Una (piccola) vittoria per i Sahrawi - di Vittorio Bonanni

La Corte europea smentisce il Marocco (e la Commissione) sui diritti di pesca nelle acque adiacenti il Sahara Occidentale.  

Un piccolo passo in avanti nel riconoscimento dei diritti del popolo sahrawi, schiacciato, da decenni, dalla dominazione marocchina? Ce lo auguriamo, se quanto è successo i giorni scorsi presso la Corte europea di giustizia avrà un suo seguito, anche se le incognite restano ancora tutte sul tappeto.

Ma veniamo al punto in questione. In considerazione del fatto che il territorio del Sahara Occidentale, secondo le Nazioni Unite, non fa parte del Regno del Marocco, le acque adiacenti a questa regione non rientrano nella zona di pesca marocchina al quale fa riferimento l’accordo commerciale tra il Marocco e l’Unione europea. Insomma Rabat, nelle acque diciamo così contese tra il regno e il Fronte Polisario, legittimo rappresentante di uno Stato riconosciuto da decine di altri Stati soprattutto africani e latino-americani, non può pescare, anche se il prossimo 14 luglio scadrà l’accordo sulla pesca con l’Ue, e il Marocco ha tutta l’intenzione di far pesare la sua capacità di condizionare il flusso migratorio verso l’Europa, per far volgere la trattativa a suo favore.

Ma intanto perché la Corte europea è arrivata ad occuparsi di questo problema? Tutto nasce dall’impegno della Western Sahara Campaign (Wsc), organizzazione di volontariato inglese che si batte per il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione di quel popolo. Questa associazione aveva sostenuto di fronte all’Alta Corte di giustizia dell’Inghilterra e del Galles sulla sua sezione amministrativa che quell’accordo di pesca non era valido per quanto riguardava le acque del Sahara Occidentale. A sua volta l’Alta Corte di giustizia ha chiesto alla Corte europea se quell’accordo fosse valido o meno, e quest’ultima si è ritenuta legittimata ad esprimersi in tal senso.

Insomma l’inclusione del territorio del Sahara Occidentale nell’ambito di applicazione dell’accordo di pesca violerebbe diverse norme di diritto internazionale applicabili nelle relazioni tra l’Ue e il Marocco, in particolare il principio di autodeterminazione. Da qui la decisione di non includere nella zona di pesca marocchina le acque limitrofe al territorio del Sahara Occidentale.

A questo punto bisognerà vedere chi vorrà fa rispettare questa decisione. Ma intanto è importante che il Fronte Polisario e il popolo che rappresenta incassino questo successo dopo decenni di guerra, repressione e mancato riconoscimento dei diritti sanciti dal Palazzo di Vetro. Se a questo aggiungiamo il sequestro dell’estate scorsa, ancora in atto, da parte delle autorità sudafricane di un carico di fosfati marocchino, ma in realtà estratto dai territori sahrawi, il quadro economico per Rabat si fa complesso quando si toccano risorse in realtà di proprietà della Repubblica Araba Democratica Sahrawi (Rasd). Aggiungiamo anche la decisione della Transavia di sospendere i voli da Orly a Dakhla, situata nei territori occupati dai marocchini.

E’ utile ricordare che il Sahara Occidentale (Rasd) è una ex colonia spagnola in gran parte nelle mani del Marocco, che lo considera parte integrante del suo territorio. La parte non occupata è sotto il controllo del Fronte Polisario, il movimento politico armato che governa la Rasd dall’esilio in Algeria. Dopo aver guidato la lotta di liberazione dalla Spagna, il Fronte ha chiesto di ottenere l’indipendenza del Sahara Occidentale, così come prevedono le risoluzioni dell’Onu che hanno indetto nel 1991 un referendum, finora mai attuato. La stessa Unione Africana riconosce la Repubblica Araba Democratica Sahrawi.

Nello stesso 1991, in concomitanza con la proclamazione del referendum, l’Onu ha istituito la Minurso (Missione delle Nazioni Unite per l’organizzazione di un referendum Sahara Occidentale) che aveva diversi obiettivi da raggiungere e soprattutto quello di organizzare il voto. Ma, a quasi trent’anni dalla proclamazione del referendum, nessun risultato concreto è stato raggiunto. Se da un lato il re Mohammed VI si dice disponibile a concedere un larga autonomia, il Polisario, dopo decenni, non intende rinunciare all’idea di una patria per la popolazione che rappresenta.

Se a questo aggiungiamo che l’Europa, Francia in testa, ha una politica soprattutto filo marocchina piuttosto che incline ad una mediazione, i tempi per la risoluzione di questo contenzioso rischiano di non conoscere la parola fine.


 

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