“Ba-sta razzismò, ba-sta razzismò”. I tantissimi senegalesi che erano in corteo a Firenze lo hanno ritmato a lungo, restituendo senso, una volta tanto, alle parole. Si manifestava per Idy Diéne, ucciso da un pensionato con l’hobby delle armi. L’omicida, Roberto Pirrone, ha detto agli investigatori che voleva uccidersi, e che poi ha sparato al primo che capitava. Non è vero: uscito di casa con in tasca la pistola, ha camminato per circa un chilometro, in una zona densamente abitata, fino ad arrivare al ponte Vespucci, dove ha fatto fuoco per sei volte contro la vittima, finita con un colpo di grazia alla testa.
Le associazioni dei senegalesi di Toscana, nel promuovere la manifestazione, sono state chiare: “Questo vuol essere un ricordo doloroso di una persona cara, ma anche una affermazione collettiva del rifiuto dell’incitamento all’odio nei confronti dei migranti e rifugiati, che ha caratterizzato il dibattito pubblico nell’ultimo anno”. Chiare anche le parole di un manifestante: “Quell’uomo l’ha studiato, l’ha studiato (l’omicidio, ndr), lui quel giorno ha incontrato un milione di persone e poi ha sparato a un nero. Salvini, io ti vedo tutte le volte al telegiornale, tu parli solo male degli africani, questi sono i risultati”.
Ci sarà lutto cittadino per la morte di Idy Diène. Ma ci sono voluti sei lunghi giorni prima che fosse presa questa sacrosanta decisione. E la parola “razzismo” è stata tabù, almeno da parte della comunicazione istituzionale. Eppure era tutto chiaro, come ha osservato il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt: “Se qualcuno spara contro qualcun altro che ha la pelle di colore diverso, avendo incontrato prima anche altre persone, è chiaro che si tratta almeno di razzismo subliminale: questo è ovviamente inaccettabile e va debellato, così come il razzismo manifesto e proclamato”.