio dire, che si vanta dei reati per cui è indagato. Questo non è andare oltre, ma andare contro le proprie funzioni. Be’, non si era mai visto”. Così come non si era mai visto che un ministro, a fronte dei reati per cui è indagato dalla procura di Agrigento, ovvero sequestro di persona, sequestro di persona a scopo di coazione, arresto illegale, abuso di ufficio e omissione di atti d’ufficio, sostenga che persisterà nella violazione del codice penale e delle libertà fondamentali costituzionalmente garantite.
Quando si perseguono pratiche disumane e si criminalizzano le soggettività migranti e la libertà di migrare - che è un diritto universalmente garantito - e inoltre si prendono a modello personaggi come Trump ed Orban, noti per il loro brutale autoritarismo, non ci si può sorprendere che il nostro paese venga “attenzionato” dal Comitato per i Diritti umani dell’Onu, per gli scellerati respingimenti in mare e la diffusione dei casi di aggressioni razziste.
Non sarà con un buffetto o con i toni sprezzanti delle sue pose che Salvini potrà eludere l’attività giurisdizionale costituzionalmente esercitata dalla magistratura, poiché, come ha ben rilevato anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non sono i consensi elettorali o i sondaggi che lo pongono al di sopra della legge. Ma se, come ha sostenuto il professor Luigi Ferraioli su “il manifesto” del 28 agosto scorso, il comportamento del ministro “assume un carattere eversivo”, poiché le politiche che persegue “stanno fascistizzando il senso comune”, chi ha a cuore le sorti della democrazia deve saper individuare le forme e i modi per sviluppare una mobilitazione, sul piano sociale e culturale, finalizzata a contrastare i rischi di una involuzione autoritaria.