Noi donne siamo venute per rimanere: una lettura dell’8 Marzo - di Nuria Lozano Montoya

Ci sono momenti politici la cui portata non si può determinare al momento. Con lo sciopero femminista di questo 8 Marzo, già definito “storico”, ci è venuto in mente il 15 marzo (15 M), quando qualche voce ha osato affermare, con un certo disprezzo, che “quelli delle piazze” erano servite ad assicurare la vittoria della destra. Allo stesso modo, per questo 8 Marzo, dobbiamo aspettare che passino alcuni mesi, o anni, per riconoscere l’ampiezza del suo impatto.

Adesso si possono anticipare alcune delle sfide che il movimento dovrà affrontare dopo questo sciopero. La prima potrebbe essere quella di evitare di perdere forza, con la conseguente disillusione, avendo la capacità di unire i fili del nuovo con quelli della memoria storica. E della tessitura il femminismo ha una grande esperienza.
Se qualcosa caratterizza questo movimento sociale è la sua capacità di fare rete là dove va fatta. Il movimento femminista non ha solo rotto la monotonia delle grandi città, ma è arrivato fino all’ultimo villaggio del paese. “Qui c’è più gente che nella festa paesana”, è già un modo di dire da tener presente nella valutazione dell’8 Marzo. Questa rete di donne organizzate, attivate nel loro impegno di dimostrare che anche loro scioperavano, capace di unire il mondo cittadino e quello rurale, continuerà a funzionare.

La seconda sfida può essere la reazione rabbiosa del sistema che cerca di sorvolare sul fatto che lo sciopero ha segnato l’agenda politica del paese. Di fronte ad una possibile via d’uscita neo-maschilista, la scommessa deve continuare con una maggiore pedagogia femminista. Non è una lotta contro gli uomini: le risposte positive non miglioreranno solamente la vita delle donne.

Infine la sfida più complicata: la disputa sul suo significato. Se qualcosa ha mosso questo sciopero è stata la dimensione economica dell’oppressione di genere. Le donne che hanno scioperato e manifestato lo hanno fatto perché con le loro molteplici vite e lavori visibili e invisibili non resta loro tempo, perché non arrivano alla fine del mese, perché la pensione non basta per loro e i loro bambini, perché devono farsi carico dei nipoti a cui i genitori non possono badare, perché a scuola i tagli hanno aumentato il numero di alunni, perché chiedono di poter attendere alle attività di cura e che i loro compagni facciano altrettanto. Insomma le donne hanno scioperato per denunciare che la loro vita è piena di precarietà e povertà. Hanno detto che questo sistema economico le fa impazzire. E che così non si può andare avanti. Per questo, tra le altre cose, la crisi dell’assistenza determina una vita che per la stragrande maggioranza è sempre meno che dignitosa. Per questo le rivendicazioni femministe si incrociano così bene con quelle delle pensionate: nella maggioranza dei casi sono le persone anziane a mettere le loro pensioni e il loro tempo al servizio dell’assistenza di tutta la famiglia.

Di qui il successo e l’importanza dell’impegno sindacale nella giornata dell’8 Marzo: con la convocazione di due ore di sciopero i sindacati maggiori, di 24 ore i sindacati più piccoli, con presidi e manifestazioni nelle aree industriali, il movimento operaio organizzato è stato una parte importante di questa mobilitazione storica. Perché è anche importante la dimensione lavorativa e il ruolo giocato da elementi come il gap salariale, la progressione professionale, o il lavoro a tempo parziale involontario, nella estrema precarizzazione della vita delle donne.

C’è ancora molta strada da fare e il movimento sindacale nel suo insieme non è ancora arrivato a capire che, al di là dello sciopero, questa non è stata una mobilitazione solo sindacale, ma sui consumi, l’assistenza, l’istruzione, di studenti e, soprattutto, del protagonismo delle donne. In questo quadro si devono interpretare anche gli errori commessi, come le dichiarazioni di portavoce maschili, la competizione tra organizzazioni, o le difficoltà a lavorare uniti in seno al movimento.

Però si conferma l’importanza e necessità della partecipazione sindacale in un movimento unitario come questo, non solo come strumento di rivendicazione dell’apporto fondamentale, quasi sempre disconosciuto, delle donne alla storia del movimento operaio, ma anche di rafforzamento del ruolo delle sindacaliste, non sempre adeguatamente valorizzate dentro le organizzazioni.

Di fronte alle sfide del dopo 8 Marzo, continuiamo con le modalità e le proposte femministe. Quello che lo sciopero ci ha portato in termini di dibattito pubblico deve tradursi in cambiamenti sociali e culturali, politiche pubbliche, risorse e leggi. La domanda è chiara e deve diventare realtà: la società sta chiedendo un cambiamento e questo va costruito insieme. Come movimento operaio dobbiamo contribuire, perché insieme siamo sempre più e sempre più forti.

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