Il 3 dicembre a Roma è successo qualcosa che nemmeno noi organizzatori ci aspettavamo, e che va ben al di là di ciò che noi siamo o possiamo rappresentare. L’idea del Forum “Per cambiare l’ordine delle cose”, d’altronde, nasce proprio dall’urgenza, respirata nel paese negli ultimi mesi, di proporre uno spazio di incontro e azione per le tante realtà, individuali e collettive, che capiscono o meglio vivono direttamente la distanza tra le scelte politiche in corso e le dimensioni reali del fenomeno migratorio.
Non avevamo idea, però, se questo spazio sarebbe stato poi riempito e come. La quantità e la qualità della partecipazione al Forum è stata la risposta che non potevamo prevedere, e che ora gonfia di vento e responsabilità le vele di questa nuova avventura sociale e politica.
Ciò che ci ha colpiti non è stato solo il numero di chi ha seguito i lavori, oltre 1.200 tra quelli reali e quelli virtuali via streaming, ma anche e soprattutto le tante città da cui le persone si sono mosse, e l’altissimo livello di attenzione e competenza espresso.
Credo che questo sia dovuto principalmente da due fattori: la preoccupazione per la subalternità di gran parte della classe politica alle dinamiche mediatiche che stravolgono l’approccio sulle questioni migratorie, e l’esistenza nel paese di ormai centinaia di professionisti che quotidianamente lavorano tra accoglienza, cooperazione, ricerca e advocacy su questo tema.
Esperienza diretta e indignazione civile si sono unite, e hanno trovato nel Forum lo spazio dove intrecciare energie, idee e pratiche, al fine di avviare un percorso di rigenerazione della capacità democratica italiana, ed europea, di confrontarsi con le domande laceranti che le migrazioni stanno ponendo a tutti noi.
Ho letto negli occhi di chi seguiva l’assemblea un mix costante di responsabilità e irrequietezza: “Io so, io conosco le vite, le dinamiche, le tensioni di questa storia, e non posso più stare fermo ad aspettare che chi non le conosce prenda decisioni sempre più distanti da orizzonti etici per me indiscutibili”.
Il giorno dopo il Forum, le vibrazioni prodotte da quella strana giornata erano ancora tangibili. Molti mi hanno scritto frasi del tipo: “Che giornata!”, “Erano mesi che non mi sentivo così viva!”, “Ora dobbiamo andare avanti”. Uso il femminile non a caso. La maggioranza dei partecipanti al forum era composta da donne. Così come decisamente giovane era l’età media. In poche ore abbiamo pubblicato sul blog del Forum (pclodc.blogspot.it) documenti, registrazioni e moduli per partecipare: in migliaia hanno visitato la pagina. Ma il Forum deve essere soprattutto off line, come in tanti, stanchi della virtualizzazione sterile delle relazioni e delle azioni sociali, hanno più volte ribadito durante gli interventi.
Cosa faremo ora? Tre sono le direzioni che abbiamo delineato. Portare il Forum nei territori: organizzare nei prossimi mesi appuntamenti simili a quello del 3 dicembre in molte città, per discutere i punti sintetizzati nel manifesto finale e per attivare realtà che non erano potute scendere a Roma. Il primo appuntamento è già previsto a Palermo per il 16 dicembre. Poi portare il Forum in Europa. Il 31 gennaio “L’ordine delle cose” sarà proiettato al Parlamento europeo, e in quell’occasione organizzeremo una presentazione delle istanze del Forum. Sarà il primo passo per un allargamento europeo del nostro lavoro.
Infine portare il Forum nella campagna elettorale: sappiamo bene quanto sono distanti le forze politiche (quasi tutte) dalle nostre proposte, ma siamo convinti che questa sia causa del soffocamento mediatico e non di reali dinamiche sociali, economiche e demografiche.
Chiederemo ai candidati di confrontarsi con le idee e le pratiche di chi in queste dinamiche vive ogni giorno. Tutto questo tentando di aumentare sempre più il protagonismo diretto dei migranti stessi. E a partire da alcune proposte di cambiamento già emerse il 3 dicembre, che mettono essenzialmente l’accento su tre ampie e complesse sfide politiche: il passaggio da repressione a regolarizzazione delle vie di migrazione; l’integrazione dell’accoglienza nel welfare sociale europeo; e la comprensione degli stretti legami tra migrazioni e crescita delle diseguaglianze a livello globale, come strada maestra per fermare la spirale di odio e guerra tra poveri