Tanti piccoli Giobbe alla fermata del bus. Pazienti, speranzosi, tenaci. Le lancette dell’orologio scorrono, gli sguardi si incrociano, alla fine qualcuno rompe il ghiaccio vincendo la timidezza: “Quando è passato l’ultimo 71?”, “Entro quanto dovrebbe passare il prossimo?”. La risposta, amico mio, resta nel vento gelido di gennaio, analoga a quella volata via nell’afa di agosto. Bob Dylan continua a cantare. E il bus continua a non voler arrivare. Il tempo passa, l’appuntamento di lavoro, di studio, con la palestra, sfuma. Gli animi, va da sé, si surriscaldano. E adesso come facciamo? Non dovevamo andare a Trastevere? Alla fine la scoperta, amara, da buttar giù: c’è sciopero. L’ennesimo, indetto da una delle tante sigle sindacali che affollano il panorama dell’azienda dei trasporti autoferrotranviari capitolini, meglio conosciuta come Atac. “Una piccola giungla, dodici sigle, in concorrenza fra loro, che a turno avviano mobilitazioni e proclamano scioperi - conferma David Cartacci, lavoratore di Atac - un problema non solo sindacale, anche di costume. Facile capire che il servizio ne risenta”.
Il delegato Filt Cgil e membro della Rsu scuote la testa: lo scorso anno le continue agitazioni hanno paralizzato la città ogni dieci giorni. Perché in mancanza dei mezzi pubblici si deve prendere l’auto. E questo, in una metropoli come Roma, porta inevitabilmente al blocco del traffico. Con conseguenze a cascata, che sono sotto gli occhi di tutti: vanno in crisi famiglie, aziende, scuole e università. “Siamo in balia di sindacati che hanno solo alcune decine di iscritti. Dietro la conflittualità intersindacale, abbiamo il sospetto che alle volte ci sia la longa manus della politica - insiste Cartacci - pensa che l’ultimo sciopero è stato organizzato contro il concordato, che dovrebbe salvare l’azienda dal fallimento. Non che a noi della Cgil piaccia questo percorso, ma una volta avviato non mi sembra ci siano alternative”.
Quasi inutile dire che se il concordato, approvato in settembre dal tribunale, non dovesse andare a buon fine e tramutarsi in un fallimento aziendale o in una amministrazione straordinaria, il servizio sarebbe a rischio. Il piano di rientro è condizione obbligatoria, visto che i debiti sono tanti, stimati in un miliardo e 300 milioni di euro. Fondamentale l’accordo con i creditori: ai chirografari si offrirebbe il 60%, metà in denaro e metà in titoli, facendo leva sulla partecipazione alle performance aziendali. È in discussione poi la delibera di giunta per la proroga dell’affidamento in house al 2021. “Questo perché - puntualizza Cartacci - data l’entità del debito, per essere credibile, un piano industriale deve svilupparsi in più anni di gestione”.
In parallelo al concordato, si sta giocando la partita, politica, del referendum per la messa a gara del servizio. I Radicali, promotori della campagna per il sì, sono in pressing sulla sindaca (M5S) Virginia Raggi. “La strada del privato è già stata tentata con esiti fallimentari. E i debiti sono stati invariabilmente scaricati sulla collettività e sui dipendenti”. Con i suoi 11.500 addetti - divisi fra autisti, manutentori, impiegati, meccanici, ecc. - Atac è un colosso del trasporto pubblico. In questi giorni scadranno i termini per la presentazione del piano industriale, di rientro dai debiti, al giudice. “Dobbiamo cercare di ripartire, ce la stiamo mettendo tutta - sottolinea Cartacci - Stiamo ricollocando i lavoratori potenzialmente in esubero, riorganizzando gli orari di lavoro seguendo le direttive del contratto nazionale”.
Ultima variabile, ma non certo per importanza, quella del parco mezzi. Che sono anziani, e sottoposti per giunta ad un’usura accentuata dalle disastrate condizioni delle strade della capitale. Finisce così che il cittadino utente si trovi a prendere autobus nei quali piove d’inverno e manca l’aria condizionata d’estate. “E sì che le nostre maggiori entrate dovrebbero arrivare dalla vendita dei biglietti. Ma è difficile aumentare l’utenza quando il 20% dei mezzi è costretto a rientrare in deposito a causa di guasti. Per giunta i fornitori dei pezzi di ricambio fanno spesso e volentieri cartello”. I bus ritardano, l’orologio corre e i cittadini si arrabbiano. “Hanno ragione - riconosce Cartacci - ma le cause sono tante: mezzi vecchi e ormai inadatti, corsie preferenziali non protette dal traffico privato, mancanza di nuovo personale perché il turn over è fermo”.
Le statistiche rilevano che le aggressioni agli autisti e gli atti di vandalismo sono in continuo aumento. “Il nostro stress psicologico è tanto”. Cartacci ci lascia affidandoci una sua speranza: “Evitare lo smembramento del servizio in tante aziende diverse e salvaguardare un patrimonio che è dell’intera città”. Atac, il tram è appeso a un filo.